26UNIVERSITÀ!REGOLEE RIFORMELA VERA RIFORMA?RISPETTARE LE NORME ESISTENTINon servono soluzioni miracolistiche. Occore iniziare con l’applicazione delnuovo ordinamento didattico.ALESSANDRO FIGÀ TALAMANCAProfessore di Analisi matematicaall'Università di Roma "La Sapienza"Quando si parla di riforme perl’università, ci si tiene generalmentesul vago, oppure si propongonosoluzioni miracolisticheche dovrebbero rimediare atutti i mali. Bisognerebbe invecepartire da problemi concreti, inmodo che le proposte siano giudicateper l’effettiva capacità dirisolverli senza crearne di più gravi.A titolo di esempio elencheròtre problemi, risolvibili con azioniconcrete senza soluzioni miracolistiche.Quello più grave riguarda l’applicazionedel nuovo ordinamentodidattico, disegnato per impartireun'istruzione universitaria dimassa al 30-40% della popolazionegiovanile, ma che non può rinunciarea coltivare, in una minoranzadegli studenti, una formazioneavanzata. Ci sono normeche imporrebbero una selezioneall’ingresso degli studi universitari,che consentirebbe diimpartire ad alcuni una istruzionepreparatoria ai veri studi universitari,ad altri una istruzioneuniversitaria adatta alla massadegli studenti e ad altri ancorauna istruzione già dai primi annipiù approfondita. Altre normeimpongono un’ulteriore severaselezione individuale per l’ammissionealla laurea “magistrale”.Quali sono gli ostacoli che rendonodifficile l’applicazione di questenorme? Quali incentivi dovrebberoessere offerti alle universitàche le applicano? Se nonsi affronta seriamente questoproblema si rischia, da un lato, dinegare un’istruzione universitariaa chi ne trarrebbe profitto, sesolo potesse accedere, dopo lamaturità, a corsi preparatori aglistudi universitari più impegnativie più utili per il paese, ma si rischiaanche, ad esempio, di abbassare,l’insegnamento universitariodi ingegneria al livello prevalentementerichiesto dal mercatoe compatibile con la preparazionee le aspettative dellamaggioranza degli studenti, e ditrovarci tra qualche anno a cortodi giovani ingegneri in grado diprogettare in modo innovativo.Un secondo problema è quellodella formazione degli insegnantidi scuola secondaria, per i qualiè previsto ora un percorso universitariodi almeno otto anni,per ottenere l’abilitazione all’insegnamento.Questo non soloscoraggia gli studenti miglioridall’intraprendere questi studi,ma alimenta scorciatoie irregolari,per raggiungere l’abilitazioneall’insegnamento e l’impiego atempo indeterminato, scorciatoieregolarmente “sanate” da leggineapprovate dal Parlamento.Per risolvere questo problemabasterebbe una decisa presa diposizione del Governo, che rompala situazione di stallo dovuta acontrasti tra due diverse specie didocenti: quelli delle facoltà di letteree quelli delle scuole di specializzazioneper la didattica.Nessuna delle due specie vuolemollare la presa sulla formazionedegli insegnanti dopo la laureatriennale, che considerano unafonte potenziale di “cattedre universitarie”.Ma non dovrebberoessere gli attuali studenti ed i futuriallievi della scuola secondariaa pagare per contrasti tra accademici.Un terzo problema riguarda laqualità dell'insegnamento nellemolti sedi periferiche o "distaccate",dove l'istruzione è impartitada migliaia e migliaia di "professoria contratto" dei quali siignorano le qualificazioni, e chespesso sono pagati con compensiirrisori. I numerosi corsi, quasi“a costo zero”, sponsorizzati daenti locali, dove i docenti ufficialinon possiedono le qualificazioniminime corrispondenti ad undottorato di ricerca, non sono vericorsi universitari e pertanto costituisconoun inganno per glistudenti, e dovrebbero esserechiusi.I PROFESSORIAL PRESIDENTE PRODISignor presidente,come ella certamente sa, tra gliuniversitari