:RUBRICHE: <strong>Ring</strong>#3 (R)umorismo___________________________ [Silent Hill 2] <strong>di</strong> Sator Arepo (storia) e Strix (<strong>di</strong>segni) <strong>di</strong> Gatsu 3
:FRAMES: <strong>Ring</strong>#3 Terrore <strong>di</strong>gitale e ansia (analogica) reale_____ [Il game design come Golgotha catartico] <strong>di</strong> Marco Barbero “Il terrore come collante tra videogiocatore, videogioco, emozioni virtuali ed emozioni reali. L'ansia e il terrore come trait d'union tra la vita reale e la vita virtuale. Come spinotto emotivo che ci fa capire che il mondo videolu<strong>di</strong>co è vivo e non aliena le nostre emozioni…” Sono in una casa a due piani. Uno stabile apparentemente in mezzo al nulla. Il buco del culo del mondo, probabilmente. O la sua proiezione onirica. Fuori montagne <strong>di</strong> neve. Dentro l’inferno. Sono fuggito, da dove non lo so: non si vede uno stabile nel raggio <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> chilometri. Ora sono qui, all’interno <strong>di</strong> un casolare con mattoni a vista e con l’aria <strong>di</strong> appartenere alla più grigia delle città dormitorio <strong>di</strong> provincia. La camera ha un arredamento malinconico, freddo. Mobilia in legno scuro si <strong>di</strong>stende su tristi pavimenti <strong>di</strong> marmo, un <strong>di</strong>segno mélange da metà anni settanta. Non c’è ombra <strong>di</strong> polvere sulle bianche statuine da mercatino rionale che adornano la specchiera. Una porta a vetri buca le mura giallastre sfociando in un balcone. La forma a L dell’e<strong>di</strong>ficio mi permette <strong>di</strong> scorgere una ragazza nella stanza sulla facciata a<strong>di</strong>acente. E’ bellissima, sta rannicchiata <strong>di</strong>etro a un <strong>di</strong>vano, trattiene il respiro. E’ visibilmente terrorizzata. Ancora prima <strong>di</strong> riconoscerla so che voglio e devo <strong>di</strong>fenderla. E’ la mia Yorda. La porta del locale in cui è rintanata vibra violentemente, un secondo dopo viene squarciata da un braccio peloso. Rosa. Un grugnito accompagna l’entrata in scena <strong>di</strong> un Gromp tratto <strong>di</strong> peso da Herdy Gerdy: un orso quasi <strong>di</strong>sneyiano, ma in uno stato così febbrile <strong>di</strong> agitazione da renderlo bavoso, con gli occhi iniettati <strong>di</strong> sangue e munito <strong>di</strong> una paresi facciale impostata sul più crudele dei ringhi. L’orso setaccia la mobilia devastandola, lei esce dal suo nascon<strong>di</strong>glio giusto in tempo. Voltandosi, lo guardo minaccioso dell’animale taglia il vuoto che mi separa da lui, mi ha scorto. Esce con passo pesante calpestando la porta <strong>di</strong>velta. Sento il terrore che mi pervade ancor più <strong>di</strong> prima. Devo salvare me. Devo salvare lei. Gli attimi successivi riecheggiano <strong>di</strong> fughe e battiti del cuore accelerati, ma soprattutto sono pervasi dal terrore <strong>di</strong> perdere tutto: me e lei. E’ terrore vero, è adrenalina pura, è nonsense. E’ un sogno. Mi sveglio <strong>di</strong> soprassalto con due certezze: le origini del terrore videolu<strong>di</strong>co (e non) si spingono ben oltre il potere dell’ignoto e del non comprensibile; mangiare la peperonata a cena non è stata una buona idea. Sulla Collina Silenziosa risiede l’apice del terrore video indotto, un terrore la cui capacità <strong>di</strong> destabilizzare la psiche ruota su due car<strong>di</strong>ni principali: lo 4 scarto narrativo e l’ansia da fallimento <strong>di</strong>gitale. James Sunderland è appena entrato in un e<strong>di</strong>ficio grigio e apparentemente vuoto. I banchi <strong>di</strong> nebbia aleggiano all’esterno, lambendo le mura come onde <strong>di</strong> un mare maligno. Il protagonista spalanca una delle tante porte che adornano il lugubre corridoio, il cigolio è d’or<strong>di</strong>nanza. Al centro della stanza, un manichino vestito come la defunta moglie Mary ha appuntata, all’altezza del seno, una torcia elettrica, accesa. La sensazione <strong>di</strong> inadeguatezza è palpabile. Ciò che mostra il video granuloso non è qualcosa che dovrebbe esistere. Manca una logica <strong>di</strong>etro tale rappresentazione poligonale. Ci sono troppi “ma come può essere che…” a delimitare il terreno del razionale. Ecco lo scarto narrativo (uno dei più subdoli): la mancanza <strong>di</strong> una relazione causa effetto che provoca <strong>di</strong>sagio, fa insorgere domande, mette in moto irrefrenabile le pupille che prendono a scrutare ogni anfratto nella penombra della stanza e dei propri neuroni. James si avvicina cautamente alla torcia e la impugna. Le ombre danzano col movimento della sorgente <strong>di</strong> luce, la musica irrompe devastante. Un’accozzaglia <strong>di</strong> gambe e braccia monche, rivestite da una pellicola oleosa, viene investita dai fotoni rivelando la minaccia incombente. La concitazione, le mura anguste, la telecamera mobile e la poca <strong>di</strong>mestichezza con un sistema <strong>di</strong> combattimento ancora da assimilare fanno il resto. Il raggio della torcia allunga e accorcia le proiezioni dei corpi, il nemico viene inquadrato solo per alcuni attimi, James si muove <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente, agita un bastone <strong>di</strong> legno. I punti <strong>di</strong> riferimento sono completamente persi, qualche colpo va a segno, da entrambe le parti… pausa. Ecco la