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Journal of Italian Translation

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<strong>Journal</strong> <strong>of</strong> <strong>Italian</strong> <strong>Translation</strong><br />

sensazioni tattili, gesti, colori, diventano rapidamente per ognuno<br />

di noi parte di un raffinato complesso interpretativo. Su questo<br />

s’innesta la parola, nella versione che rimarrà la più intima, quella<br />

che chiamiamo “lingua materna”. Eventi—fra cui la lettura—miti,<br />

sogni, idee, stili modellano poi l’universo esistenziale di ogni persona.<br />

In contatto con altri individui, tradurre l’esperienza in materia<br />

linguistica diventa una tecnica/arte di meravigliosa complessità.<br />

E chi traduce per pr<strong>of</strong>essione, dove si posiziona in questa<br />

storia? Ecco, qui troviamo gli amori molteplici e il desiderio di<br />

sperimentare una seconda, una terza, un’altra vita. Chi traduce<br />

vive più vite; deve vivere più vite. Nessuno al mondo, è vero—con<br />

buona pace dei reazionarî—vive una vita singola. Tutti partono<br />

all’avventura in linguaggi diversi, lingue non materne, dialetti,<br />

patois, gerghi.....Ma chi pratica la traduzione è consapevole sia<br />

della propria passione che dell’esistenza di altri amanti di quello<br />

strumento che lo affascina. Per soddisfare la propria passione si fa<br />

della traduzione un mestiere anche senza alcuna ricompensa<br />

eccetto il proprio godimento. E cosí chi scrive trova un amore simile<br />

al proprio in chi traduce.<br />

Che cosa fa chi ama? Cerca di arrivare al cuore, all’essere più<br />

pr<strong>of</strong>ondo dell’altro. Ma rimane sempre un millimetro al di qua. Lo<br />

stesso avviene per chi ama qualunque testo. L’impasto di esperienza<br />

vitale divenuta espressione linguistica per mano di chi scrive è<br />

una complessità che dà le vertigini. Tutto c’entra: il corpo e la<br />

mente, l’immaginazione e la concretezza, la storia e il sogno. Si<br />

chiama “tradurre” l’uscire da sé, dal proprio universo, ed entrare<br />

nella vertigine altrui, un’avventura esaltante e presuntuosa. Uno<br />

abbandona il conosciuto—o meglio, ciò che è quasi conosciuto—e<br />

cerca di afferrare il quasi sconosciuto. Chi traduce si trova preso<br />

fra due universi che lo attraggono e lo eludono. Parlare d’infedeltà,<br />

come tanti hanno fatto, non si addice soltanto alla traduzione—la<br />

famosa “bella infedele”—ma anche al rapporto con l’universo di<br />

chi traduce con l’universo di origine. Si tratta insomma,<br />

inevitabilmente, di una doppia infedeltà.<br />

Cosa concludo?<br />

Non ha alcun senso parlare di “traduzione letterale” come si<br />

fa con gli studenti, o di “traduzione infedele” usando un vecchio<br />

cliché. C’è solo la “traslazione” di un mondo in un altro, cioè un<br />

tentativo di fedeltà totale destinato a fallire. Chi traduce porta tutta<br />

se stessa all’atto di tradurre. E trova davanti a sé una complessità

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