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tesi vecchio

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sostenuto fra l’altro dalle teorie della «morfologia sociale» di Émile<br />

Durkheim e Marcel Mauss, rende manifesto come da essa sia potuta<br />

derivare un’antropologia del paesaggio che partendo sempre dall’analisi<br />

spaziale individui non solo le categorie persistenti e quelle mutevoli<br />

della formazione e percezione paesaggistica, ma anche il significato<br />

stesso dell’esistenza di una sensibilità paesaggistica antropologica,<br />

indipendentemente dal fatto che a una vera e propria coscienza del<br />

paesaggio si attribuisca una valenza storica o universale. Come afferma<br />

Eugenio Turri: «Da sempre, inconsciamente o meno, l’uomo ha infatti<br />

cercato conferma di sé nel paesaggio, quasi che ogni sua realizzazione<br />

avesse, oltre che uno scopo pratico e vitale, una funzione formale di<br />

testimonianza, un latente bisogno si comunicare o trasmettere con la sua<br />

opera nel paesaggio la presenza di sé, le qualità di sé […]» (Turri E,<br />

1974, p. 20). Più concretamente poi secondo un’analisi che prenda in<br />

considerazione i tratti specifici della visione antropologica, il territorio è<br />

osservato «sia dal punto di vista delle forme d’uso dei suoli, delle<br />

specializzazioni produttive e delle relazioni sociali e politiche che esse<br />

implicano, sia dal punto di vista delle rappresentazioni simboliche» (Lai<br />

F., 2000, p. 26).<br />

Secondo gli studi antropologici, dunque, lo spazio non è concepito<br />

soltanto come spazio fisico al cui interno si struttura un sistema sociale<br />

ma anche come spazio di relazioni (Lai F., 2000, p. 15). Tutte le società,<br />

infatti, tendono ad organizzare in modo peculiare lo scambio con lo<br />

spazio e la natura e di conseguenza un’analisi dell’organizzazione<br />

spaziale riflette anche le strutture culturali e materiali che hanno<br />

determinato quelle particolari conformazioni. Il paesaggio è, così, il<br />

risultato della cultura di un popolo, un sistema attraverso cui<br />

quest’ultimo conserva la memoria della sua evoluzione. È vero, perciò,<br />

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