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20 febbraio - Associazione Luca Coscioni

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16WELBY:IL DIRITTOE LA LEGGECOSTITUZIONE E CODICEPENALE, IL CASO WELBY,PER FARE CHIAREZZAMARIO PATRONONello specifico del caso «Welby»la matassa delle regole giuridichepuò apparire ingarbugliata più diquel che in effetti è.È accaduto non poche volte che i«testimoni di Geova» abbiano rifiutatotrattamenti medici trasfusionalie che ciò abbia comportatol’impraticabilità di valide terapiealternative per le malattiecontratte e, quindi, il decesso anticipatorispetto al tempo in cuisarebbe avvenuto ove queste terapiefossero state invece praticate.Ciò non ha dato luogo a problemio discussioni giuridiche,essendo pacifico il diritto del malatodi accettare o no le terapie. Èvero solo che, quando il rifiutodelle terapie trasfusionali nonconcerne la persona che vi si opponema un minore, affidato allapotestà genitoriale, il genitoreviene sostituito da un curatorespeciale, atteso che i criteri cui siinformerebbe la sua scelta nonsono quelli mediamente accoltidalla società in cui viviamo. È stataesclusa, coerentemente, l’alimentazioneforzata di chi adottauno sciopero della fame, salvo ilcaso di infermità di mente, aisensi dell’articolo 34, legge833/1978 (Trib. Milano,10/04/1989, in Rassegna Studipenitenziari, 1989, 280).È, dunque, ormai pacifico che ilpaziente può rifiutare alcune otutte le terapie e ciò, del resto, discendedai principi costituzionalie da precise norme di legge.L’articolo 32 della Costituzioneprevede che solo con legge posanoessere imposti trattamenti sanitarie che, dunque, in assenzadi una precisa previsione di legge,non sussiste l’obbligo di accettarli;sussiste, invece, la facoltàdi rifiutarli. Il diritto di autodeterminazionedel malato ed ilprincipio del c. d. «consenso informato»è poi affermato esplicitamentedall’articolo 6 dellaConvenzione di Oviedo, recepitacon la legge 28/3/<strong>20</strong>01, n. 145.Di più, i medesimi trattamentisanitari obbligatori, come in generesi ritiene in dottrina (Cerri,Modugno), e come la Corte costituzionale,nella sentenza n.218/1994, accenna a dire, possonoessere imposti (secondo unacorretta interpretazione sistematicadell’articolo 32 dellaCostituzione) solo a salvaguardiadell’interesse di «terzi», non nell’interesse(paternalisticamenteinteso) del malato che li rifiuta.Del resto, la stessa legge che puòrendere obbligatori certi trattamentisanitari incontra limiti neiprincipi costituzionali, secondol’opinione più accreditata.Carlo Verdone:L’eutanasiaarriverà, comeil divorzioPerché in Italia si punta tutto su film come Manuale d'amore?"Qualcosa di nuovo non si può fare. Ma che fai un film sull'eutanasiacome The Million Dollar Baby di Clint Eastowood? Selo fai, Vespa apre subito Porta a Porta, chiama quattro cardinalie… si sa. A me quel film è piaciuto proprio perché toccaquell'argomento che trovo estremamente importante, un attodi grande civiltà. Io ci sono passato attraverso la malattia dimia madre e so cosa significa tenere in vita per un anno interouna persona ridotta ad un tronco. Però abbiamo delle forzepolitiche che sono fatte in un certo modo, e la Chiesa con lasua dottrina, che non ce lo consentono. Credo però che ci arriveremo:sembrava che anche il divorzio fosse una cosa impossibilein questo Paese, ma alla fine ci siamo arrivati". (intervistarilasciata a Edoardo Semmola per il suo blog www.alteredo.info)Di fronte ad un quadro così solidodi princìpi (e di precedenti),come è potuto accadere che, nelcaso Welby, la polemica si sia scatenataed il dubbio si sia insinuatonelle menti dei giuristi ed anchedel grande pubblico? La ragioneè semplice: erisiede nella circostanzache, in questo caso,non si trattava di «omettere» untrattamento sanitario rifiutato,ma di «commettere» un precisoatto di distacco della spina e successiviatti volti a lenire l’incombentesofferenza. Il passaggio dauna condotta omissiva ad unacondotta commissiva ha scatenatodubbi e polemiche altrimentiimpensabili. Ed allora èstato evocato il delitto di omicidiodel consenziente (articolo579 del codice penale), oltre lafattispecie di aiuto al suicidio, anch’essaprevista e punita, benchéin misura più lieve, dal codice penale(all’articolo 580).In realtà, da un punto di vista