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quité, Paris 19656 , p. 553 n. 7 ribadisce l’aspetto eminentemente<br />
orale dell’insegnamento musicale anche<br />
per epoche successive a quella classica.<br />
7. Un livello sempre elementare dell’insegnamento<br />
musicale è testimoniato anche da Ael. V.H. 3. 32<br />
(Alessandro Magno impara a suonare la kiqavra): la<br />
dinamica del racconto, con <strong>il</strong> maestro che dice, al<br />
cospetto dell’alunno, quale corda pizzicare e l’alunno<br />
che ne indica (deivxaç) un’altra, lascia presupporre una<br />
modalità di apprendimento ugualmente mimetica.<br />
Sul versante dell’istruzione professionistica cfr. invece<br />
Plut. Demet. 1. 6 (i maestri in questo caso sono i<br />
tebani Ismenia ed Antigenida, acclamati virtuosi dell’auletica<br />
fra <strong>il</strong> V/IV sec. a.C.).<br />
8. Cfr. A. Bélis, Les Musiciens dans l’Antiquité, Paris<br />
1999, pp. 159 e 163.<br />
9. Conosciamo comunque delle eccezioni significative,<br />
vd. ad es. P.Berol. 6870 (antologia musicale del II-<br />
III sec. d.C., contenente, nell’ordine, un peana, un<br />
interludio strumentale, un excerptum tragico: anche<br />
questa sola contiguità esecutiva di ‘occasioni’ del<br />
canto così statutariamente diverse in epoca classica<br />
traduce bene la profonda modificazione della percezione<br />
della dimensione spettacolare in età imperiale).<br />
In questo importante papiro infatti la mano che ha<br />
vergato <strong>il</strong> pezzo strumentale è la medesima che ha<br />
redatto <strong>il</strong> testo, e l’interludio strumentale stesso presenta<br />
tante e tali correzioni, così profondamente<br />
diverse dalla prima versione, da fare pensare non ad<br />
un semplice errore di copiatura ma alle tracce materiali<br />
di un compositore al lavoro: ci troveremmo dunque<br />
dinanzi addirittura ad un esemplare autografo di<br />
una partitura originale. Il medesimo problema si<br />
ripresenta anche per P. Mich. 2958 (II d.C.); cfr. Bélis,<br />
op. cit., p. 177.<br />
10. Talora con interventi episodici di un coro, quasi a<br />
riprodurre, mimeticamente e visivamente, l’integrità<br />
dello spazio orchestico del teatro classico del V sec.<br />
a.C. L’esempio più noto è quello di S.I.G. 648 B: l’auleta<br />
Satiro di Samo nel 194 a.C., nello stadio di Delfi,<br />
si esibì in uno spettacolo comprendente <strong>il</strong> canto delle<br />
parti di Dioniso nelle Baccanti di Euripide, con l’accompagnamento<br />
della cetra e con l’intervento amebeo<br />
del coro (a\içma meta; corou' Diovnuçon kai; kiqavriçma<br />
ejk Bakcw'n Eujripivdou; cfr. B. Gent<strong>il</strong>i, Lo spettacolo nel<br />
mondo antico, Roma-Bari 1977, pp. 17-18 n. 39): un’ab<strong>il</strong>e<br />
operazione di antologizzazione musicale, con<br />
conversione in canto anche di metri originariamente<br />
recitati (trimetri giambici). Un altro esempio di canto<br />
amebeo fra coro e attore, questa volta nel I sec. a.C.,<br />
sempre nell’ambito di una performance che prevedeva<br />
selezioni tragiche, ancora una volta dalle Baccanti<br />
35<br />
Fig. 4, skyphos attico a figure rosse<br />
di Pistoxenos, da Cerveteri, 475 a.C.<br />
ca.: Ificle a lezione di lyra da Lino.<br />
(Schwerin, Landesmuseum n. inv.<br />
708).<br />
Fig. 5, coppa attica a figure rosse di<br />
Douris, 480 a.C. ca.: lezione di<br />
musica (lyra).<br />
(Berlin, Staatliche Museen F 2285).<br />
Fig. 6, coppa attica a figure rosse di<br />
Douris, 480 a.C. ca.: lezione di<br />
musica (aulos).<br />
(Berlin, Staatliche Museen F 2285).