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SALUTE<br />
Rockefeller University, New York (USA).<br />
I neuroni sono più vulnerabili nell’Alzheimer<br />
I geni che svolgerebbero un ruolo cruciale nelle prime fasi della malattia<br />
Sono loro, i neuroni che trasferiscono le esperienze nei ricordi,<br />
i primi a essere deteriorati dalla malattia di Alzheimer:<br />
è un processo lento, che inizia con il degrado di un<br />
gruppo di cellule cerebrali nella corteccia entorinale, parte<br />
della formazione dell’ippocampo situata bilateralmente nelle<br />
regioni mediali <strong>dei</strong> lobi temporali. Quando colpito dal morbo, il<br />
cervello non subisce degenerazione in una sola volta, ma gradualmente<br />
e lentamente. I primi ad andare sono sempre quei neuroni<br />
“vulnerabili”: capire perché potrebbe essere la chiave per nuovi<br />
trattamenti. Ora un nuovo studio della newyorchese Rockefeller<br />
University, pubblicato su Neuron, fa luce sul funzionamento interno<br />
di questo sottoinsieme di neuroni e descrive i fattori molecolari<br />
che rendono le cellule cerebrali entorinali sensibili alla<br />
degenerazione.<br />
Lo studio è stato realizzato<br />
dalla della newyorchese<br />
Rockefeller University ed è<br />
stato pubblicato su Neuron<br />
«Se saremo in grado di comprendere le<br />
peculiarità <strong>dei</strong> neuroni più vulnerabili del<br />
cervello, potremmo potenzialmente aprire<br />
nuove strade per le cure», ha premesso Jean-Pierre<br />
Roussarie, ricercatore associato<br />
del Greengard laboratory. Finora, la maggior<br />
parte degli studi si è concentrata sull’accumulo<br />
di peptidi Aβ, che formano placche nel<br />
cervello, primo segno della malattia seguito da un altro fenomeno<br />
che potrebbe, invece, rivelarsi più promettente. Dopo la formazione<br />
delle placche, infatti, un gruppo di proteine tau, note<br />
come “grovigli neurofibrillari”, intasano l’interno <strong>dei</strong> neuroni.<br />
A differenza delle prime, questi ammassi proteici inizialmente si<br />
concentrano esclusivamente in un gruppo distinto di cellule della<br />
corteccia entorinale. Questa scoperta ha fatto sgranare gli occhi<br />
agli studiosi, che vedono nella prevedibilità del processo un target<br />
terapeutico piuttosto interessante.<br />
Lo step successivo dello studio è stato catalogare i fattori genetici<br />
che rendono i neuroni entorinali vulnerabili ai grovigli neurofibrillari.<br />
«Cosa sta succedendo a valle dell’accumulo di amiloide<br />
e come le placche innescano grovigli neurofibrillari all’interno<br />
di neuroni vulnerabili, è molto più di un puzzle – ha proseguito<br />
Roussarie -: è il posto dove scoprire nuovi bersagli terapeutici».<br />
Come distinguere, dunque, i neuroni vulnerabili dai loro vicini<br />
più resilienti?<br />
A questo punto è venuta in aiuto una tecnologia, la BacTRAP,<br />
sviluppata alla Rockefeller da Greengard e Nathaniel Heintz, che<br />
consente, nei topi, di catalogare le proteine all’interno di popolazioni<br />
specifiche di neuroni. Un team della Princeton University,<br />
guidato da Olga Troyanskaya, ha quindi progettato algoritmi informatici<br />
per aiutare il team a concentrarsi solo sulle anomalie genetiche<br />
che potrebbero essere più rilevanti per la neurodegenerazione.<br />
Una serie di geni potrebbe svolgere un<br />
ruolo importante nelle prime fasi dell’Alzheimer,<br />
decidendo in primo luogo se le proteine<br />
tau si aggregheranno in grovigli neurofibrillari:<br />
tra loro, in particolare, ce n’è uno<br />
che produce una proteina chiamata PTBP1,<br />
fattore di giunzione che dirige le cellule a<br />
creare uno <strong>dei</strong> due sottotipi di proteina tau.<br />
I nuovi risultati suggeriscono che la malattia<br />
potrebbe essere guidata da cellule i cui livelli di variante tau sono<br />
disturbati. «Una volta capito cosa rende i neuroni più vulnerabili,<br />
si aprono più strade per ridurre la loro vulnerabilità», ha chiarito<br />
Vicky Yao, assistente professore di informatica presso la Rice<br />
University e coautore della ricerca.<br />
L’innovatività dello studio starebbe proprio in questo: nell’aver<br />
preso in considerazione la diversità <strong>dei</strong> neuroni. Potrebbero<br />
essere necessari, in futuro, farmaci per colpire la formazione delle<br />
placche e i grovigli neurofibrillari, e il primo passo verso la prevenzione<br />
di questi ultimi sarà capire, in primo luogo, cosa rende<br />
alcuni neuroni inclini al groviglio. (C. D. M.)<br />
38 <strong>Il</strong> <strong>Giornale</strong> <strong>dei</strong> <strong>Biologi</strong> | Luglio/agosto 2020