SANDOKAN ALLA RISCOSSA - Testi Elettronici
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«Che quel dayako cerchi di sfuggirci?» «Vi sono Sandokan e Kammamuri dall'altra parte e non lo lasceranno<br />
scappare senza salutarlo con un paio di fucilate».<br />
«Era un uomo?» «Io non ho potuto vedere».<br />
«Che cosa vuoi fare?» «Cacciarmi dentro la macchia», rispose Yanez risolutamente «e raggiungerlo o<br />
abbatterlo».<br />
«Non sarà cosa facile attraversare questo caos di vegetali. Una jungla indiana non è altrettanto fitta».<br />
«Con un po' di pazienza ci riusciremo. La guerra d'imboscata non è certo molto piacevole né facile, eppure qui<br />
non si combatte diversamente. Il Borneo è il paese degli agguati e delle sorprese. Bada dove posi i piedi: ci<br />
possono essere dei serpenti dentro questa macchia».<br />
«Sono amico dei serpenti» rispose l'indiano.<br />
Yanez passò sotto le piante sarmentose, tenendo una mano sui grilletti della carabina, perché qualche ramo<br />
non facesse partire i colpi, e s'avanzò cautamente in mezzo a quella massa di vegetali intricatissimi.<br />
Tremal-Naik lo seguiva a due passi di distanza, girando senza posa gli sguardi ora a destra ed ora a sinistra, per<br />
guardarsi i fianchi e prevenire qualche colpo di cerbottana.<br />
Yanez di quando in quando si fermava, mettendosi in ascolto, poi riprendeva la marcia cercando di non far<br />
rumore.<br />
Abituato alle corse attraverso i foltissimi boschi della grande isola, che aveva attraversati tante volte insieme a<br />
Sandokan ed ai Tigrotti di Mòmpracem, poteva dare qualche punto perfino ai sanguinari dayaki.<br />
Percorsi quattro o cinquecento metri si fermò, trattenendo a malapena una esclamazione: «Che bel<br />
granchio!...» sussurrò.<br />
«Che cos'hai detto?» chiese Tremal-Naik.<br />
«Che Kammamuri si era ingannato».<br />
«Perché?» «Noi diamo la caccia ad un uomo dei boschi invece che ad un dayako».<br />
«Non ti comprendo».<br />
«É un maias che egli ha veduto, e non già un uomo».<br />
«Uno di quei brutti urang-outan?» «Sì, Tremal-Naik».<br />
«É facile scambiarli per dei veri selvaggi».<br />
«Non dico il contrario».<br />
«L'hai veduto?» «Si è rifugiato in mezzo a quel gruppo di durion che sorge nel centro della macchia».<br />
«Torniamo indietro ad avvertire Sandokan e Kammamuri» disse l'indiano.<br />
«Non abbiamo tempo da perdere, né dobbiamo esporci a dei pericoli, specialmente in questi momenti».<br />
«É ciò che penso anch'io» rispose il portoghese. «Vada a farsi uccidere dai dayaki».<br />
Stavano per ritornare sui loro passi, nulla avendo da guadagnare in una lotta contro quei formidabili<br />
scimmioni, quando un grido giunse ai loro orecchi: «Aiuto, capitano!» «Kammamuri!...» avevano esclamato<br />
ad una voce il portoghese e l'indiano, diventando subito pallidissimi.<br />
Si udì un colpo di carabina, poi un altro, sparati dall'altra parte della gigantesca macchia, poi più nulla.<br />
«Corriamo, Tremal-Naik!...» gridò Yanez.<br />
Tentarono di slanciarsi, ma furono ben presto costretti a rallentare la loro furia, poiché i sarmenti, collegati coi<br />
robustissimi rotang, opponevano una resistenza incredibile e non cedevano dinanzi ad alcun urto.<br />
Fortunatamente qua e là esistevano dei piccoli passaggi, i quali permettevano ad una persona di potersi inoltrare<br />
senza soverchia difficoltà, a condizione che non avesse troppa fretta.<br />
Sagrando contro tutti quegli ostacoli, i due avventurieri in meno di un minuto poterono giungere presso il<br />
gruppo dei durion.<br />
Uno spettacolo terrificante s'offerse subito ai loro sguardi.<br />
Su uno dei bassi rami di quegli enormi alberi, stava Kammamuri, brandendo uno di quei coltellacci indiani,<br />
dalla lama ricurva e larga, chiamati tarwar, e di fronte a lui una mostruosa scimmia, alta quasi un metro e<br />
mezzo, dalla faccia larga, il petto enormemente sviluppato, il collo corto e rugoso provvisto d'un sacco gutturale<br />
che il suo proprietario può gonfiare a piacimento, gli occhi piccoli, il muso sporgente ed il corpo coperto da un<br />
pelo piuttosto scarso, arruffato e di color rossastro-bruno.<br />
Il maharatto, colle gambe ben strette attorno al ramo, minacciava il mostro, avventando dei colpi formidabili<br />
in tutte le direzioni e urlandogli sul muso: «Canaglia!... Ti uccido!...» Il maias mandava fischi acuti, che<br />
talvolta si tramutavano in ululati spaventosi, simili a quelli d'una giovenca atterrita, e allungava le enormi<br />
braccia villose, tentando di afferrarlo e di piantargli sul viso le sue unghie.