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Massimo Tommolillo - Words on line

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molto di più quello che mi hai tolto e più ancora ciò che mi stai togliendo adesso. Se è vero che sei in me da<br />

tanto tempo, capisco finalmente certi istinti, ora capisco perché stavo cercando di distruggermi.»<br />

«Oleg, piccolo irric<strong>on</strong>oscente Oleg; io n<strong>on</strong> ti ho dato nulla? La tua Yelizaveta n<strong>on</strong> ti ha dato nulla? N<strong>on</strong><br />

mi già abband<strong>on</strong>ato una volta? E ora vorresti farlo di nuovo?»<br />

«N<strong>on</strong> s<strong>on</strong>o Oleg. N<strong>on</strong> so neanche cosa sia quel nome; perché insisti a chiamarmi così? Te l’ho detto, mi<br />

chiamo Stefano, n<strong>on</strong> Oleg. Lasciami almeno morire c<strong>on</strong> il mio nome, n<strong>on</strong> che l’abbia <strong>on</strong>orato poi tanto ma,<br />

di quanto mi fu dato, è l’ultima cosa che mi resta, oltre a questo simulacro di vita al quale, per tua vol<strong>on</strong>tà<br />

s<strong>on</strong>o aggrappato.»<br />

«Fingi di n<strong>on</strong> ricordare? Hai dimenticato le notti di inverno, quando il temporale scuoteva le finestre e ti<br />

terrorizzava c<strong>on</strong> i tu<strong>on</strong>i, c<strong>on</strong> i fulmini. Tu ti rifugiavi nel mio letto? Ricordi le carezze? E le storie che ti<br />

racc<strong>on</strong>tavo finché n<strong>on</strong> ti riaddormentavi?»<br />

«N<strong>on</strong> ero io, certamente n<strong>on</strong> ero io; n<strong>on</strong> ci s<strong>on</strong>o state carezze per me, e le notti tempestose le amavo molto<br />

più di quelle serene. Lasciami andare, lasciami addormentare. Sento il buio che mi chiama e devo andare…»<br />

«Proprio n<strong>on</strong> ricordi nulla?»<br />

«Oh sì; se vuoi chiamare ricordi gli incubi, qualcosa ricordo: strani sogni, c<strong>on</strong> infiniti corridoi dalle pareti<br />

rosse. Sembrava che quelle pareti fossero attraversate da un sistema di vene e arterie nelle quali scorreva il<br />

sangue che dava loro quel colore. E i corridoi si intersecavano in un labirinto senza fine, e io giravo e<br />

giravo… C’erano ragni bianchi, grandissimi e bavosi e strani giocattoli minacciosi che mi spaventavano, e<br />

ancora corridoi… Pensavo che alla fine avrei finalmente trovato una stanza, un posto per riposarmi, ma<br />

c’erano solo corridoi.»<br />

«C’ero io alla fine di quei corridoi, nella stanza in f<strong>on</strong>do al labirinto, la stanza della luce. Se tu avessi<br />

avuto più coraggio, avresti trovato il modo di raggiungermi e di realizzarti in me, completamente. Avresti<br />

compreso e saresti stato in grado di ricomporre la tua vecchia vita, quella nella quale eri Oleg, e questa nella<br />

quale ti chiami Stefano. Ma questa realtà n<strong>on</strong> hai mai voluto accettarla, ed essa si è agitata dentro te come un<br />

mostro dalle due teste, perennemente in lotta fra loro… Oggi preferisci fingere di ignorare quella prima<br />

esistenza; quella nella quale avesti il coraggio di fare, ciò che nella sec<strong>on</strong>da hai solo desiderato. Ma ora n<strong>on</strong><br />

è più tempo di finzi<strong>on</strong>i. N<strong>on</strong> ricordi nulla del tuo vecchio padre? Il rancore covato per le vessazi<strong>on</strong>i subite;<br />

n<strong>on</strong> ti torna in mente tutta quella energia? La barca rovesciata nell’acqua gelida, fu solo un caso del quale<br />

approfittasti? Tu, un giovane vigoroso e bu<strong>on</strong> nuotatore potevi farcela, ma un grasso ubriac<strong>on</strong>e? Ricordi<br />

cosa provasti nel vederlo annegare senza intervenire? Oppure, come credo, fosti proprio tu l’artefice di<br />

quella vendetta e ne osservasti c<strong>on</strong> soddisfazi<strong>on</strong>e la c<strong>on</strong>clusi<strong>on</strong>e? Tua madre ti offrì il beneficio del dubbio, e<br />

n<strong>on</strong> ebbe il cuore di denunciarti agli anziani del villaggio, forse ti fu addirittura grata, ma ti cacciò di casa.<br />

Forse fosti tu a scappare affinché il rivederla, n<strong>on</strong> ti riportasse troppo spesso alla memoria le immagini che i<br />

tuoi occhi n<strong>on</strong> volevano più vedere. N<strong>on</strong> durante il giorno almeno, giacché la notte, nei sogni o vuoi<br />

chiamarli incubi...»<br />

«Basta adesso!»<br />

«Allora Oleg, qualcosa sta tornando finalmente? Che i tuoi genitori fossero morti in una carestia fu una<br />

menzogna che io dissi per te; adesso ricordi, vero? Ma una menzogna giustificata, se tu avessi ricambiato<br />

tutto quell’amore. Quali siano i tuoi ricordi, Oleg o Stefano, sei sempre la stessa pers<strong>on</strong>a, perché l’anima è<br />

quella. Ma tu lascia che ti chiami Oleg, affinché sia chiaro che il cerchio si è chiuso.»<br />

«Sì credo proprio che si sia chiuso, ma tu aiutami; aiutami a capire, perché rischio di vagare ancora in<br />

quegli interminabili corridoi colore del sangue.»<br />

«Certo piccolo Oleg, e tu c<strong>on</strong>tinua a sognare perché sarà un racc<strong>on</strong>to lungo, ma io e te abbiamo tutto il<br />

tempo, poiché nel duello tra il dio della luce, Belobog e quello del buio Chernobog, quest’ultimo ha vinto.<br />

Così n<strong>on</strong> doveva essere giacché essi, sec<strong>on</strong>do natura, dev<strong>on</strong>o alternare vittoria e sc<strong>on</strong>fitta… Ma noi ce la<br />

faremo piccolo Oleg, tu sogna e la tua Yelizaveta ti insegnerà ancora, ti farà capire che può esserci luce<br />

anche in questo buio; sperimenterai un’altra vita, ma comunque una vita.»<br />

Il d<strong>on</strong>o di Perun<br />

Per un po’ ci fu silenzio in tutto quel nero, come se la Presenza fosse sparita.<br />

Però, Stefano sapeva che Lei era lì. La sentiva ormai come una parte di sé; n<strong>on</strong> tutto era chiaro, ma poco a<br />

poco i ricordi si stavano ricomp<strong>on</strong>endo, mentre uscivano dalla nebbia come pallidi fantasmi.<br />

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