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20 febbraio - Associazione Luca Coscioni

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WELBY:IL VATICANOE I FEDELI19L’“ECCLESIA”SCAVALCA LA CHIESAIo, Welbye la morteCARLO MARIA MARTINIIl Sole 24 Ore, 21 gennaio <strong>20</strong>07ANGIOLO BANDINELLIC’ero anch’io, in quella limpida vigiliadi Natale, alle esequie di PiergiorgioWelby. Davanti al palco, la piazza gremita;alle spalle l’immensa chiesa, disegnataper abbracciare il quartiere eche ora, ai nostri occhi, appariva angusta,incapace di accogliere quell’unicouomo, Piergiorgio, che bussavaalla sua porta. C’ero: e sono statoun po’ responsabile di un piccolo manon insignificante episodio. Ai piedidella piccola rampa che saliva al palco,due suorine osservavano, indecisee un po’ spaesate. Le ho invitate a salire,forse attendevano qualcosa del genere.Lassù, si sono abbracciate con lasorella di Piergiorgio: la conoscevano,evidentemente. Mi sono avvicinato ele ho - ancora - invitate a portare il lorosaluto alla salma. Le due suore si sonomosse, si sono fatte avanti.Volentieri, si vedeva. Al loro apparire,la folla le ha applaudite. Era un segnodi riconoscenza liberatrice.Piergiorgio non poteva entrare inChiesa, le due suorine - se non laChiesa - andavano da lui.L’atmosfera politica ènettamente sfavorevoleall’apertura di un dialogo tralaici e cattolici e non credo cheil Ministro della salute abbiamolto spazio per muoversiPer un istante, allora, ho immaginatoche una macchina, una lunga macchinanera, si fermasse lì sotto il palco;e che lentamente ne scendesse una figura,vestita di nero sacerdotale e conin testa lo zucchetto - rosso o viola -del cardinale o del vescovo. Ho immaginatoche, fendendo la folla che gli facevaattenta ala, salisse anche lui perla rampa, sfilando davanti aMina, Marco, Emma, esi avvicinassealla bara. Lovedevoinginocchiarsi,recitare una breve preghiera,benedire col segno dalla crocela bara. Pensate a cosa avrebbe significatoil gesto, un gesto semplice comequello, per la Chiesa. Una apoteosi. LaChiesa che, ligia alle sue norme canoniche,ai suoi codici e catechismi, sisente impossibilitata ad assolverePiergiorgio dal suo peccato di orgoglionegatore ma poi, in un impulso di pietàe misericordia - o solo di umanaastuzia - va a pregare, nella persona diun suo autorevole rappresentante,per l’anima del fratello errante, conquel gesto sollevandolo, se non perdonandolo,dall’errore.La Chiesa - questa Chiesa - non ha saputodare il segnale da me immaginato,e forse auspicato dalla gente che siaffollava sotto il palco. La Chiesa, assicurail cardinale Ruini, ha “sofferto”per aver chiuso le sue porte alla baradi Piergiorgio. Non so se una Chiesapossa soffrire. Non conosco il soffriredelle istituzioni, conosco (forse) il soffriredegli uomini e delle donne, e ritengoche in quel momento la gente -uomini e donne - sotto il palco diPiergiorgio soffrisse. Ritengo ancheche quegli uomini e quelle donne fosseroin larghissima parte, se non nellaloro totalità, membri e fedeli dellaChiesa. Ma, fors’anche, quegli uominie donne costituivano in quel momento,loro, la Chiesa: meglio, la“Ecclesia”, una “Ecclesia” nata spontaneamente,per “consensus fidelium”.Come sempre deve essere. Quella”Ecclesia” si costituiva, essa, in chiesa.Ed era una chiesa religiosamente laicae laicamente religiosa.Non spetta a me, laico, interpretare icanoni del catechismo. Da laico, però,posso restare osservare i gesti, comeuomini e istituzioni si muovono, giudicarli.E in questo caso non ho potutonon sentirmi profondamente offesodal comportamento della Chiesa,di “questa“ Chiesa. Adesso, il cardinaleCarlo Maria Martini offre, agli uominidi Chiesa evidentemente, un serioe pacato ragionamento, con il qualeinveste i temi relativi all’eutanasia e all’accanimentoterapeutico; soprattutto,ribadendo la necessità di non trascurare“la volontà del malato, inquanto a lui compete - anche dal puntodi vista giuridico, salvo eccezioniben definite - di valutare se le cure chegli vengono proposte…sono effettivamenteproporzionate”. Sono parolesemplici e chiarissime, oltreché autorevoli.In evidente imbarazzo, la rispostafornitagli immediatamente dalCardinale Camillo Ruini: il caso nonautorizzava nessun altro comportamento,Piergiorgio Welby “fino alla fineha perseverato lucidamente e consapevolmentenella volontà di porretermine alla propria vita: in quellecondizioni una decisione diversa sarebbestata per la Chiesa impossibilee contraddittoria, avrebbe legittimatoun atteggiamento contrario alla leggedi Dio”. Una prima, incredula, osservazione:Ruini ha rivendicato a se stessola responsabilità del “sofferto” rifiutoai funerali religiosi: la vicenda - hadetto - “mi ha chiamato in causa personalmente…”.Un