serpeggia una sensazionedi smarrimento, a volteorientata verso la delusione piùdisimpegnata, a volte verso laprotesta più sconsiderata, a causadella grande distanza tra leaspettative riposte in questo governoe le concrete azioni che sinqui sono state intraprese.Contemporaneamente, voci autorevoli,ma interessate, promuovononell'opinione pubblica l'immaginedi una università allo sfascio.Non è così, e lei lo sa bene(…). Noi lavoriamo nell'universitàe ci crediamo. Sotto vari aspettil'università italiana si sta sviluppandopositivamente e, tenutoconto della scarsità di fondi e dell'obsolescenzadel sistema, si stacomplessivamente muovendonella direzione giusta (…). Masenza risorse non si va avanti. Sein varie sedi, anche governative, èmaturata la convinzione che gliinvestimenti sull'università cosìcome è oggi non siano pienamenteproduttivi, il dovere del governosarebbe quello di renderlitali, non di depotenziare ulteriormentel'intero sistema senza distinguere.Anche a nostro avvisoesistono nell'università deglisprechi e degli squilibri che un governoriformatore, insieme alleforze universitarie dedicate e progressiste,dovrebbe impegnarsi dasubito a combattere.L'istituzione dell'agenzia per lavalutazione è una scelta che condividiamopienamente (…). Mal'esperienza dei Paesi che hannoda tempo in atto strumenti diquesto tipo ha mostrato che daquando il sistema viene messo apunto a quando esso è concretamenteutilizzabile per orientare lescelte finanziarie passano parecchianni (almeno 3 o 4); gli ateneinon possono certo attendere tanto.L'immissione, assolutamentenecessaria fin dall'inizio del <strong>20</strong>07,di risorse aggiuntive rispetto aquelle previste nella Finanziaria,a partire dalla riconsiderazionedella situazione con la trimestraledi cassa, dovrebbe pertanto anticiparealcuni criteri premianti,privilegiando le assegnazioni alleUniversità che (…) presentinodocumentati progetti di “miglioramentodella qualità” (riduzionedi costi, maggiore efficacia edequità connesse a innovazioni eall'uso più efficiente delle risorse);alla valutazione ex ante dovrà seguirneuna corrispondente expost organizzata in modo affidabilee rigoroso. Citiamo, al proposito,due esempi concreti (…).1) L'università può decidere di incentivareper i docenti a tempopieno l'attività esterna riferibileall'istituzione, in modo che anchegli atenei ne traggano vantaggio(una improvvida norma sul pubblicoimpiego ha lasciato agli ateneitotale discrezionalità nell'autorizzareper essi attività private,in contrasto con l'idea stessa didocente a tempo pieno). (…) Al riguardo,anche il Governo potrebbeutilmente operare dando a tuttele strutture pubbliche un precisoindirizzo: se è ritenuta utile laconsulenza di un docente universitario,la si affidi sempre tramitel'istituzione e non a titolo personale.2) L'università può attuare immediatamente(solo pochi ateneihanno finora provveduto) la normache impone 1<strong>20</strong> ore di attivitàdidattica “frontale” ai docenti atempo pieno (80 ai docenti a tempodefinito).Da questi esempi, che potrebberoessere completati da molti altri, riteniamoappaia chiaro che ciòche chiediamo non è un genericoampliamento delle risorse.Vogliamo che le università e i docentisiano messi in condizionenon di lavorare meno, ma di lavoraremeglio. Per il raggiungimentodi questo obiettivo appare indispensabilerafforzare diverse formedi valutazione, in particolareex-post, che verifichino la reale attivitàscientifica e didattica delpersonale docente e la incentivinoattraverso meccanismi di premio/punizioneatti a riconosceresia i meriti di chi si dedica alle attivitàdella propria istituzione (e sonomolti) sia i demeriti di chisfrutta rendite di posizione a finimeramente personali.PresidenteNapolitano:con la ricerca“ci si gioca ilfuturo delPaese”Martedì 23 gennaio il Presidente dellaRepubblica Giorgio Napolitano, visitando lafondazione “European brain researchinstitute” (Ebri) di Roma, ha sollecitato loStato “ad aprire il proprio bilancio alleesigenze della ricerca scientifica”. IlPresidente, accompagnato nella sua visitadal premio Nobel Rita Levi Montacini, hasottolineato come sia necessario “investirein ricerca. Devono investire gli enti pubblicie i privati”. “Dobbiamo comprendere – haconcluso - che ci si gioca il futuro del paese”.
