22 GIRAMONDO Una verticale da sogno nel calice per toccare con mano le origini della Roja. Sorsi che parlano di storie e incontri tra famiglie, di un’eccellenza del vino che piace sempre più in Italia, di una rivoluzione portata in bottiglia che ha saputo conquistare, di generazione in generazione, i palati più raffinati. Una vera e propria epopea che ha avuto inizio nel 1852 e, un passo alla volta, ha condotto fino all’incontro milanese in un tempio dell’eccellenza gastronomica come Il Luogo di Aimo e Nadia. Al centro del proscenio un’icona come il Castillo Ygay di Marqués de Murrieta, che Carlo Alberto e Leonardo Sagna, importatori dell’azienda spagnola in Italia, hanno raccontato in compagnia di Gianluca Petruzzi, export manager della storica realtà. Un procedere à rébours che dall’annata 2012 ha condotto fino a un leggendario 1968. Ma quella di Marqués de Murrieta è una storia che, come detto, va ben più indietro nel tempo, conducendo dritti fino all’origine dei vini della Rioja. È un racconto che ruota attorno alla figura di Luciano de Murrieta, militare e uomo d’affari che, dopo innumerevoli peripezie, a metà del XIX secolo decidi di “importare” dal Médoc le tecniche di vinificazione che avevano resi grandi i vini di Bordeaux nel mondo per applicarle DI MATTEO BORRÈ alle produzioni della regione spagnola. Primo tra tutti fa suo il concetto di Château, con il corpo vitato intorno alla cantina che ancora oggi regala la fisionomia all’azienda spagnola che porta il suo nome. Composta da 300 ettari di vigneti, la tenuta Ygay, situata a pochi chilometri da Logroño, è uno dei più grandi vigneti della Rioja. Un vero e proprio microcosmo, quello che circonda la cantina che nel 2022 ha visto l’apertura delle porte del nuovo centro produttivo, progetto d’investimento high tech di 25mila metri quadri che si completerà nel 2027 con la parte del complesso che verrà dedicata all’Hospitality di lusso. Ygay, così com’è stata concepita fin dalle origini, consente in questo modo il controllo diretto di ogni fase della produzione. E se il passaggio delle uve dal vigneto alla cantina è immediato, garantendo la massima qualità di quanto giunge in pressa, nel 2000 l’azienda ha completato la mappatura dell’intero parco vitato, suddividendolo in 30 appezzamenti con caratteristiche distinte tra suoli, esposizioni, ventilazioni e altitudini che variano tra i 320 e i 485 metri s.l.m. Un passaggio fondamentale, quest’ultimo, che poi si riflette nel calice, con vini che sono rappresentazioni del DNA di filari capaci di preservare lungo il corso del tempo la peculiare personalità e lo stile Murrieta. Un’identità che si mostra Castillo Ygay: alle origini della Roja Dal 2012 al 1968, il vino simbolo di Marqués de Murrieta alla prova del tempo alla perfezione nel suo vino di punta, quel Castillo Ygay Tinto Gran Reserva Especial Doca Rioja, racconto anche in termini di Denominazione della più alta qualifica del vino di Spagna, che dal 1877, prima annata, fino al 1904 era noto come Château Ygay, nome che ha poi ritrovato in etichetta, deroga ai regolamenti che vietano l’uso di parole straniere, per la sola data del centenario dell’azienda nel 1952. Ma cosa racconta in un raffronto col tempo che passa l’etichetta simbolo della realtà guidata dal 1996 da Vicente Dalmau Cebrián-Sagarriga, 11esimo conte di Creixell, insieme con la sorella Cristina? Innanzitutto, a partire dal 2001 del frutto dei 33 ettari piantati nel 1950 sui suoli calcareo argillosi del vigneto La Plana, situato a 485 metri s.l.m. e caratterizzato da un sistema di allevamento ad alberello. Blend oggi di Tempranillo e Mazuelo, ma che in passato, come per l’annata 1968, vedeva concorrere in parte minoritaria anche Garnacha e Graciano, è vino che prende vita solo nelle annate considerate le più adeguate alla sua produzione, che