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ARIA ACQUA TERRA FUOCO

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Destinazione Panarea<br />

“Era di buon mattino, soffiava un forte ma<br />

spiegato libeccio accompagnato da ininterrotte<br />

nubi temporalesche. Agitato era il mare, ma<br />

favorevole essendo il vento, per questa velata il<br />

padrone della feluca, che era altresì il timoniere e<br />

sol mi disse, scherzando, che avremmo ballato.<br />

Spiegate erano tutte le vele, e l’andar nostro non<br />

era un correre, ma un volare. Nonostante che il<br />

vento e il mare ingagliardissero sempre di più e<br />

che or ci vedessimo sospesi sulla punta di<br />

un’onda, or sprofondati come su una voragine,<br />

nulla avevamo a temere per essere sempre stato il<br />

libeccio intavolato per poppa. Per qualche tratto<br />

di viaggio fummo accompagnati da una torma di<br />

marini animali che ci fecero una specie di<br />

corteggio. Questi erano delfini che, preso in<br />

mezzo il nostro legnetto, si diedero a scherzarvi<br />

attorno e a trastullarsi guizzando da prora a<br />

poppa e da poppa a prora, d’improvviso<br />

profondandosi nell’onde, poi ricomparendo e,<br />

fuori cacciato il muso, lanciando a più piedi<br />

d’altezza il getto d’acqua che a riprese espellono<br />

dal forame che sul capo si apre. E in questi<br />

allegri lor giochi appresi cosa mai da me veduta<br />

nelle migliaia di questi piccoli cetacei in altri<br />

mari osservate. Ciò fu l’indicibile loro prestezza<br />

nel vibrarsi dentro l’acqua. Uno o più delfini<br />

talvolta movevano da prora a poppa. Ad onta di<br />

dovere allora rompere l’impetuoso scontro del<br />

fiotto, volavano con la rapidità d’un d’ardo.<br />

Il contatto di simpatia tra il visitatore e l’isola di<br />

Panarea s’instaura assai prima dello sbarco al<br />

molo di San Pietro, perché l’abbraccio che quel<br />

corpo roccioso tende al forestiero s’anticipa a<br />

notevole distanza facendosi ampio e molteplice.<br />

Mentre il battello piega a Nord per venire a rada,<br />

da levante fanno gioiosi ammiccamenti una<br />

mandria di isolotti e di scogli bizzarri di forma,<br />

strani nei colori e nei nomi, disseminati qua e là,<br />

ora raggruppati ora dispersi, alcuni lontani oltre<br />

due miglia: è un formicolio ridente di onde e di<br />

spume, di riflessi di mare e di frammenti di rupi<br />

immobili. Ma anche queste masse, nel resistere<br />

che fanno alle folate di brezza che increspano la<br />

marina, paiono tutte muoversi in unica direzione,<br />

come le formiche. E Formicole, appunto,<br />

chiamarono i pescatori panarioti di moltissimi<br />

anni fa le quattro o cinque pietre lisce che, lì<br />

presso, affiorarono dall’acqua. C’è poi Lisca<br />

Nera e Lisca Bianca, Dàttilo e Bòttaro, più in là<br />

ancora Panarelli e, sullo sfondo ceruleo, quasi<br />

addossati a Stromboli, Spinazzola e Basiluzzo.<br />

È un arcipelago, dunque, Panarea, un arcipelago<br />

in miniatura facente parte di un altro arcipelago<br />

più esteso, un minuscolo sistema inglobato in una<br />

più dilatata galassia. Ma può pure considerarsi un<br />

pianeta a sé stante il comprensorio di Panarea, un<br />

pianeta in fase di declino e di dissolvimento, un<br />

campionario di residuati di rocce, tutto<br />

mozziconi, spuntoni, slabbrature; un pianeta che,<br />

da almeno settecentomila anni, ha subìto da<br />

prima le violenze dei fuochi e dei sismi, poi le<br />

ingiurie dei venti e delle tempeste. Ora,<br />

‘addomesticato’ giace nel profondo assopimento<br />

che gli deriva dalla sua lunga e sofferta<br />

giovinezza. Per la sua posizione amena e per i<br />

suoi terrazzi facilmente difendibili Panarea fu<br />

prescelta come punto ideale d’insediamento da<br />

gruppi neolitici del II millennio a.C. Evidenti<br />

affiorarono le tracce di quella facies culturale in<br />

località Calcara, ma quanto mai significativi<br />

appaioni i resti del villaggio di punta Milazzese<br />

che risalgono all’età del bronzo, ad un tempo che<br />

va pressappoco dal XV al XIII secolo a.C.”.<br />

Da: Lazzaro Spallanzani, Viaggio alle Due<br />

Sicilie…, Pavia 1792-97.<br />

Veduta della salina situata nella parte<br />

meridionale dell’isola<br />

“Dopo un rapido sguardo all’isola fui<br />

accompagnato a visitare la salina; si notano<br />

ancora i resti di mura costruite da Romani e<br />

facilmente riconoscibili da un inconfondibile<br />

caratteristica: il reticolato. Esso è composto da<br />

piccoli mattoni di terracotta a losanga e disposti<br />

sull’angolo con molta precisione. Questa<br />

costruzione veniva chiamata reticolato a causa<br />

della sua somiglianza con le reti dei pescatori.<br />

I Romani nascondevano questa muratura con un<br />

intonaco che ricopriva l’edificio ...<br />

Probabilmente questi resti appartengono a dei<br />

bagni costruiti in riva al mare.<br />

Il curato che mi aveva accompagnato mi spiegò<br />

in che modo si ricava il sale. Il procedimento è<br />

simile a quello delle altre saline di Sicilia.<br />

L’acqua viene fatta entrare dapprima nel bacino<br />

più grande B,B dal quale si fa passare nei bacini<br />

C,C e via via nelle altre vasche fino<br />

all’evaporazione completa. In capo a quindici<br />

giorni, a seconda delle condizioni del tempo, si<br />

ricavano due pollici e mezzo di sale da cinque<br />

pollici d’acqua. Quando il sale è ottenuto, lo si<br />

accumula sulla riva in mucchi a forma di<br />

piramide; là vengono a caricarlo con gli animali,<br />

così come rappresentato nella tavola”.<br />

Da: J. P. Hoüel, Voyage pittoresque…,<br />

Parigi 1871.<br />

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