Journal of Italian Translation

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Journal of Italian Translation
veste inglese..... L’egemonia della lingua inglese e della cultura
americana presenta nuove sfide a chi viene da altre culture,
specialmente con il trasformarsi di assetti politici e sociali che
includono migrazioni umane su scala mondiale. Come scrive
Margherita Ulrych nella collezione che ho menzionato: “Translation
not only reflects but also directs transcultural contacts and
exchanges......it is the means by which ideas, styles, and genres
transit from one language and culture to another and is thus a
powerful tool in the construction of languages and cultures; it can
be the site for resistance by the receiving culture to the permeability
of the incoming influence” (199). A questo proposito mi è parso
particolarmente interessante il volume di Eugene Chen Eoyang
dal titolo “Borrowed Plumage” (Polemical Essays on Translation.
Amsterdam-New York: Rodopi, 2003). Nonostante la sensibilità
crescente per la complessità del tradurre, però, alcuni studiosi,
perfino un George Steiner, tendono ancora a parlare della
traduzione in termini primariamente linguistici come rivela l’uso
in inglese degli acronimi SL e TL che corrispondono alle espressioni
Source Language e Target Language. Si è consapevoli della dimensione
culturale solo in seconda istanza.
È curioso poi che chi traduce si veda ancora con gli occhi di
un pubblico per il quale tradurre è, per citare Gregory Rabassa in
Translation. The Theory and Practice (ed. Avadhesh K. Singh. New
Delhi: Creative Books, 1996), “a kind of bastard art, an intermediate
form, and as such always vulnerable to attack” (21). Invece la
presenza di chi traduce sta prendendo sempre più importanza di
questi tempi, mano a mano che diventa più evidente la funzione
fondamentale di ogni forma di traduzione nel plasmare e rivelare
aspetti, eventi e rapporti all’interno del nostro mondo.
Sempre nel volume citato, Translation Studies, trovo un articolo
che mi servirà d’avvío a un discorso che mi sta a cuore. Lawrence
Venuti, traduttore dall’italiano in inglese, cita William Weaver il
quale asserisce che “tradurre è in gran parte un’attività irriflessiva,
con decisioni che si prendono inconsciamente e con scelte quasi
istintive basate sulla conoscenza dell’autore e del periodo storico”
( 219). Sulla base di questa testimonianza, Venuti inizia un esame
della traduzione in chiave psicoanalitica, enumerando le
“differenze “ irriducibili insite nella traduzione. “Translators...can
never entirely avoid the loss that the translating process enforces
on the foreign text, on its meanings and structures, figures and