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umani fossero armonia” e “ credeano che da dolci et soavi concenti fossero eccitati<br />

a temperare i discordanti affetti”. Alcuni anni dopo, nel 1581, dette alle<br />

stampe <strong>il</strong> Dialogo sopra la musica antica et moderna, dedicato a Giovanni Bardi,<br />

uno dei maggiori esponenti di quella Camerata fiorentina di cui si è detto.<br />

Nell’opera, in cui gli interlocutori sono lo stesso Bardi e Pietro Strozzi, Gal<strong>il</strong>ei<br />

riafferma quanto accennato nel primo dialogo. I Greci sono per lui i veri maestri<br />

ed inventori della musica e presso di loro quell’arte era tenuta in altissima considerazione.<br />

Nel Dialogo l’autore si soffermava particolarmente sulla riscoperta della<br />

monodia antica e sulla sua possib<strong>il</strong>e applicazione al panorama musicale contemporaneo.<br />

Esprimeva in tal modo l’avversione “al contrappunto esasperato” e<br />

auspicava <strong>il</strong> ritorno alla presunta semplicità della scuola musicale greca. Citando<br />

Platone ribadiva la superiorità della parola sulla musica. Questa evoluzione dette<br />

luogo alla nascita degli “intermedi” (messi in scena durante le nozze di Francesco<br />

de’ Medici con Bianca Capello nel 1579) e da questo si giunse al melodramma.<br />

Scrive al riguardo Mario Baroni che <strong>il</strong> proposito degli intellettuali che<br />

dettero vita alla Camerata fiorentina aveva le sue radici nell’idea tipicamente<br />

umanistica di studiare e di ridare circolazione moderna non solo alla concezione<br />

musicale degli antichi greci, ma all’uso che della musica essi avevano fatto nello<br />

spettacolo tragico. Ebbe pertanto origine uno st<strong>il</strong>e adatto a sottolineare le situazioni<br />

emotive, e a studiare gli “affetti” indotti nell’animo di chi ascolta dalla<br />

musica. Vedremo come questa linea di sv<strong>il</strong>uppo musicale incontrò tra i suoi maggiori<br />

interpreti personaggi come Marin Mersenne, lo stesso Kircher e Cartesio,<br />

nel Seicento, per giungere, nel Settecento a Rameau, a Matheson ecc. Non si<br />

trattava, come avevano teorizzato i primi musicisti e umanisti della Camerata fiorentina,<br />

di una subordinazione della musica alla parola o meglio all’orazione, ma<br />

piuttosto di una subordinazione di parola e musica insieme a questo ideale pervasivo<br />

di tutta la civ<strong>il</strong>tà artistica barocca: esprimere o imitare gli affetti al fine di<br />

soggiogare <strong>il</strong> pubblico, per commuoverlo ed emozionarlo. 4<br />

Le opere di Vincenzo Gal<strong>il</strong>ei, <strong>il</strong> “lamento del conte Ugolino” e le “lamentazioni<br />

di Geremia” sono andate perdute, ma ci sono rimaste varie testimonianze della<br />

produzione della Camerata.<br />

Gal<strong>il</strong>ei, oltre che sugli strumenti musicali greci, dissertava nel suo dialogo sul<br />

sistema di notazione musicale degli antichi. In un volume della seconda metà<br />

del IV secolo dopo Cristo, conservato nella biblioteca del “Cardinal Sant’Angiolo”<br />

(ora alla Vaticana), intitolato delle note degli antichi musici greci opera di<br />

un autore noto come Alypio, egli trovava i differenti segni che usavano gli “antichi<br />

per dinotare le corde dello strumento, a differenza”, come egli stesso scriveva,<br />

“di quelli che significavano <strong>il</strong> suono della voce”. 5 In altri termini Gal<strong>il</strong>ei riferiva<br />

come nell’antichità si usassero due sistemi di notazione alfabetica: quella<br />

strumentale con le lettere dell’alfabeto fenicio e quella vocale con le lettere dell’alfabeto<br />

attico. Cosa confermata dagli scritti di Boezio.<br />

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