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Numero 1 2007 - IIS

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M. Murgia - Origine delle tensioni residue in saldatura, metodologie tradizionali di misura, precauzioni e rimedi<br />

1. Origine delle tensioni residue<br />

di saldatura<br />

1.1. Considerazioni preliminari<br />

Prima di procedere alla descrizione<br />

delle condizioni che portano allo<br />

sviluppo delle tensioni residue di saldatura<br />

è bene precisare che con tale<br />

termine, in genere, si intendono tensioni<br />

del primo ordine (o macroscopiche) che<br />

si estendono in volumi di dimensioni<br />

maggiori rispetto agli elementi costituenti<br />

la microstruttura (cristalli, grani,<br />

dendriti). Per quanto esse subiscano<br />

variazioni di natura locale, nel<br />

passaggio ad esempio da un grano<br />

all’altro, sono in realtà considerate per il<br />

loro valore medio.<br />

Le tensioni residue del secondo ordine<br />

interessano invece l’interazione tra<br />

cristalli, grani o fasi eterogenee (le<br />

dimensioni di riferimento possono<br />

variare da 0.01 ad 1 mm): un esempio<br />

possono essere gli stati tensionali legati<br />

a punti di accumulo di dislocazioni o a<br />

seconde fasi precipitate.<br />

Le tensioni residue del terzo ordine sono<br />

invece quelle che agiscono in scala<br />

ancora minore, ad esempio tra diverse<br />

regioni atomiche, come nel caso degli<br />

stati tensionali che caratterizzano una<br />

singola dislocazione.<br />

1.2 Descrizione del fenomeno<br />

In sintesi, le tensioni residue di saldatura<br />

sono il risultato di una deformazione<br />

permanente non omogenea, nella quale è<br />

possibile distinguere:<br />

• una variazione di volume, dovuta alle<br />

dilatazioni termiche, a processi di<br />

natura chimica ed alle microtrasformazioni<br />

strutturali;<br />

• una variazione di forma, legata a<br />

deformazioni di tipo plastico e viscoplastico.<br />

Eventuali tensioni di natura termica<br />

generate in campo elastico scompaiono<br />

di fatto con le cause che l’hanno<br />

prodotte e non sono pertanto neppure<br />

considerate come tensioni residue. Le<br />

cosiddette tensioni residue di saldatura<br />

24 Riv. Ital. Saldatura - n. 1 - Gennaio / Febbraio <strong>2007</strong><br />

sono in genere tensioni legate primariamente<br />

alle condizioni di raffreddamento<br />

cui si possono sovrapporre, in modo<br />

anche determinante, quelle dovute alle<br />

trasformazioni microstrutturali.<br />

Durante la saldatura, la regione interessata<br />

al processo è riscaldata fortemente e<br />

portata localmente a fusione (nei<br />

processi autogeni), con una forte dilatazione<br />

di natura termica come effetto del<br />

proprio riscaldamento.<br />

Le regioni circostanti, a temperatura<br />

molto più bassa, ostacolano la dilatazione<br />

del giunto comportando lo<br />

sviluppo degli stati tensionali; le<br />

tensioni residue superano in parte il<br />

limite elastico del materiale, la cui<br />

entità è ridotta per via delle elevate<br />

temperature. In termini qualitativi, la<br />

zona del giunto è caratterizzata a<br />

raffreddamento ultimato da stati prevalentemente<br />

di trazione, cui fanno equilibrio<br />

stati di compressione nelle zone<br />

adiacenti.<br />

Le variazioni microstrutturali allo stato<br />

solido, ad esempio le trasformazioni<br />

fuori equilibrio, sono accompagnate<br />

nella maggior parte dei casi da aumenti<br />

di volume: se si verificano a temperature<br />

sufficientemente basse, il limite di snervamento<br />

è sufficientemente alto a<br />

contrastarle, determinando uno stato<br />

finale di compressione nella zona interessata<br />

alle trasformazioni e di trazione,<br />

in quelle circostanti.<br />

È chiaro quindi che lo stato tensionale<br />

finale sarà dovuto all’entità delle<br />

tensioni prevalenti tra le due sopra<br />

descritte.<br />

Come noto, le tensioni residue possono<br />

essere significativamente ridotte ad<br />

elevata temperatura attraverso la riduzione<br />

del limite elastico del materiale e<br />

del suo modulo di elasticità, senza<br />

trascurare gli effetti della distensione per<br />

effetti di scorrimento viscoso (creep) che<br />

accompagnano in forma localizzata lo<br />

svolgimento dei tradizionali trattamenti<br />

di stress relieving (distensione).<br />

Il successivo raffreddamento deve essere<br />

adeguatamente controllato ed uniforme.<br />

Un secondo modo per ottenere una<br />

sostanziale riduzione delle tensioni<br />

residue di saldatura è l’applicazione di<br />

azioni esterne che determinino in forma<br />

localizzata il superamento del limite<br />

elastico del materiale, con una sostanziale<br />

ridistribuzione degli stati tensionali,<br />

a trattamento ultimato.<br />

2. Distribuzione delle tensioni<br />

residue<br />

Appare logico, una volta compreso -<br />

almeno in termini generali - il principio<br />

fisico del fenomeno, provare a conoscere<br />

nel modo più preciso possibile<br />

l’entità e la distribuzione delle tensioni<br />

residue nelle giunzioni saldate, in modo<br />

da valutarne le possibili interazioni con<br />

le prestazioni del giunto in esercizio e<br />

valutare le eventuali azioni correttive.<br />

In realtà, i fattori che influenzano l’effettiva<br />

distribuzione degli stati tensionali in<br />

un giunto sono numerosi; ad esempio:<br />

• la geometria del giunto stesso e gli<br />

spessori in gioco;<br />

• le condizioni di vincolo;<br />

• la presenza di eventuali stati tensionali<br />

dovuti a lavorazioni precedenti;<br />

• gli stati di fornitura dei semilavorati;<br />

• il processo di saldatura utilizzato e la<br />

specifica di procedura impiegata;<br />

• la natura del consumabile (se<br />

previsto).<br />

Occorre inoltre sottolineare come i<br />

metodi di misura utilizzati siano ovviamente,<br />

a loro volta, affetti da errori<br />

sperimentali e caratterizzati da ovvie<br />

limitazioni per effetto del principio<br />

fisico su cui si basano. Per gli scopi di<br />

questa relazione, dunque, può essere<br />

utile distinguere tra le distribuzioni che<br />

possono essere determinate su base<br />

sperimentale, con metodologie anche<br />

estremamente sofisticate, e quelle che<br />

invece possono essere assunte ad<br />

esempio per verifiche di stabilità di<br />

imperfezioni, che devono soddisfare un<br />

opportuno compromesso tra esigenze di<br />

conservatività e semplicità, senza necessità<br />

di ricorrere a validazioni sperimentali<br />

di caso in caso.<br />

2.1 Caratterizzazione sperimentale<br />

degli stati tensionali<br />

In genere, lo studio è condotto a partire<br />

da geometrie di giunzione semplici,<br />

come ad esempio, la saldatura testa a<br />

testa tra lamiere con giunzioni simmetriche<br />

rispetto alla loro mezzeria, considerando<br />

cicli termici rapidi per assumere<br />

condizioni di riscaldamento e raffreddamento<br />

uniformi sulla lunghezza del<br />

giunto. Ulteriori assunzioni semplificative<br />

riguardano spesso anche l’assenza<br />

di momenti agenti sul giunto o deformazioni<br />

ad essi legate, considerando in<br />

sostanza che le tensioni agiscano come

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