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vita interna di gesù cristo - Parrocchia San Michele Arcangelo ...

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amarezza, perché si rappresentavano alla uria mente tutti quelli che avrebbero vegliato e patito molto per le loro vane<br />

sod<strong>di</strong>sfazioni, e per sfogare le loro ree passioni, e che invece per la salute delle loro anime, e per il servizio e la gloria del <strong>di</strong>vin<br />

Padre, non avrebbero potuto né voluto soffrire cosa alcuna, sembrando loro molto grave ogni leggero incomodo, ed ogni piccolo<br />

patimento insoffribile e <strong>di</strong>fficile. Perciò, pregavo il <strong>di</strong>vin Padre <strong>di</strong> illuminarli e <strong>di</strong> far loro conoscere l’inganno in cui vivono. E vi<strong>di</strong><br />

che il Padre l’avrebbe fatto, e che molti, servendosi dei lumi <strong>di</strong>vini, avrebbero procurato <strong>di</strong> soffrire incomo<strong>di</strong> e patimenti per la<br />

loro eterna salute e per il servizio e la gloria del <strong>di</strong>vin Padre. Di ciò ne resi grazie al Padre. Ma senti dell’amarezza nel vedere il<br />

gran numero <strong>di</strong> quelli che si sarebbero abusati dei lumi <strong>di</strong>vini, non facendone conto alcuno, e che avrebbero patito e sofferto<br />

molto per le loro vane sod<strong>di</strong>sfazioni e capricci. Io offrivo al Padre quella veglia dolorosa in sconto delle loro colpe.<br />

DINANZI A CAIFA ED AL SINEDRIO –<br />

Arrivato, pertanto, in casa del Pontefice Caifa, tutti quelli della coorte incominciarono a far festa, chi saltando e chi battendo le<br />

mani per l’allegrezza: facevano tutto per aderire agli Scribi e ai Farisei, che stavano ad aspettarmi.<br />

Entrai in quella casa col capo chino, cogli occhi bassi, pieno <strong>di</strong> confusione, per la figura deforme in cui mi trovavo: solo, in mano<br />

dei nemici, da tutti abbandonato. Tutti erano contro <strong>di</strong> me, non essendovi uno solo che avesse per me un po’ <strong>di</strong> compassione.<br />

Ero pieno <strong>di</strong> confusione, per vedermi tanto sfigurato, perché volevo soffrire tutte le pene, che un puro uomo avrebbe sofferto,<br />

se si fosse trovato in quello stato deplorabile. E nel soffrire quelle pene, andavo compatendo tutti i miei seguaci, che, per amor<br />

mio e del mio Nome, avrebbero patito travagli e confusioni. Domandavo per essi al Padre mio la grazia e la virtù, onde avessero<br />

sofferto con generosità, come lo soffrivo per loro amore.<br />

Arrivai frattanto alla presenza del giu<strong>di</strong>ce, che sedeva in trono, con volto serio, gonfio <strong>di</strong> superbia. Intorno all’ampia sala erano,<br />

in gran numero, egli Scribi e i Farisei, tutti con aria seria, mostrando autorità sopra <strong>di</strong> me. Mi guardavano con occhi torbi<strong>di</strong> ed<br />

irati, come se volessero uccidermi con i loro sguar<strong>di</strong>. E pur vedendomi già tanto mal ridotto e sfigurato, si accrebbe tuttavia in<br />

essi l’o<strong>di</strong>o e la vendetta contro <strong>di</strong> me, essendo io <strong>di</strong>venuto l’oggetto del loro sdegno e furore per i molti benefici che loro avevo<br />

fatto.<br />

INTERROGATORIO E CONDANNA. –<br />

Io stavo Come un agnello mansueto, in mezzo a quei lupi rapaci, alla presenza dell’empio giu<strong>di</strong>ce, alle interrogazioni del quale,<br />

non <strong>di</strong>e<strong>di</strong> mai risposta, essendo falso tutto ciò che mi chiedeva e <strong>di</strong> cui mi avevano accusato quegli empi e crudeli. Tutti gli<br />