modo per defilaree scagionare l’istituzione, o un gesto diidentificazione con essa? Ruini è personaesperta ed abile, ma anche moltosicura, fino a un sospetto di autoreferenzialità.Comunque sia, i due altiL’atmosfera politica ènettamente sfavorevoleall’apertura di un dialogo tralaici e cattolici e non credo cheil Ministro della salute abbiamolto spazio per muoversiprelati si sono confrontati sul terrenodella dogmatica, della casistica, dellacanonistica più interne alla istituzione,in uno scontro molto forte (di cuimolti sospettano radici profonde elontane, legate anche alle vicende chehanno portato alla elezione diBenedetto XVI). In questa forma, leloro dichiarazioni, il loro scontro, nonci interessano. Ci avrebbe interessato,e perfino coinvolto, se l’uno o l’altro -per dire - avesse compiuto il gesto diamore e di carità che per un istanteho vagheggiato. Il manzonianoCardinal Borromeo si duole profondamenteche sia stato l’Innominato arecarsi da lui e non, viceversa, lui stessoad accorrere dalla pecorella smarrita.Oggi, ancora una volta, l’occasioneè stata perduta.[...] Il recente caso di P.G. Welby, che con lucidità hachiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio,costituite negli ultimi nove anni da unatracheotomia e da un ventilatore automatico, senzaalcuna possibilità di miglioramento, ha avuto unaparticolare risonanza. Questo in particolare perl'evidente intenzione di alcune parti politiche diesercitare una pressione in vista di una legge a favoredell'eutanasia. Ma situazioni simili saranno semprepiù frequenti e la Chiesa stessa dovrà darvi piùattenta considerazione anche pastorale.La crescente capacità terapeutica della medicinaconsente di protrarre la vita pure in condizioni untempo impensabili. Senz'altro il progresso medicoè assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologieche permettono interventi sempre più efficacisul corpo umano richiedono un supplementodi saggezza per non prolungare i trattamenti quandoormai non giovano più alla persona.È di grandissima importanza in questo contesto distingueretra eutanasia e astensione dall'accanimentoterapeutico, due termini spesso confusi. Laprima si riferisce a un gesto che intende abbreviarela vita, causando positivamente la morte; la secondaconsiste nella «rinuncia ... all'utilizzo di proceduremediche sproporzionate e senza ragionevole speranzadi esito positivo» (Compendio Catechismodella Chiesa Cattolica, n. 471). Evitando l'accanimentoterapeutico «non si vuole ... procurare lamorte: si accetta di non poterla impedire»(Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2.278)assumendocosì ilimiti propri della condizione umanamortale.Il punto delicato è che per stabilire se un interventomedico è appropriato non ci si può richiamare a unaregola generale quasi matematica, da cui dedurre ilcomportamento adeguato, ma occorre un attentodiscernimento che consideri le condizioni concrete,le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti.In particolare non può essere trascurata la volontàdel malato, in quanto a lui compete - anche dalpunto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite- di valutare se le cure che gli vengono proposte,in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamenteproporzionate.Del resto questo non deve equivalere a lasciare ilmalato in condizione di isolamento nelle sue valutazionie nelle sue decisioni, secondo una concezionedel principio di autonomia che tende erroneamentea considerarla come assoluta. Anzi è responsabilitàdi tutti accompagnare chi soffre, soprattuttoquando il momento della morte si avvicina. Forsesarebbe più corretto parlare non di «sospensione deitrattamenti» (e ancor meno di «staccare la spina»),ma di limitazione dei trattamenti. Risulterebbe cosìpiù chiaro che l'assistenza deve continuare, commisurandosialle effettive esigenze della persona, assicurandoper esempio la sedazione del dolore e le cureinfermieristiche. Proprio in questa linea si muovela medicina palliativa, che riveste quindi una grandeimportanza.Dal punto di vista giuridico, rimane aperta l'esigenzadi elaborare una normativa che, da una parte,consenta di riconoscere la possibilità del rifiuto (informato)delle cure - in quanto ritenute sproporzionatedal paziente - , dall'altra protegga il medico daeventuali accuse (come omicidio del consenzienteo aiuto al suicidio), senza che questo implichi in alcunmodo la legalizzazione dell'eutanasia.Un'impresa difficile, ma non impossibile: mi diconoche ad esempio la recente legge francese in questamateria sembri aver trovato un equilibrio se nonperfetto, almeno capace direalizzare un sufficienteconsenso in una società pluralista.[...]

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