non significa necessariamente le migliori: quella ora sul mercato è la 2012, poi si passerà, non prima del 2026, alla 2016. Proprio dall’ultima release ha preso il via la verticale, matrimonio di 81% Tempranillo e 19% Mazuelo, sorprendete riserva di pronta beva, concentrato nei suoi frutti rossi maturi e le successive note balsamiche, per un’espressione che regala col suo stile che tende a una più spiccata classicità nel calice e una già chiara immediatezza a farsi da tramite ideale per introdurre perfettamente il consumatore italiano, spesso tradizionale nel suo approccio, allo stile di questa grande etichetta. È proprio nel confronto con le annate che seguono nella degustazione, la 2011 e la 2009, che si nota tutta la bellezza dello stile Ygay: la prima con una freschezza che racconta di un orizzonte, in prospettiva, molto più ampio della 2012, per una riserva che merita più di tutte di essere preziosamente conservata in cantina; la seconda, la 2009, che evidenzia un tannino sempre morbido e dalla trama sottile, oltre a una macchia mediterranea che si trasforma in trait d’union. In sintesi, nel confronto tra le tre, a emergere è il denominatore comune del frutto rosso maturo, una balsamicità che si esprime ora come eucalipto, ora come liquirizia, ora come foglie di tè verde, ma soprattutto una spiccata complessità che sposa, in un equilibrio quasi perfetto, un’acidità e una freschezza che rendono questa riserva un vino estremamente piacevole ed elegante. Un’equazione confermata anche dallo straordinario privilegio del confronto con l’annata 1968 che meriterebbe ogni superlativo che le si possa affiancare. Un vino perfetto, a distanza di più di 40 anni dalla sua messa in commercio nel 1983, nella sintesi tra acidità, freschezza e una succosità al palato che ha dell’incredibile. Una riserva che ha tutt’altro che esaurito il suo cammino e ancora da considerare sul sentiero di una crescita evolutiva. Lunghissimo in bocca, splendido nella nota salina che ne tratteggia come una pennellata il finale. È da evidenziare, come spiegato in principio, che spingendosi così indietro con gli anni quello che si ritrova nel calice è un blend differente dalle versioni “moderne”, in questo caso 70% Tempranillo, 13% Mazuelo, 12% Garnacha e 5% Graciano, con anche un tenore alcolico molto diverso. Per una nuova sfumatura di un mito, che domanda soltanto mente aperta e animo predisposto alla scoperta per essere compreso e goduto nelle sue straordinarie sfaccettature.
23 COLLECTION Una nuova nuance di Soave, ad oggi la prima e unica a celebrare fin dall’etichetta la vocazione in bianco delle sommità vocate dell’Unità Geografica Aggiunta Monte di Colognola, esterna all’area Classica della Denominazione ma dall’identità e il prestigio iconici. L’ultima creazione firmata Famiglia Castagnedi, al suo esordio, racconta di un futuro ancora tutto da scrivere. Un ulteriore tassello di un mosaico che regala l’immagine di un’area, quella a cavallo tra Valpolicella Orientale e Soave, che una filosofia sartoriale tramuta in prodotti unici in bottiglia: Single Vineyard, racconto privilegiato dei terroir in cui prendono forma. Là, dove la Garganega è regina, dopo Vecchie Vigne e Vigna Monte Ceriani, oggi è tempo del Soave Doc Monte di Colognola Tenuta Sant’Antonio. Un vero tripudio di freschezza, note floreali e frutta a polpa bianca, unite dalla mineralità iconica dei bianchi secondo lo stile dei fratelli Castagnedi. Un’ode nel calice alle caratteristiche calcareo-sulfuree plasmate nei millenni dei suoli di Località Ceriani. Un nuovo frammento dell’anima in bianco di Famiglia Castagnedi, a completare una rivoluzione, all’insegna di verticalità, mineralità, fresche note agrumate e floreali, corpo pieno e sapido, che si pone la non celata ambizione di confrontarsi con i più prestigiosi vini al mondo.