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SCIENZE<br />
© Naeblys/www.shutterstock.com<br />
lattia [16], [17]: fino al 75% delle persone eterozigoti per APOE<br />
ɛ4 non sviluppano AD durante la vita e fino al 50% delle persone<br />
affette non esprimono l’allele ɛ4 ad alto rischio [16]; inoltre, i casi<br />
correlati a tale allele rappresentano il 27,3% dell’ereditabilità della<br />
malattia che è in realtà stimata intorno all’80% [19].<br />
Basti pensare che in alcuni casi di Alzheimer familiare ad esordio<br />
tardivo, le mutazioni non sono state trovate in nessuno <strong>dei</strong> tre<br />
geni. Ciò suggerisce che almeno un altro gene è responsabile, che<br />
per ora non è stato identificato. Enormi sforzi di ricerca a livello<br />
mondiale hanno rilevato loci di rischio genetico aggiuntivi per la<br />
forma geneticamente complessa di AD, è chiaro che comprendere<br />
il ruolo della genetica nella diagnosi e nella previsione del rischio<br />
nell’AD complesso ad esordio tardivo è molto meno semplice, proprio<br />
perché con l’avanzare dell’età aumenta la pressione di altri<br />
fattori esterni oltre alla pura predisposizione genetica, come l’ambiente<br />
e lo stile di vita, il che complica ulteriormente un quadro già<br />
fortemente intricato ed oscuro.<br />
Sono stati identificati altri possibili geni associati all’aumentata<br />
suscettibilità alla malattia, non ancora confermati ufficialmente,<br />
i principali candidati sono: SORL-1 e CH25H (coinvolti nel riciclaggio<br />
e nella trasformazione dell’APP); ACE (implicato nella<br />
regolazione della pressione arteriosa e nella degradazione di Aβ);<br />
GAB2 e la transferrina per il loro ruolo nella formazione degli aggregati<br />
di tau iperfosforilata [20].<br />
La componente genetica stessa è complessa ed eterogenea,<br />
non esiste un singolo modello che spieghi le modalità di trasmissione<br />
della malattia, o come le mutazioni e i polimorfismi genetici<br />
possano interagire tra loro e a loro volta con i fattori ambientali.<br />
Sebbene la conoscenza delle cause genetiche e <strong>dei</strong> fattori di rischio<br />
dell’AD stia avanzando, sorge la domanda su come tradurre e trasporre<br />
queste intuizioni in migliori strumenti per incrementare la<br />
salute pubblica. L’implementazione più diretta è la ricerca di altri<br />
strumenti per la diagnosi a più ampio spettro. Studi di associazione<br />
genome-wide (GWAS) [20], [21] su larga scala e “l’International<br />
Genomics of Alzheimer’s Project” hanno notevolmente<br />
migliorato le conoscenze relative alle basi genetiche di AD ad<br />
esordio tardivo, identificando almeno 20 loci di<br />
rischio genetico aggiuntivi, tra cui la Clusterina<br />
(CLU), una proteina pleiotropica che potrebbe<br />
essere coinvolta nella patogenesi attraverso<br />
trasporto lipidico, l’infiammazione e influenza<br />
diretta sull’aggregazione Aβ e la sua clearance<br />
dal cervello e la proteina SORL1, coinvolta nel<br />
riciclaggio dell’APP [22]. Le varianti ereditate<br />
di SORL1 analizzate nei casi di AD, sono state<br />
associate significativamente alle forme ad insorgenza<br />
tardiva, anche se si discute se sia un valido<br />
candidato e se sia classificabile come fattore<br />
di suscettibilità piuttosto che come gene deterministico<br />
[22].<br />
Le nuove tecnologie che sfruttano un’ampia<br />
copertura <strong>dei</strong> marcatori genetici attraverso<br />
studi di associazione a livello dell’intero<br />
genoma, metodi statistici avanzati e progetti<br />
di collaborazione per aumentare il numero di<br />
casi disponibili per lo studio, possono aiutare<br />
a superare alcuni degli ostacoli alla ricerca di<br />
ulteriori geni associati alla malattia. Un gruppo<br />
di ricerca dall’Università di Bonn ha proposto<br />
un interessante approccio di studio, basato sulla<br />
restrizione del campo di ricerca ad altri fattori predittivi dell’influenza<br />
della malattia oltre all’età, tra cui la razza [23], ipertensione<br />
arteriosa [24] e il sesso [25]. E’ proprio sulla selezione di<br />
quest’ultima categoria che si basa il nuovo lavoro, il principio è<br />
quello di focalizzare l’attenzione su un campo più limitato come<br />
l’analisi specifica di genere, partendo dal fatto che le donne hanno<br />
il doppio del rischio di sviluppare l’AD rispetto agli uomini, la<br />
progressione della malattia è più rapida e la neurodegenerazione è<br />
più veloce negli individui di sesso femminile [26]. Al contrario, gli<br />
uomini con AD hanno una mortalità più elevata rispetto alle donne.<br />
Partendo da questi ragionamenti, poche settimane fa il gruppo<br />
di ricerca ha identificato quattro nuovi loci: GRID1 , RIOK3<br />
, MCPH1 e ZBTB7C , che mostrano un’associazione specifica tra<br />
il sesso e lo sviluppo del morbo di Alzheimer [27]. E’ il primo<br />
lavoro di sequenziamento dell’intero genoma associato all’analisi<br />
degli effetti specifici del sesso nell’AD. <strong>Il</strong> riscontro più convincente<br />
è nel gene ZBTB7C che codifica per un repressore trascrizionale<br />
delle metalloproteasi di membrana (MMP), già sospettate di essere<br />
coinvolte nella neuropatologia dell’AD[28], che ora dimostra<br />
conferire un aumento del rischio di AD nelle donne e protezione<br />
nei maschi. Questo nuovo gene, era già accusato di aumentare la<br />
suscettibilità all’ictus ischemico attraverso la modulazione dell’apoptosi<br />
neuronale [29]. MCPH1 invece, codifica una proteina di<br />
risposta ai danni al DNA, implicata anche nella condensazione <strong>dei</strong><br />
cromosomi, nella regolazione dello sviluppo della corteccia cerebrale<br />
fetale e nella neurogenesi [30].<br />
La scoperta interessante è che c’è una differenziazione della<br />
previsione in base al sesso, anche negli altri tre geni scoperti<br />
(MCPH1, RIOK3 e GRID1): specifici alleli infatti conferiscono un<br />
aumento del rischio nelle femmine e protezione nei maschi, effetto<br />
opposto a quello mostrato da ZBTB7C.<br />
Oltre all’identificazione di nuovo materiale di studio ed analisi,<br />
questa scoperta dimostra come lo stesso allele possa avere effetti<br />
diametralmente opposti in base al sesso, e apra nuovi orizzonti rispetto<br />
a quelli studiati finora.<br />
88 <strong>Il</strong> <strong>Giornale</strong> <strong>dei</strong> <strong>Biologi</strong> | Maggio 2020