astanti fremevano, perché non davo alcuna risposta. Vi fu chi <strong>di</strong>sse al Pontefice, che, essendo io un ipocrita, non rispondevo,<br />

perché, stimandomi innocente, pretendevo che anche il giu<strong>di</strong>ce mi stimasse tale: per questo stavo in atteggiamento umile, ma in<br />

verità, ero un superbo ar<strong>di</strong>to, che, con tanta sfacciataggine, riprendevo tutti, quando pre<strong>di</strong>cavo al Tempio. Poi ognuno degli<br />

astanti <strong>di</strong>sse il suo sentimento e parere contro <strong>di</strong> me. Furono molte le accuse che mi fecero in questo tribunale, tutte false ed<br />

infami, tacciandomi da seduttore, da prevaricatore, da superbo, da indemoniato, amico <strong>di</strong> gente infame, che avevo commercio<br />

coi pubblicani, che mangiavo e bevevo con essi, che volevo essere Re, e mi chiamavo Figlio <strong>di</strong> Dio. E nel <strong>di</strong>re tutte queste ed altre<br />

cose contro <strong>di</strong> me; le accompagnavano con ingiurie e mal<strong>di</strong>cenze. Dopo che si furono sfogati alquanto, stando io ad u<strong>di</strong>re tutto<br />

in profondo silenzio, che offrivo al Padre, in sconto dei loro gravi peccati, alla fine mi interrogò il Pontefice, in Nome <strong>di</strong> Dio vivo,<br />

perché gli <strong>di</strong>cessi, se veramente ero il vero Figlio <strong>di</strong> Dio, come gli avevan detto che da me stesso mi ero <strong>di</strong>chiarato. Il Pontefice mi<br />

fece questa interrogazione, non per sapere se io fossi veramente il Figlio <strong>di</strong> Dio, ma per sentirlo <strong>di</strong>re dalla mia bocca alla<br />

presenza <strong>di</strong> tutti; e per prendere motivo <strong>di</strong> condannarmi, se l’avessi confessato; <strong>di</strong> deridermi e farmi restar confuso e<br />

svergognato alla presenza <strong>di</strong> tutti, se l’avessi negato. Quantunque fosse cattiva la sua intenzione, io risposi a questa domanda,<br />

per il rispetto e la riverenza che avevo al <strong>di</strong>vin Nome, e gli confessai, alla presenza <strong>di</strong> tutti, che io ero veramente il figlio <strong>di</strong> Dio, e<br />

che mi avrebbero veduto sopra le nuvole, per giu<strong>di</strong>care il mondo. Appena ebbi proferita questa parola <strong>di</strong> verità, furono tante le<br />

fischiate, i battimenti <strong>di</strong> mano, e le ingiurie che quella sala sembrava un luogo <strong>di</strong> confusione o <strong>di</strong> vendetta. Irato per la risposta e<br />

pieno <strong>di</strong> sdegno, il giu<strong>di</strong>ce esclamò: Ha bestemmiato, e perciò lo faccio reo <strong>di</strong> morte. Alzando le voci, tutti gridavano: è reo <strong>di</strong><br />

morte. Strappatesi le vesti in due parti, in segno <strong>di</strong> ira e <strong>di</strong> vendetta, or<strong>di</strong>nò che fossi posto in carcere per il resto della notte (1).<br />

Gli Scribi e i Farisei presero, poi, motivo dalle parole che avevo detto al giu<strong>di</strong>ce, confessandomi vero Figlio <strong>di</strong> Dio, per far credere,<br />

che fossero vere anche tutte le altre falsità che mi opponevano. Dicevano al Pontefice: Come non ha negato questa falsità, così è<br />

reo anche <strong>di</strong> tutte le altre. E fini considerato tale. Né io volli <strong>di</strong>scolparmi, ma tacqui. Tra tutte le falsità che <strong>di</strong>ssero <strong>di</strong> me in<br />

questo tribunale, due sole cose erano vere: che io mi chiamassi Figliuolo <strong>di</strong> Dio, cioè, che chiamavo Id<strong>di</strong>o, mio Padre celeste, e

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