giuridico,non è decisivo e neppurerilevante che la condotta siaomissiva o commissiva; ancheuna condotta omissiva, del resto,genera una responsabilità penaleper l’evento, allorché si omettaun atto giuridicamente dovuto(articolo 40, ultimo comma, delcodice penale). Il problema, appunto,è questo: come non esisteun dovere del medico di curareuna persona contro la sua volontà(e, dunque) non esiste una responsabilitàove da tale omissionederivi, in questo caso, unevento dannoso o letale, così esiste,invece, un preciso dovere dirimuovere una terapia non accettata.Se, infatti, è previsto il dirittodel malato di rifiutare una terapia,ne consegue anche il corrispondentedovere del medico dirimuovere la terapia in atto senon accettata, almeno quando laterapia sia stata posta in esseredal medico ed il malato non sia ingrado di interromperla con le suemani. L’esercizio del diritto daparte del malato impone al medicoun corrispondente dovere: enessuno può essere punito se hacommesso il fatto nell’eserciziodel diritto o nell’adempimentodel dovere (articolo 51 del codicepenale).Per la verità, il codice penale nonPerché non sono affattoconvinto che il sapere e lascienza prima o poi l'avrannovinta: la storia è piena di ottimecause, seppellite sotto unamontagna di ragioniconfigura unvero «diritto al suicidio»; pur, infatti,non essendo punibile chitenta il suicidio, è previsto e punitocome reato chi coadiuva il suicidao chi uccide il consenziente,come ho accennato. Nell’otticadel codice penale, il suicidio nonè un atto lecito; e la ragione dellanon punibilità è di politica criminale,piuttosto che di oggettiva liceitàdel fatto. Si ritiene, per unverso, inutile minacciare una penanei confronti di chi è pervenutoad un grado estremo di disperazione,al punto di volersi toglierela vita; e poi si ritiene opportunoagevolare ogni ragione di desistenzada un gesto e da un atteggiamentoche provoca la compartecipazioneal dolore più chela riprovazione. L’inutilità dellaprevenzione generale in questocampo e ragioni di «rieducazione»,si potrebbe dire, e cioè diagevolare un più facile reinserimentodel mancato suicida nellacomunità, giustificherebbero,nell’ottica codicistica, il differentetrattamento fra il mancato suicidae chi lo ha coadiuvato o chi,addirittura, si è sostituito all’interessato,evidentemente impeditodalcompierel’atto.Vero è chequesto impiantolegislativo e la sua logicanon sono del tutto in sintoniacon la logica dell’articolo 32 dellaCostituzione e dellaConvenzione di Oviedo; con riguardoal malato si parla propriodel diritto ad esprimere un consensoinformato alle terapie e nelmedesimo senso depone la generalenon obbligatorietà (salvapuntuale previsione di legge) deitrattamenti sanitari (di cui all’articolo32 della Costituzione).Sembra, dunque, che, ove si interpretasserole previsioni codicistichecome incompatibili con ilprincipio di autodeterminazionedel malato queste dovrebbero essereconsiderate palesemente incostituzionali.Un’ultima osservazione. In questigiorni si è molto discusso - aproposito del caso Welby - del cosiddettoaccanimento terapeutico,come via di uscita da una situazioneche rischiava di divenireinsostenibile. In realtà, a prescinderedalla difficile definizione ditale fattispecie, nel caso non sitrattava di accanimento nel tenerein vita una persona ormai privadi coscienza; ma, invece, di somministrareun trattamento complessoe sofisticato a persona chelo rifiutava.Mario Patrono è Professoredi diritto pubblico all’Università''La Sapienza'' di Roma.Informazioni giurisprudenzialiCorte App. Milano, dicembre 1999, inForo it. <strong>20</strong>00, I, <strong>20</strong>22 ss., con nota diPonzanelli, che fa il punto della situazionenella giurisprudenza americana (casoCruzan) ed inglese (caso Bland) a quelladata; in America si ammette il rispettodella volontà di morire, anche provata invia testimoniale, quando il malato sia instato di incoscienza. Cass., s. III, s.16/5/<strong>20</strong>03, n. 7632. Corte europ. dir. dell'uomo,29/4/<strong>20</strong>02, n. 2346/02 sul casoPretty. High Court of Justice del RegnoUnito, 22/3/<strong>20</strong>02, in Foro it. IV, 57, <strong>20</strong>03.Corte di giustizia CE 6/3/<strong>20</strong>01, C 273/99,Racc. <strong>20</strong>01, pag. 1575.

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