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Il Giornale dei Biologi - N. 7

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SALUTE<br />

Rockefeller University, New York (USA).<br />

I neuroni sono più vulnerabili nell’Alzheimer<br />

I geni che svolgerebbero un ruolo cruciale nelle prime fasi della malattia<br />

Sono loro, i neuroni che trasferiscono le esperienze nei ricordi,<br />

i primi a essere deteriorati dalla malattia di Alzheimer:<br />

è un processo lento, che inizia con il degrado di un<br />

gruppo di cellule cerebrali nella corteccia entorinale, parte<br />

della formazione dell’ippocampo situata bilateralmente nelle<br />

regioni mediali <strong>dei</strong> lobi temporali. Quando colpito dal morbo, il<br />

cervello non subisce degenerazione in una sola volta, ma gradualmente<br />

e lentamente. I primi ad andare sono sempre quei neuroni<br />

“vulnerabili”: capire perché potrebbe essere la chiave per nuovi<br />

trattamenti. Ora un nuovo studio della newyorchese Rockefeller<br />

University, pubblicato su Neuron, fa luce sul funzionamento interno<br />

di questo sottoinsieme di neuroni e descrive i fattori molecolari<br />

che rendono le cellule cerebrali entorinali sensibili alla<br />

degenerazione.<br />

Lo studio è stato realizzato<br />

dalla della newyorchese<br />

Rockefeller University ed è<br />

stato pubblicato su Neuron<br />

«Se saremo in grado di comprendere le<br />

peculiarità <strong>dei</strong> neuroni più vulnerabili del<br />

cervello, potremmo potenzialmente aprire<br />

nuove strade per le cure», ha premesso Jean-Pierre<br />

Roussarie, ricercatore associato<br />

del Greengard laboratory. Finora, la maggior<br />

parte degli studi si è concentrata sull’accumulo<br />

di peptidi Aβ, che formano placche nel<br />

cervello, primo segno della malattia seguito da un altro fenomeno<br />

che potrebbe, invece, rivelarsi più promettente. Dopo la formazione<br />

delle placche, infatti, un gruppo di proteine tau, note<br />

come “grovigli neurofibrillari”, intasano l’interno <strong>dei</strong> neuroni.<br />

A differenza delle prime, questi ammassi proteici inizialmente si<br />

concentrano esclusivamente in un gruppo distinto di cellule della<br />

corteccia entorinale. Questa scoperta ha fatto sgranare gli occhi<br />

agli studiosi, che vedono nella prevedibilità del processo un target<br />

terapeutico piuttosto interessante.<br />

Lo step successivo dello studio è stato catalogare i fattori genetici<br />

che rendono i neuroni entorinali vulnerabili ai grovigli neurofibrillari.<br />

«Cosa sta succedendo a valle dell’accumulo di amiloide<br />

e come le placche innescano grovigli neurofibrillari all’interno<br />

di neuroni vulnerabili, è molto più di un puzzle – ha proseguito<br />

Roussarie -: è il posto dove scoprire nuovi bersagli terapeutici».<br />

Come distinguere, dunque, i neuroni vulnerabili dai loro vicini<br />

più resilienti?<br />

A questo punto è venuta in aiuto una tecnologia, la BacTRAP,<br />

sviluppata alla Rockefeller da Greengard e Nathaniel Heintz, che<br />

consente, nei topi, di catalogare le proteine all’interno di popolazioni<br />

specifiche di neuroni. Un team della Princeton University,<br />

guidato da Olga Troyanskaya, ha quindi progettato algoritmi informatici<br />

per aiutare il team a concentrarsi solo sulle anomalie genetiche<br />

che potrebbero essere più rilevanti per la neurodegenerazione.<br />

Una serie di geni potrebbe svolgere un<br />

ruolo importante nelle prime fasi dell’Alzheimer,<br />

decidendo in primo luogo se le proteine<br />

tau si aggregheranno in grovigli neurofibrillari:<br />

tra loro, in particolare, ce n’è uno<br />

che produce una proteina chiamata PTBP1,<br />

fattore di giunzione che dirige le cellule a<br />

creare uno <strong>dei</strong> due sottotipi di proteina tau.<br />

I nuovi risultati suggeriscono che la malattia<br />

potrebbe essere guidata da cellule i cui livelli di variante tau sono<br />

disturbati. «Una volta capito cosa rende i neuroni più vulnerabili,<br />

si aprono più strade per ridurre la loro vulnerabilità», ha chiarito<br />

Vicky Yao, assistente professore di informatica presso la Rice<br />

University e coautore della ricerca.<br />

L’innovatività dello studio starebbe proprio in questo: nell’aver<br />

preso in considerazione la diversità <strong>dei</strong> neuroni. Potrebbero<br />

essere necessari, in futuro, farmaci per colpire la formazione delle<br />

placche e i grovigli neurofibrillari, e il primo passo verso la prevenzione<br />

di questi ultimi sarà capire, in primo luogo, cosa rende<br />

alcuni neuroni inclini al groviglio. (C. D. M.)<br />

38 <strong>Il</strong> <strong>Giornale</strong> <strong>dei</strong> <strong>Biologi</strong> | Luglio/agosto 2020

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