Libretto - Radio Rai

C a n d i d o e l e r a g i o n i d i u n f u r o r e
un Voltaire veramente arrabbiato, è una fulminea galoppata tra vecchio
e nuovo mondo e ritorno che si mantiene in equilibrio tra l’apologo, il
bildungsroman, la black comedy, il romanzo picaresco, la distopia e il
feroce pamphlet. Se gli ascendenti letterari sono il Gil Blas di Lesage, Les
aventures de Télémaque di Fénelon, Don Chisciotte, naturalmente, e l’Histoire
des Voyages de Scarmentado di Voltaire stesso, quelli filosofico-teologici
hanno radici nella querelle senza esclusione di colpi tra i sostenitori
di ottimismo e pessimismo, due visioni del mondo codificate nel secolo
del razionalismo.
Tempo fa un prestigioso domenicale invitava i lettori a raccontare un
classico in meno di 100 caratteri. Un signore col dono della sintesi ha
riassunto i trenta capitoli di Candide così: “Coltivare la terra (meglio che
se stessi: in società – questa – non ci si guadagna nulla!”). Saggezza, questa,
conquistata nel finale del romanzo a duro prezzo da Candido, che si
ritrova povero, ammogliato con la sua ex bella madamigella Cunegonda
un po’ frusta per le ripetute iniziazioni sessuali impartite dai più svariati
mascalzoni e ormai francamente racchia. Disilluso, ma infine affrancato
dall’Eden illusorio di Pangloss e dal migliore dei castelli possibili, la
bicocca del barone Thunder-ten-Tronckh, da cui fu cacciato a suon di
calcioni nel sedere per un bacio d’amor all’inizio del romanzo.
Voltaire pubblicò nel 1759 questo romanzo satirico con lo pseudonimo
di un tedesco Docteur Ralph per sfuggire alla censura, e per allontanare
da sé i sospetti si spinse fino a definirlo, impagabile civetteria!, una “connerie”.
Divenne uno strepitoso successo editoriale in tutta Europa: 30.000
copie solo il primo anno, edizioni pirata, traduzioni e scomuniche. Nel
frattempo aveva messo in atto l’esortazione pragmatistica, per niente rassegnata,
del suo Candido “il faut cultiver votre jardin”, si era rimboccato
le maniche e si era messo a coltivare un suo “giardino” immenso.
Si era ritirato a Ferney, amena località nei pressi di Ginevra, di cui divenne
l’illuminato monarca, imprenditore e benefattore. La scelta non fu
casuale in quanto la vasta tenuta con vista sul Jura e sulle Alpi rispondeva
a un requisito strategico. Essendo il suo castello sul confine tra Francia e
Svizzera, e avendo il “Padre della Rivoluzione francese” noie e pendenze
di vario tipo - politiche, religiose, editoriali - con entrambi i governi, gli
era sufficiente allungare la passeggiata nel parco nell’una o nell’altra dire-
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