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Il Giornale dei Biologi - N. 6

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AMBIENTE<br />

© Butsaya/www.shutterstock.com<br />

<strong>Il</strong> condizionatore funziona senza elettricità<br />

Acqua, sale e sole per una tecnologia di raffrescamento passiva<br />

Nella pubblicità, oltre al classico uomo sudato e in canottiera<br />

bianca, ci hanno provato con le suocere moleste, il<br />

capufficio arrabbiato, le belle donne, gli animali e le case<br />

dal clima perfetto dopo aver istallato questo piuttosto che<br />

quel condizionatore. Spesso, però, per soddisfare la “fame” di aria<br />

piacevolmente fredda, dimentichiamo che quell’oggetto magico, capace<br />

di conciliare il relax o il sonno notturno, impiega fluidi refrigeranti<br />

con un alto impatto ambientale e richiede, inoltre, un elevato<br />

fabbisogno di energia. Come si possono ridurre, allora, i consumi nel<br />

raffrescamento degli edifici? Un gruppo di studiosi del Politecnico<br />

di Torino (SMaLL) e dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica<br />

(INRiM) ha studiato un dispositivo capace di abbassare la temperatura<br />

senza l’utilizzo della corrente elettrica, pubblicando i risultati della<br />

propria ricerca sulla rivista “Science Advances”.<br />

Lo studio è stato condotto<br />

dal Politecnico di Torino<br />

e dall’Istituto Nazionale<br />

di Ricerca Metrologica<br />

<strong>Il</strong> fresco si diffonde nell’ambiente sfruttando<br />

sempre l’evaporazione di un liquido, come<br />

nei dispositivi tradizionali, ma sono semplicemente<br />

acqua e sale, invece che composti chimici<br />

nemici dell’Ambiente. Al posto di pompe<br />

e compressori, che hanno bisogno di energia e<br />

manutenzione, tutto gira attorno a fenomeni<br />

passivi, processi spontanei come la capillarità o<br />

l’evaporazione. «Far evaporare acqua per ottenere una sensazione di<br />

freschezza è una soluzione nota da millenni, come il sudore che evapora<br />

sulla pelle per raffrescarci o un fazzoletto imbevuto appoggiato<br />

sulla fronte nelle giornate più calde. La nostra idea - spiega Matteo<br />

Alberghini, dottorando del Dipartimento Energia del Politecnico e<br />

primo autore della ricerca - permette d’ingegnerizzare questa tecnologia,<br />

massimizzandone l’effetto e rendendola possibile in qualsiasi<br />

condizione ambientale».<br />

L’acqua pura bagna una membrana impermeabile che la separa<br />

da una soluzione di acqua e sale ad alta concentrazione. Dobbiamo<br />

immaginare quella membrana «come un setaccio con maglie grandi<br />

un milionesimo di metro: grazie alle sue proprietà idrorepellenti,<br />

non viene attraversata dall’acqua liquida, ma solo dal vapore. In questo<br />

modo, l’acqua dolce e salata non si mescolano, mentre il vapore<br />

d’acqua è libero di passare da una parte all’altra della membrana. In<br />

particolare, la differente salinità nei due liquidi consente all’acqua<br />

pura di evaporare più velocemente di quella salata.<br />

Questo meccanismo raffredda l’acqua pura, e può essere amplificato<br />

grazie alla presenza di diversi stadi evaporativi. L’acqua<br />

salata tenderà gradualmente a “raddolcirsi” nel tempo e dunque<br />

l’effetto raffrescante ad attenuarsi; tuttavia, la differenza di salinità<br />

tra le due soluzioni può essere continuamente e in modo sostenibile<br />

ristabilita tramite l’energia solare». Le unità refrigeranti, spesse<br />

pochi centimetri, possono funzionare autonomamente oppure venir<br />

disposte in serie, come accade con le batterie,<br />

impilandole per aumentarne gli effetti. Diventa<br />

possibile, così, tarare la potenza secondo i gusti<br />

di ciascuno. «In futuro - conclude Matteo Alberghini<br />

- potremmo ottenere una capacità di<br />

raffrescamento anche più elevata aumentando<br />

la concentrazione della soluzione salina oppure<br />

ricorrendo ad un design modulare più spinto<br />

del dispositivo».<br />

<strong>Il</strong> costo di produzione basso, appena qualche euro per ciascuno<br />

stadio, e la semplicità dell’assemblaggio favorirebbero l’installazione<br />

in zone rurali, dove la scarsa presenza di tecnici specializzati<br />

può rendere difficoltose riparazioni e manutenzioni. Altri vantaggi<br />

potrebbero esserci nelle zone ricche di acque ad alta concentrazione<br />

salina, come ad esempio quelle costiere, nelle vicinanze di<br />

grossi impianti di dissalazione oppure in prossimità di saline. Per<br />

ora, comunque, la tecnologia non è ancora pronta per essere commercializzata,<br />

ma ulteriori sviluppi potrebbero farla affiancare agli<br />

impianti già esistenti, riducendo gli sprechi energetici, ma non l’effetto<br />

rinfrescante. (G. P.).<br />

52 <strong>Il</strong> <strong>Giornale</strong> <strong>dei</strong> <strong>Biologi</strong> | Maggio 2020

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