Journal of Italian Translation
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<strong>Journal</strong> <strong>of</strong> <strong>Italian</strong> <strong>Translation</strong><br />
“Che bisogno c’è della guida?” fu la risposta.<br />
Così partimmo in macchina da soli per Damasco. La strada<br />
presto cominciò a snodarsi nel deserto e sui due lati vedevamo ogni<br />
tanto beduini a gruppetti di quattro o cinque per volta: avremmo<br />
voluto fermarci e parlare con loro, ma senza interprete non c’era<br />
neanche da pensarci. Non ricordo quanto durò quel viaggio felice:<br />
ci fermammo solo quando ci bloccò la polizia di frontiera.<br />
Non c’era ancora la guerra, o forse c’erano le prime avvisaglie,<br />
ma a quel posto di confine ci fecero stare sei ore. Nessuno era capace<br />
di leggere l’alfabeto occidentale e i poliziotti continuavano a passarsi<br />
l’un l’altro i nostri passaporti e a rigirarli fra le mani con aria<br />
sospettosa. Era una situazione senza speranza.<br />
“Vedrai che non ce la faremo a tornare a Beirut in serata”<br />
dissi. Pensai:<br />
“Chissà dove mi toccherà dormire.”<br />
Finalmente arrivò un soldato che sapeva l’inglese. In pochi<br />
minuti ci lasciarono passare, tutti improvvisamente sorridenti e<br />
amichevoli; ma quando arrivammo a Damasco era pomeriggio tardi,<br />
il museo era chiuso e ci mettemmo a girare alla cieca in cerca di un<br />
albergo.<br />
E inutile descrivere quello che trovammo. Invece trovammo,<br />
al bazaar ancora aperto, un rosario di legno e qualche collana<br />
d’argento che ho portato per anni e porto ancora adesso; e<br />
passammo la sera a camminare per le strade buie di terriccio, con<br />
gli odori medio-orientali a base di montone, le finestre chiuse e la<br />
totale mancanza di allettamenti per i turisti.<br />
L’indomani mattina eravamo sulla porta del museo prima che<br />
aprissero, e quando ci lasciarono entrare ricevemmo il nostro premio:<br />
c’erano decine di statue e statuine sumere, quelle famose che si<br />
vedono sulle copertine di tutti i libri sui Sumeri. Le didascalie erano<br />
perfette: uno che non sapesse niente sulla storia di quei luoghi usciva<br />
che sapeva tutto.<br />
Ripartimmo convinti che quello di Damasco, con quello di<br />
Beirut, era uno dei musei meglio sistemati del mondo e ci avviammo<br />
verso l’autostrada. Passando davanti a uno spaccio di scarpe<br />
occidentalizzate riconoscemmo o credemmo di riconoscere da una<br />
sua strana acconciatura uno dei beduini visti il giorno prima lungo<br />
la strada: era accoccolato per terra e stava rigirando tra le mani<br />
con aria pensosa e diffidente un paio di scarpe da donna, di quelle<br />
da terzo mondo, passate di moda da dieci anni.