UNIVERSITÀ!REGOLEE RIFORME27L’ASSENZA DI MERITOCRAZIAINVECCHIA L’ACCADEMIANecessari sistemi di controllo sulle scelte effettuate dai docenti nei concorsiGILBERTO CORBELLINILa senescenza del sistemauniversitario e della ricercaitaliano è un’emergenza. Nonsolo con riferimento all’etàmedia di docenti e ricercatori,rispetto agli altri paesi industrializzati.Ci si dovrebbeperò guardare dal fare dellademagogia ‘giovanilistica’.Cioè dal fantasticare, comechi si illude che si possano risolverei problemi della qualitàdella ricerca e della formazionein Italia applicandodogmaticamente gli algoritmiscientimetrici, che la curapossa essere quella di definireper legge dei vantaggi o deglisvantaggi fondati su soglie dietà nell’accesso a fondi o carriere.Perché la senescenza èuna conseguenza. Non lacausa. Peraltro, la soluzioneproposta andrebbe tarata inbase agli studi empirici sullamaturazione della creativitàscientifica, che intanto non èmeccanicamente correlabilecon l’età, e comunque è differenziataa seconda delle discipline:in media più rapidanelle scienze fisico-matematicheo chimico-molecolari, epiù lenta in quelle naturalistiche,mediche e umanistiche.Quale è allora la causa dellagerontocrazia e della senescenzadella cultura accademicae scientifica in Italia?Semplice: l’assenza di meritocrazia.In Italia manca completamentela cultura dell’affidabilitàe dell’indipendenza(accountability, dicono glianglofili) dei sistemi di valutazione.Fino a quando i professoriuniversitari continuerannoa governare, senza dovernerispondere ai consiglidi amministrazione delle università,ovvero finché il funzionamentodi un’universitànon sarà valutato e controllatoda qualcuno pagato per farequel mestiere, che non siaallo stesso tempo direttamenteinteressato dalle decisioneche si prendono inquella sede, difficilmente leuniversità potranno funzionarein modo efficiente.Analogamente, fino a quandole commissioni che valutano iprogetti di ricerca e distribuisconoi finanziamenti sononelle mani di chi direttamenteo indirettamente ha un interessepersonale nella destinazione,non c’è età che tenga.Un trentenne, nel contestodi un sistema come quelloesistente, non avrebbe alcunincentivo a comportarsi inmodo diverso da come oggi cisi comporta.Migliorare la qualità della ricercae dell’insegnamentoscolastico e universitario èessenziale per rilanciare ilpaese. Non si può immaginareperò di riqualificare la ricercasenza migliorare la qualitàdei docenti e dei ricercatori.La qual cosa implica lamessa in atto di proceduremeccanismi efficaci di reclutamento.Ovvero che consentanodi discriminare tra chi èdavvero bravo e disponibile alavorare sodo, per arruolarlonei laboratori e nella universitàgiovani. Il che non è in lineadi principio difficile. Nelsenso che qualsiasi meccanismo,inclusi tutti quelli giàprovati in Italia potrebbe andarbene. Se vi fosse un realeinteresse, come c’è in moltialtri paesi europei, dell’universitàe del sistema della ricercaa realizzare tale obiettivo.Nei fatti in Italia non c’è. Enon ci sarà mai fino a quandonon saranno istituiti dei sistemidi controllo sulle scelte effettuatedai docenti nei concorsiin termini di vantaggioper l’università: sistemi chedevono essere