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20 febbraio - Associazione Luca Coscioni

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UNIVERSITÀ!REGOLEE RIFORME27L’ASSENZA DI MERITOCRAZIAINVECCHIA L’ACCADEMIANecessari sistemi di controllo sulle scelte effettuate dai docenti nei concorsiGILBERTO CORBELLINILa senescenza del sistemauniversitario e della ricercaitaliano è un’emergenza. Nonsolo con riferimento all’etàmedia di docenti e ricercatori,rispetto agli altri paesi industrializzati.Ci si dovrebbeperò guardare dal fare dellademagogia ‘giovanilistica’.Cioè dal fantasticare, comechi si illude che si possano risolverei problemi della qualitàdella ricerca e della formazionein Italia applicandodogmaticamente gli algoritmiscientimetrici, che la curapossa essere quella di definireper legge dei vantaggi o deglisvantaggi fondati su soglie dietà nell’accesso a fondi o carriere.Perché la senescenza èuna conseguenza. Non lacausa. Peraltro, la soluzioneproposta andrebbe tarata inbase agli studi empirici sullamaturazione della creativitàscientifica, che intanto non èmeccanicamente correlabilecon l’età, e comunque è differenziataa seconda delle discipline:in media più rapidanelle scienze fisico-matematicheo chimico-molecolari, epiù lenta in quelle naturalistiche,mediche e umanistiche.Quale è allora la causa dellagerontocrazia e della senescenzadella cultura accademicae scientifica in Italia?Semplice: l’assenza di meritocrazia.In Italia manca completamentela cultura dell’affidabilitàe dell’indipendenza(accountability, dicono glianglofili) dei sistemi di valutazione.Fino a quando i professoriuniversitari continuerannoa governare, senza dovernerispondere ai consiglidi amministrazione delle università,ovvero finché il funzionamentodi un’universitànon sarà valutato e controllatoda qualcuno pagato per farequel mestiere, che non siaallo stesso tempo direttamenteinteressato dalle decisioneche si prendono inquella sede, difficilmente leuniversità potranno funzionarein modo efficiente.Analogamente, fino a quandole commissioni che valutano iprogetti di ricerca e distribuisconoi finanziamenti sononelle mani di chi direttamenteo indirettamente ha un interessepersonale nella destinazione,non c’è età che tenga.Un trentenne, nel contestodi un sistema come quelloesistente, non avrebbe alcunincentivo a comportarsi inmodo diverso da come oggi cisi comporta.Migliorare la qualità della ricercae dell’insegnamentoscolastico e universitario èessenziale per rilanciare ilpaese. Non si può immaginareperò di riqualificare la ricercasenza migliorare la qualitàdei docenti e dei ricercatori.La qual cosa implica lamessa in atto di proceduremeccanismi efficaci di reclutamento.Ovvero che consentanodi discriminare tra chi èdavvero bravo e disponibile alavorare sodo, per arruolarlonei laboratori e nella universitàgiovani. Il che non è in lineadi principio difficile. Nelsenso che qualsiasi meccanismo,inclusi tutti quelli giàprovati in Italia potrebbe andarbene. Se vi fosse un realeinteresse, come c’è in moltialtri paesi europei, dell’universitàe del sistema della ricercaa realizzare tale obiettivo.Nei fatti in Italia non c’è. Enon ci sarà mai fino a quandonon saranno istituiti dei sistemidi controllo sulle scelte effettuatedai docenti nei concorsiin termini di vantaggioper l’università: sistemi chedevono essere indipendenti,ovvero non eletti pseudodemocraticamente,e responsabilidell’efficienza dell’università.Naturalmente sarebbe oraanche di abolire il valore legaledel titolo di studio. Nonchési dovrebbe consentire lacontrattazione differenziatidegli stipendi, anche nellascuola: di modo che vi sianodei reali incentivi a lavoraremeglio. Ma la prima e più importantecosa da fare è quelladi togliere, anche nell’interesseloro e della qualità della lorovita intellettuale, poterepolitico ai professori universitari.Certo, esiste concretamente ilpericolo che per le universitàvada a finire come con leaziende sanitarie. Che sonostate e vengono occupate daipolitici. Nel qual caso sarebbeanche peggio, se fossero cioè ipolitici a decidere quali ricerchefare e cosa insegnare. Percui, un sistema di valutazioneaffidabile non è comunquequalcosa che si può inventaredall’oggi al domani.Soprattutto se la sua creazioneavviene in un contesto politicofortemente polarizzatoin senso ideologico, che rischiadi squalificarne ad ognicambio di governo l’assunzionedi obiettività.DAVIDE CARLUCCI, GIANLUCA DI FEO EGIULIANO FOSCHINIDa L’Espresso, 19 gennaio <strong>20</strong>07Mafia. Il guaio è che non sono solo imagistrati a usare questo termine.Adesso anche i docenti più disillusicitano il modello di Cosa nostra comeunico riferimento per descrivere lagestione dei concorsi nelle universitàitaliane. Proprio nei luoghi dove sidovrebbe costruire il futuro, prosperauna figura medievale capace di resisterea ogni riforma: il barone. Un tempo isuoi feudi erano piccoli, potevacontrollare direttamente vassalli evalvassori, mentre doveva piegarsidavanti a un solo re, lo Stato. Ora inveceil numero dei docenti e degli atenei èesploso. C'è da corteggiare aziende efondazioni, mentre spesso bisognaanche fare i conti con le Regioni. Cosìl'ultima generazione di baroni permantenere intatto il potere ha rinunciatoa ogni parvenza di nobiltà accademica esi è organizzata secondo gli schemidell'onorata società. Questo raccontanogli investigatori di tre procure che hannoradiografato l'assegnazione di decine edecine di poltrone negli atenei di tuttaItalia, dalle Alpi alla Sicilia. Un terremotocon epicentro a Bari, Firenze e Bolognache vede indagati un centinaio diprofessori. E che ha messo alla luce glistessi giochi di potere in tutti gli ateneiscandagliati. Scrive il giudice GiuseppeDe Benectis: "I concorsi universitarierano dunque celebrati, discussi e decisimolto prima di quanto la loroeffettuazione facesse pensare, a cura dicommissari che sembravano simili apochi 'associati' a una 'cosca' di saporemafioso". Rincarano la dose i professoriMariano Giaquinta e Angelo Guerraggio:"'Sistema mafioso' vuole dire 'cupole digestione' delle carriere e degli affariuniversitari, spesso camuffate comegruppi democratici di rappresentanza ogruppi di ricerca".Se i giovani più promettenti emigranonon è solo questione di risorse; se laricerca langue e i policlinici sono sottoaccusa, la colpa è anche del 'sistema'.Che fa persino rimpiangere il passato:"Una volta si parlava di 'baroni'. Adesso inumeri (anche dei docenti) sonocresciuti. Al posto del singolo barone cisono i clan e i loro leader, che nonnecessariamente sono i migliori dalpunto di vista della ricerca...", scrivonosempre Giaquinta e Guerraggio, docentidi matematica che hanno appenapubblicato un saggio coraggiosointitolato 'Ipotesi per l'università'. Econtinuano: "La situazione non sembramigliorata: baroni per baroni, sistemamafioso per sistema mafioso, forse ivecchi 'mandarini' sapevanomaggiormente conciliare il loro interessecon quello generale. La difesa delleposizioni conquistate dal 'gruppo'riusciva, in parte, a diventare anchefattore di progresso. Sicuramente più diquanto accada adesso". […]

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