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M. Murgia - Origine delle tensioni residue in saldatura, metodologie tradizionali di misura, precauzioni e rimedi<br />
1. Origine delle tensioni residue<br />
di saldatura<br />
1.1. Considerazioni preliminari<br />
Prima di procedere alla descrizione<br />
delle condizioni che portano allo<br />
sviluppo delle tensioni residue di saldatura<br />
è bene precisare che con tale<br />
termine, in genere, si intendono tensioni<br />
del primo ordine (o macroscopiche) che<br />
si estendono in volumi di dimensioni<br />
maggiori rispetto agli elementi costituenti<br />
la microstruttura (cristalli, grani,<br />
dendriti). Per quanto esse subiscano<br />
variazioni di natura locale, nel<br />
passaggio ad esempio da un grano<br />
all’altro, sono in realtà considerate per il<br />
loro valore medio.<br />
Le tensioni residue del secondo ordine<br />
interessano invece l’interazione tra<br />
cristalli, grani o fasi eterogenee (le<br />
dimensioni di riferimento possono<br />
variare da 0.01 ad 1 mm): un esempio<br />
possono essere gli stati tensionali legati<br />
a punti di accumulo di dislocazioni o a<br />
seconde fasi precipitate.<br />
Le tensioni residue del terzo ordine sono<br />
invece quelle che agiscono in scala<br />
ancora minore, ad esempio tra diverse<br />
regioni atomiche, come nel caso degli<br />
stati tensionali che caratterizzano una<br />
singola dislocazione.<br />
1.2 Descrizione del fenomeno<br />
In sintesi, le tensioni residue di saldatura<br />
sono il risultato di una deformazione<br />
permanente non omogenea, nella quale è<br />
possibile distinguere:<br />
• una variazione di volume, dovuta alle<br />
dilatazioni termiche, a processi di<br />
natura chimica ed alle microtrasformazioni<br />
strutturali;<br />
• una variazione di forma, legata a<br />
deformazioni di tipo plastico e viscoplastico.<br />
Eventuali tensioni di natura termica<br />
generate in campo elastico scompaiono<br />
di fatto con le cause che l’hanno<br />
prodotte e non sono pertanto neppure<br />
considerate come tensioni residue. Le<br />
cosiddette tensioni residue di saldatura<br />
24 Riv. Ital. Saldatura - n. 1 - Gennaio / Febbraio <strong>2007</strong><br />
sono in genere tensioni legate primariamente<br />
alle condizioni di raffreddamento<br />
cui si possono sovrapporre, in modo<br />
anche determinante, quelle dovute alle<br />
trasformazioni microstrutturali.<br />
Durante la saldatura, la regione interessata<br />
al processo è riscaldata fortemente e<br />
portata localmente a fusione (nei<br />
processi autogeni), con una forte dilatazione<br />
di natura termica come effetto del<br />
proprio riscaldamento.<br />
Le regioni circostanti, a temperatura<br />
molto più bassa, ostacolano la dilatazione<br />
del giunto comportando lo<br />
sviluppo degli stati tensionali; le<br />
tensioni residue superano in parte il<br />
limite elastico del materiale, la cui<br />
entità è ridotta per via delle elevate<br />
temperature. In termini qualitativi, la<br />
zona del giunto è caratterizzata a<br />
raffreddamento ultimato da stati prevalentemente<br />
di trazione, cui fanno equilibrio<br />
stati di compressione nelle zone<br />
adiacenti.<br />
Le variazioni microstrutturali allo stato<br />
solido, ad esempio le trasformazioni<br />
fuori equilibrio, sono accompagnate<br />
nella maggior parte dei casi da aumenti<br />
di volume: se si verificano a temperature<br />
sufficientemente basse, il limite di snervamento<br />
è sufficientemente alto a<br />
contrastarle, determinando uno stato<br />
finale di compressione nella zona interessata<br />
alle trasformazioni e di trazione,<br />
in quelle circostanti.<br />
È chiaro quindi che lo stato tensionale<br />
finale sarà dovuto all’entità delle<br />
tensioni prevalenti tra le due sopra<br />
descritte.<br />
Come noto, le tensioni residue possono<br />
essere significativamente ridotte ad<br />
elevata temperatura attraverso la riduzione<br />
del limite elastico del materiale e<br />
del suo modulo di elasticità, senza<br />
trascurare gli effetti della distensione per<br />
effetti di scorrimento viscoso (creep) che<br />
accompagnano in forma localizzata lo<br />
svolgimento dei tradizionali trattamenti<br />
di stress relieving (distensione).<br />
Il successivo raffreddamento deve essere<br />
adeguatamente controllato ed uniforme.<br />
Un secondo modo per ottenere una<br />
sostanziale riduzione delle tensioni<br />
residue di saldatura è l’applicazione di<br />
azioni esterne che determinino in forma<br />
localizzata il superamento del limite<br />
elastico del materiale, con una sostanziale<br />
ridistribuzione degli stati tensionali,<br />
a trattamento ultimato.<br />
2. Distribuzione delle tensioni<br />
residue<br />
Appare logico, una volta compreso -<br />
almeno in termini generali - il principio<br />
fisico del fenomeno, provare a conoscere<br />
nel modo più preciso possibile<br />
l’entità e la distribuzione delle tensioni<br />
residue nelle giunzioni saldate, in modo<br />
da valutarne le possibili interazioni con<br />
le prestazioni del giunto in esercizio e<br />
valutare le eventuali azioni correttive.<br />
In realtà, i fattori che influenzano l’effettiva<br />
distribuzione degli stati tensionali in<br />
un giunto sono numerosi; ad esempio:<br />
• la geometria del giunto stesso e gli<br />
spessori in gioco;<br />
• le condizioni di vincolo;<br />
• la presenza di eventuali stati tensionali<br />
dovuti a lavorazioni precedenti;<br />
• gli stati di fornitura dei semilavorati;<br />
• il processo di saldatura utilizzato e la<br />
specifica di procedura impiegata;<br />
• la natura del consumabile (se<br />
previsto).<br />
Occorre inoltre sottolineare come i<br />
metodi di misura utilizzati siano ovviamente,<br />
a loro volta, affetti da errori<br />
sperimentali e caratterizzati da ovvie<br />
limitazioni per effetto del principio<br />
fisico su cui si basano. Per gli scopi di<br />
questa relazione, dunque, può essere<br />
utile distinguere tra le distribuzioni che<br />
possono essere determinate su base<br />
sperimentale, con metodologie anche<br />
estremamente sofisticate, e quelle che<br />
invece possono essere assunte ad<br />
esempio per verifiche di stabilità di<br />
imperfezioni, che devono soddisfare un<br />
opportuno compromesso tra esigenze di<br />
conservatività e semplicità, senza necessità<br />
di ricorrere a validazioni sperimentali<br />
di caso in caso.<br />
2.1 Caratterizzazione sperimentale<br />
degli stati tensionali<br />
In genere, lo studio è condotto a partire<br />
da geometrie di giunzione semplici,<br />
come ad esempio, la saldatura testa a<br />
testa tra lamiere con giunzioni simmetriche<br />
rispetto alla loro mezzeria, considerando<br />
cicli termici rapidi per assumere<br />
condizioni di riscaldamento e raffreddamento<br />
uniformi sulla lunghezza del<br />
giunto. Ulteriori assunzioni semplificative<br />
riguardano spesso anche l’assenza<br />
di momenti agenti sul giunto o deformazioni<br />
ad essi legate, considerando in<br />
sostanza che le tensioni agiscano come