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10. Di solito tradotto come “flauto”, <strong>il</strong> termine indica invece uno strumento ad ancia<br />

(semplice o doppia); fra gli strumenti moderni <strong>il</strong> più vicino ad esso nella struttura essenziale<br />

è l’oboe. Aveva in genere due canne, ciascuna con un certo numero di fori.<br />

11. Si veda ad esempio Pindaro, Olimpica III, 6 ss.: “Ora da me le ghirlande annodate<br />

alla chioma reclamano un debito eretto dal dio: che io fonda in giusta misura <strong>il</strong> vario tono<br />

di cetra e clamore di flauti e una trama di voci per <strong>il</strong> figlio di Ainesídamos [trad. L.Lehnus,<br />

M<strong>il</strong>ano 1981].<br />

12. Lo strumento a corda di uso più comune (normalmente adoperato nell’educazione dei<br />

giovani), che consisteva in una cassa armonica costituita in origine da un guscio di tartaruga<br />

e in due bracci che, a differeza della kiqavra, non costituivano un prolungamento<br />

della cassa ma erano a questa applicati.<br />

13. Amato in particolare dai poeti di Lesbo, era uno strumento la cui maggiore differenza<br />

con la luvra consisteva nella presenza di due lunghi bracci ricurvi. Le dimensioni molto<br />

ridotte della cassa di risonanza e la lunghezza delle corde dovevano produrre un suono<br />

di volume non ampio e di intonazione grave.<br />

14. Teognide, vv. 239-243: “Sarai presente a tutte le feste e a tutti i banchetti posando sulle<br />

labbra di molti: te celebreranno al suono degli auli brevi d’acuta nota giovani seducenti<br />

nell’armonia di melodiose canzoni” [trad. F.Ferrari, M<strong>il</strong>ano 1989].<br />

15. Plutarco, ad esempio, racconta (Vita di Nicia, 29, 4) come alcuni Ateniesi sopravvissuti<br />

al disastro m<strong>il</strong>itare di Siracusa (413 a.C.) nel corso della guerra del Peloponneso,<br />

ottennero cibo e acqua grazie alla loro capacità di cantare brani di Euripide.<br />

16. V. 101.<br />

17. V. 69.<br />

18. Insieme a frammenti minori, di lui ci è giunta una parte piuttosto ampia di una estesa<br />

composizione incentrata sulla battaglia di Salamina (fr. 15 Page).<br />

19. Euripide, almeno nell’ultimo periodo della sua attività, sembra partecipe di alcune<br />

delle nuove tendenze: così si potrebbe interpretare <strong>il</strong> maggior ricorrere di canti astrofici,<br />

per lo più affidati agli attori. Aristofane, d’altro canto, gli rimproverava, non sappiamo<br />

quanto a ragione, l’uso di una ridondante aggettivazione e di frequenti anadiplosi come<br />

semplici pretesti per modulazioni musicali. E ancora, ne deprecava la mescolanza di<br />

motivi provenienti da generi musicali diversi (Rane, vv. 1301 ss.: “lui prende <strong>il</strong> suo miele<br />

dappertutto: canti di puttane, canzoni di Meleto, motivetti per l’aulo della Caria, compianti<br />

funebri, arie di danza”[trad. D.Del Corno, M<strong>il</strong>ano 1985]). D’altra parte variazioni di<br />

ritmo compaiono in particolare nelle virtuosistiche monodie tardo-euripidee; ed è ancora<br />

Euripide a introdurre in alcune delle sue ultime tragedie canti corali che sembrano<br />

scorrelati dall’azione, basati come sono sulla narrazione di vicende mitiche e sul rincorrersi<br />

di belle immagini, forse precorrendo o rifacendosi al procedimento, che ci viene<br />

attestato per <strong>il</strong> tragico Agatone, di introdurre al posto degli stasimi della tragedia canti<br />

corali privi di aggancio con la situazione scenica, che si configurano come veri e propri<br />

riempitivi.<br />

20. Ciò si basa sulla concezione diffusa, attestata tra l’altro dai Pitagorici e da Damone,<br />

secondo la quale la musica poteva alterare lo stato d’animo di chi la ascoltava, e che<br />

quindi collegava a diversi effetti emozionali ed etici ritmi o modi musicali diversi.<br />

> Fig. 5, vaso attico, 470 a.C. ca.: Alceo e Saffo con barbitoi. (München, Staatliche<br />

Antikensammlung inv. nr. 2416).<br />

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