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IL PROGETTO CONTATTI - Dronet

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analitica dove si trova il bandolo che ci permette di capire l’essenza del social work e la sua irriducibiledifferenziazione, innanzitutto, dal «lavoro sanitario» (Downie e Telfer, 1980).In due parole, possiamo dire così: il sociale presuppone la capacità d’azione dei soggetti ai quali si rivolge. Ilsanitario la loro «incapacità». Nella classica logica riparativa della sanità (detta di curing), quanto più ilpaziente è tale, cioè ha la pazienza di sopportare, stando fermo «senza agire», tanto meglio è, in generale.Quanto meno egli fa valere sue pretese o sue esigenze o sue idee; in generale, quanto meno fa entrare ancheinconsapevolmente nel processo terapeutico variabili legate alla sua psiche (che pure ci sono sempre), tantopiù fortunato è quel terapeuta che cerca di guarirlo.Un operatore sociale ha invece davanti un quadro «epistemico» più sofisticato, pieno di ambivalenzeaffascinanti e purtroppo insidiose. Deve aiutare le persone che si rivolgono a lui facendo riferimento a unaconvinzione controintuitiva. Deve tenere a mente che conta soltanto la capacità di azione di quei suoi utenti,anche se è una capacità che «evidentemente» non c'è, perché apposta loro sono venuti da lui per farsiaiutare. 10 Questo paradosso sembra un gioco di parole, ma quando è compreso fino in fondo diviene il puntodi leva che fa letteralmente saltare per aria gli schemi meccanicistici/ingenui della relazione di aiutotradizionale.Guardare la capacità di azione di chi ufficialmente non ne ha, vuol dire, in estrema sintesi:1. Superare il concetto di utente, o meglio: pensare simultaneamente che l'utente c'è e non c'è (ovvero: cheè un'entità -non una persona -e che in tale veste non lo si trova da una «parte» sola).2. Superare il concetto di «esperto», o meglio: pensare simultaneamente che l'esperto c'è e non c'è (e cheanche questa entità non è da una «parte» sola).La relazione di aiuto classica è basata sull’idea intuitiva che da una parte della scrivania siede uno che haconcentrato dentro di lui la competenza e il potere di risolvere il problema (l'esperto) e dall’altra siede unoche ha concentrato dentro di lui la necessità di ricevere la soluzione (figura 8.1). In realtà dobbiamo guardareal di là delle apparenze. Dobbiamo riuscire a vedere che l'utente e l’esperto siedono contemporaneamente diqua e di là: l'utente -oltre a essere nella classica condizione di chi non sa e ha bisogno di aiuto, è un po' nellaposizione di esperto. Contemporaneamente l'operatore, oltre a essere nella canonica condizione di chi sa - èun po' nella posizione di utente: di chi non sa, e deve farsi aiutare. Torneremo su questo punto tra poco.Relazione di aiutoApproccio deterministicoUtenteApproccio relazionaleUtente (esperto)EspertoEsperto (utente)Fig. 8.1 Differenti concezioni della relazione di aiuto.Incontriamo poi l’enorme questione della soggettività, il cui rilievo teoretico per le scienze umane ci è statoinsegnato da Husserl ( 1961) ma che assume anche un fortissimo rilievo pratico per il social work. Porre alcentro della pratica professionale la capacità di azione vuoi dire ancora:3. Superare l'idea che ci sia un oggetto del lavoro sociale, cioè che nel suo mestiere un operatore socialeabbia un target da colpire, una persona da modificare secondo i suoi parametri oggettivi.4. Più in generale, vuol dire superare l'idea che l'operatore abbia uno schema di azione predefinito.L'operatore deve avere delle direzioni in testa, ma non obiettivi, cioè acquisizioni statuite ex ante sullabase di un senso oggettivo prevalente. (Semmai, se tutto va bene saranno gli obiettivi della realtà aretroagire e possedere per così dire l’operatore, nel senso di «portarlo da loro», se sono sensati.)10 Dire che è essenziale la capacità di azione degli utenti non significa negare romanticamente i loro deficit, non vedere sic etsimpliciter i loro problemi. Vuoi dire saper vedere dentro il deficit, o oltre il deficit, la loro capacità di azione, il che è diverso.

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