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Entrambi i testi ci consegnano infatti significative varianti testuali rispetto al<br />

resto della tradizione medievale, lasciandoci nel contempo gettare uno sguardo<br />

su quello che doveva essere un f<strong>il</strong>one di tradizione tendenzialmente distinto ed<br />

indipendente da quello testimoniatoci dall’ecdotica alessandrina, strettamente<br />

legato agli aspetti performativi dei testi eseguiti e vincolato a sistemi di organizzazione<br />

interna (ritmizzazione e articolazione metrica) più fluidi ed ‘altri’<br />

rispetto a quelli codificati dalla moderna prassi colometrica. Nel III sec. a.C. si<br />

possono così osservare già operanti le linee di un graduale, profondo mutamento<br />

culturale che ha di fatto determinato la perdita di gran parte del patrimonio<br />

musicale scritto: già per i dotti f<strong>il</strong>ologi alessandrini la produzione poetica<br />

arcaica e classica (lirica corale, monodica e poesia drammatica) doveva essere<br />

percepita come destinata esclusivamente alla lettura, con conseguente disinteresse<br />

agli aspetti più propriamente performativi. Lo stretto legame che i testi<br />

musicali a noi giunti mostrano con l’alta professionalità e specializzazione presupposte<br />

devono presumib<strong>il</strong>mente già da prima avere contribuito ad una precoce<br />

separazione fra tradizione della musica e tradizione del testo.<br />

Un insieme di testimonianze, dunque, quelle offerte dai papiri musicali, che<br />

lasciano problematicamente aperte molteplici prospettive di ricerca, che<br />

dovranno essere affrontate non solo dagli specialisti dello studio della musica<br />

nell’antichità ma da chiunque voglia tentare di avere una visione globale e onnicomprensiva<br />

della civ<strong>il</strong>tà greca.<br />

Note:<br />

1. La notazione greca comprendeva due diversi<br />

sistemi semiografici: uno destinato alla musica strumentale,<br />

presumib<strong>il</strong>mente più antico, forse derivato<br />

da un alfabeto epicorico argivo, ed un secondo<br />

destinato alla musica vocale (tale distinzione, netta<br />

nei trattati teorici, sembra in parte sfumare negli<br />

spartiti a noi giunti). Entrambi ut<strong>il</strong>izzavano le lettere<br />

dell’alfabeto ionico classico o nella forma normale<br />

(ojrqovn), o disposte orizzontalmente (ajneçtrammevnon:<br />

suono innalzato di una diesis enarmonica o cromatica)<br />

o rovesciate (ajpeçtrammevnon: ulteriore innalzamento<br />

di una seconda diesis enarmonica o cromatica)<br />

o con l’aggiunta di un apex o modificate nella<br />

figura. A ciò va aggiunta la presenza di segni chironomici<br />

(indicanti effetti di pausazione, superallungamento<br />

della s<strong>il</strong>laba - anche attraverso la reduplicazione<br />

vocale -, legatura etc.) che dovevano servire<br />

ad interpretare ritmicamente <strong>il</strong> dettato, spesso<br />

andando a modificare la maglia metrica sottostante.<br />

Tutti questi çhvmata (segni) venivano solitamente<br />

apposti supra lineam rispetto al testo del mevloç a cui<br />

33<br />

Fig. 1, Kopenhagen inv. nr. 14897 =<br />

epitafio di Sic<strong>il</strong>o, II d.C.

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