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La TOSCANA - Dicembre 2013

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Giuliano<br />

Ghelli Cinquant’anni<br />

di storia tra pittura<br />

e scultura<br />

di Daniela Pronestì<br />

Cinquant’anni di storia tra pittura e scultura. Cinquant’anni<br />

di passione e dedizione all’arte. Un traguardo importante<br />

a cui Giuliano Ghelli è arrivato senza mai venire meno alla<br />

coerenza e all’onestà del suo lavoro. <strong>La</strong> mostra “50 anni<br />

di viaggio tra pittura e scultura” inaugurata a Firenze venerdì 8 novembre<br />

nelle sale di Palazzo Panciatichi, sede della Regione Toscana,<br />

racconta la sua biografia artistica attraverso una selezione di<br />

opere che vanno dagli esordi ad oggi. Un’occasione unica per ricostruire<br />

le fasi di una storia iniziata nella Firenze degli anni Sessanta,<br />

città allora animata da grandi fermenti culturali e profondamente<br />

divisa tra “consevatori”, ovvero i figurativi, e “progressisti”, cioè gli<br />

astrattisti e quanti seguivano gli esiti della ricerca informale, dell’Espressionismo<br />

astratto americano e dell’arte concettuale. All’epoca<br />

questa categoria d’artisti trovava un punto di riferimento nella Galleria<br />

Numero di Fiamma Vigo, intellettuale raffinata e lungimirante,<br />

portatrice di una visione dell’arte che, precorrendo il polimorfismo<br />

contemporaneo, legittimava sperimentazioni e linguaggi diversi da<br />

quelli tradizionali, a condizione che fossero motivati da ragioni forti<br />

e convincenti. Sulle pagine della sua rivista sono passati artisti<br />

come Capogrossi, Vedova, Pomodoro e Scanavino, mentre la sua<br />

galleria ha accolto, tra gli altri, gli astrattisti classici capeggiati da<br />

Vinicio Berti e Gualtiero Nativi, unico gruppo di avanguardia allora<br />

attivo a Firenze. Intorno a lei gravitava un cenacolo culturale che<br />

univa arte, musica, cinema e letteratura e che contribuiva alla formazione<br />

di una generazione di giovani leve tra cui Giuliano Ghelli.<br />

Del periodo trascorso al seguito di Fiamma Vigo, l’artista fiorentino<br />

ricorda con piacere la grande varietà di stimoli che hanno contribuito<br />

a fare della storica galleria la sua “libera e affascinante università”,<br />

come lui stesso ama dire. Per un giovane di belle speranze e d’indubbio<br />

talento esporre nella sede milanese della Galleria Numero significò<br />

ricevere una prima importante attestazione del suo lavoro, che<br />

all’epoca lo vedeva impegnato in un registro espressivo di tipo<br />

astratto-informale. Sono gli anni delle tempere e dei bottoni su tela,<br />

delle sabbie e dei sugheri, in cui già emerge quella “purezza fiduciosa”<br />

nei valori dell’arte che Giancarlo Oli gli attribuisce nella recensione<br />

critica delle sue opere giovanili. Una tappa fondamentale a cui<br />

fanno seguito, negli anni Settanta, i contatti con l’ambiente artistico<br />

americano, tra Action Painting, New Dada e Pop Art, che consolidano<br />

il suo bisogno di vivere il momento creativo come esperienza libera<br />

e totalizzante. <strong>La</strong> gestualità energica della pittura d’azione, i<br />

combine-paintings di Rauschenberg, i colori acidi e irreali delle icone<br />

pop lo affascinano senza influire però sulla sua produzione, che<br />

fin da subito assume un carattere e una riconoscibilità propri. In questo<br />

periodo si avverte una prima apertura alla figurazione fantastica<br />

con l’introduzione del robot-burattino, che da questo momento in poi<br />

Giuliano Ghelli<br />

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