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Il Vesuvio: Miklós Barabás e Polixéna Wesselényi<br />
GLI UNGHERESI DEL GRAND TOUR IN MAGNA GRECIA<br />
Verso le cinque del pomeriggio andai a pranzare<br />
alla trattoria chiamata “A la ville de Rome”, dove<br />
ero solito mangiare, e dalla cui terrazza mi<br />
dilettavo ad ammirare il golfo di Napoli. Verso le<br />
sei, mentre stavo pagando il conto, all’improvviso<br />
si scosse la terra con un terribile rombo che veniva<br />
dal sottosuolo, tanto che dovetti aggrapparmi alla<br />
tavola se non volevo cadere. Ero alle spalle della<br />
terrazza, e nel primo momento non sapevo che<br />
cosa stesse succedendo, ma vedendo che tutta la<br />
gente correva sulla terrazza, anch’io mi volto, e<br />
vedo che tutto il golfo di Napoli è illuminato.<br />
Naturalmente pensai subito al Vesuvio, e anch’io<br />
mi precipitai sulla terrazza. Ciò che vedevo era<br />
inimmaginabile: il Vesuvio lanciò in aria l’intero<br />
cono del cratere che aveva la circonferenza di tre<br />
miglia (e sul quale appena due giorni prima<br />
avevamo cotto delle uova), e attraverso la fessura<br />
s’innalzò una colonna di fuoco alta più o meno<br />
quanto lo stesso monte. Chi oserebbe descrivere o<br />
dipingere una scena del genere? Come si potrebbe<br />
rappresentare quel moto maestoso, quel continuo<br />
cambiamento che aumentava la grandiosità della<br />
scena, cambiandola di minuto in minuto! La<br />
velocità con la quale si proiettavano in alto<br />
migliaia e migliaia di sassi incandescenti, la<br />
sagoma perennemente cangiante delle nuvole di<br />
fumo, l’incessante rombo sotterraneo causato dagli<br />
enormi massi di pietra che venivano lanciati contro<br />
la parete del cratere, e tutta questa vista<br />
rispecchiata nel mare, dipingendo di fuoco l’acqua<br />
del golfo! E le sfumature che coloravano tutto il<br />
paesaggio circostante dal tramonto alla notte cupa!<br />
Come qualche nave si avvicinava al porto, nera<br />
sullo sfondo del mare di fuoco.<br />
Chi ha assistito una sola volta nella vita ad una<br />
simile visione, non potrà mai dimenticarla. Coloro<br />
che si trattenevano sulla terrazza, camerieri e<br />
clienti, rimasero come statue, dalle sei alle dieci.<br />
Nessuno pensava a mangiare, nessuno<br />
pronunciava una parola, né si trovavano parole<br />
degne dell’ammirazione. Se a qualcuno veniva<br />
servita una bistecca al momento dell’eruzione,<br />
egli non la toccò fino alle dieci. Alle dieci meno<br />
un quarto il fuoco cominciò a spegnersi, e un<br />
quarto d’ora dopo era buio. Solo allora la gente<br />
cominciava a muoversi, lasciando la terrazza in<br />
silenzio, ma con un grande sospiro.<br />
Da: Miklós Barabás: Autobiografia (1834)<br />
Il giorno dopo ci preparammo di buon’ora, ed io<br />
ero impaziente di partire, perché la scalata sul<br />
Vesuvio era, fin dalla tenera età, uno dei miei sogni<br />
che nemmeno con l’età matura si era dileguato...<br />
...Credendomi abbastanza forte, cominciai a salire a<br />
piedi, appoggiandomi a un bastone. Il sole del<br />
mezzogiorno spandeva tutto il suo calore, e le mie<br />
gambe affondarono nella sabbia cocente fino alle<br />
ginocchia, e dopo ogni passo che facevo avanzando<br />
con grande fatica, ne scivolavo indietro due. Né il<br />
bastone mi fu di grande aiuto, poiché inficcandolo<br />
nella sabbia non riuscivo più a tirarlo fuori. La<br />
guida cingendomi alla vita una cintura cercò di<br />
trascinarmi, ma mi ero affondata nella sabbia a tal<br />
punto che non ce la facevo ad aggiungere la mia<br />
forza. Non potendo muovermi in nessun modo, mi<br />
sedetti disperata. “E’ impossibile, non ce la faccio a<br />
procedere – non un passo – muoio dal caldo – non<br />
voglio che un goccio d’acqua.” “Eccellenza!<br />
Pazienza!” si rivolse a me la guida, “Non è tanto<br />
facile scalare il Vesuvio, e lei se n’è accinta con<br />
troppa grinta, ma chi va piano, va sano.” N. N. mi<br />
raggiunse, che ero mezza sciolta dal caldo. “Che le<br />
è successo? Eppure le ho detto che non avrebbe<br />
retto, e dovevamo prendere a nolo un brancard.” E<br />
io sul punto di piangere: “Oh! E ora che cosa<br />
faccio, è impossibile procedere, eppure devo vedere<br />
la cima del Vesuvio.” La nostra guida mandò<br />
indietro l’uomo che portava le nostre cibarie, e noi<br />
aspettavamo seduti finché egli non tornò, senza<br />
però trovare un palmo d’ombra dove rifugiarci dal<br />
caldo insopportabile. Io mi sentii umiliata, come chi<br />
aveva la colpa di tutto ciò; stetti seduta silenziosa,<br />
vergognandomi in vero della situazione nella quale<br />
avevo coinvolto i miei compagni con la mia<br />
testardaggine.<br />
Alla fine ci rallegrò la vista di otto uomini che<br />
stavano portando il brancard. Fui fatta sedere, e<br />
quattro di loro mi portarono alzandolo sopra la loro<br />
testa, facendo di tanto in tanto il cambio con gli<br />
altri quattro, senza fermarsi un attimo. Mi sembrava<br />
di librare fra cielo e terra sulla mia seggiola;<br />
trattenevo il fiato, e non vedevo il dorso ripido del<br />
monte sotto di me, ma vedevo Napoli splendente<br />
sotto il sole, e più oltre il mare che si confondeva<br />
con l’azzurro del cielo...<br />
...Raggiungemmo la piazzola in fondo al cratere,<br />
dove ci fermammo. Stavo là, sul luogo da tanto<br />
tempo e con tanto ardore desiderato: i miei occhi e<br />
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