indipendenti,ovvero non eletti pseudodemocraticamente,e responsabilidell’efficienza dell’università.Naturalmente sarebbe oraanche di abolire il valore legaledel titolo di studio. Nonchési dovrebbe consentire lacontrattazione differenziatidegli stipendi, anche nellascuola: di modo che vi sianodei reali incentivi a lavoraremeglio. Ma la prima e più importantecosa da fare è quelladi togliere, anche nell’interesseloro e della qualità della lorovita intellettuale, poterepolitico ai professori universitari.Certo, esiste concretamente ilpericolo che per le universitàvada a finire come con leaziende sanitarie. Che sonostate e vengono occupate daipolitici. Nel qual caso sarebbeanche peggio, se fossero cioè ipolitici a decidere quali ricerchefare e cosa insegnare. Percui, un sistema di valutazioneaffidabile non è comunquequalcosa che si può inventaredall’oggi al domani.Soprattutto se la sua creazioneavviene in un contesto politicofortemente polarizzatoin senso ideologico, che rischiadi squalificarne ad ognicambio di governo l’assunzionedi obiettività.DAVIDE CARLUCCI, GIANLUCA DI FEO EGIULIANO FOSCHINIDa L’Espresso, 19 gennaio <strong>20</strong>07Mafia. Il guaio è che non sono solo imagistrati a usare questo termine.Adesso anche i docenti più disillusicitano il modello di Cosa nostra comeunico riferimento per descrivere lagestione dei concorsi nelle universitàitaliane. Proprio nei luoghi dove sidovrebbe costruire il futuro, prosperauna figura medievale capace di resisterea ogni riforma: il barone. Un tempo isuoi feudi erano piccoli, potevacontrollare direttamente vassalli evalvassori, mentre doveva piegarsidavanti a un solo re, lo Stato. Ora inveceil numero dei docenti e degli atenei èesploso. C'è da corteggiare aziende efondazioni, mentre spesso bisognaanche fare i conti con le Regioni. Cosìl'ultima generazione di baroni permantenere intatto il potere ha rinunciatoa ogni parvenza di nobiltà accademica esi è organizzata secondo gli schemidell'onorata società. Questo raccontanogli investigatori di tre procure che hannoradiografato l'assegnazione di decine edecine di poltrone negli atenei di tuttaItalia, dalle Alpi alla Sicilia. Un terremotocon epicentro a Bari, Firenze e Bolognache vede indagati un centinaio diprofessori. E che ha messo alla luce glistessi giochi di potere in tutti gli ateneiscandagliati. Scrive il giudice GiuseppeDe Benectis: "I concorsi universitarierano dunque celebrati, discussi e decisimolto prima di quanto la loroeffettuazione facesse pensare, a cura dicommissari che sembravano simili apochi 'associati' a una 'cosca' di saporemafioso". Rincarano la dose i professoriMariano Giaquinta e Angelo Guerraggio:"'Sistema mafioso' vuole dire 'cupole digestione' delle carriere e degli affariuniversitari, spesso camuffate comegruppi democratici di rappresentanza ogruppi di ricerca".Se i giovani più promettenti emigranonon è solo questione di risorse; se laricerca langue e i policlinici sono sottoaccusa, la colpa è anche del 'sistema'.Che fa persino rimpiangere il passato:"Una volta si parlava di 'baroni'. Adesso inumeri (anche dei docenti) sonocresciuti. Al posto del singolo barone cisono i clan e i loro leader, che nonnecessariamente sono i migliori dalpunto di vista della ricerca...", scrivonosempre Giaquinta e Guerraggio, docentidi matematica che hanno appenapubblicato un saggio coraggiosointitolato 'Ipotesi per l'università'. Econtinuano: "La situazione non sembramigliorata: baroni per baroni, sistemamafioso per sistema mafioso, forse ivecchi 'mandarini' sapevanomaggiormente conciliare il loro interessecon quello generale. La difesa delleposizioni conquistate dal 'gruppo'riusciva, in parte, a diventare anchefattore di progresso. Sicuramente più diquanto accada adesso". […]