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quando e perché il film-tv crea dipendenza. Nel ... - Cinematografo

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PROPRIETA’ PRIVATA<br />

Isabelle Huppert in un dramma rigorosissimo a metà fra Haneke e i Dardenne<br />

ANTEPRIMA<br />

Una casa in una campagna<br />

francese appena accennata.<br />

Fuori scorci di cieli grigi e poco più.<br />

Dietro pesanti pareti in pietra, un<br />

dramma fam<strong>il</strong>iare a base di egoismi,<br />

incomunicab<strong>il</strong>ità e macerie affettive,<br />

con finale dirompente. E poi niente<br />

musica, fotografia livida, dialoghi<br />

essenziali e tanta fisicità: rigore e<br />

parabola autodistruttiva di Proprietà<br />

privata ricordano molto La pianista di<br />

Haneke, pluripremiata a Cannes nel<br />

2001. Anche qui c’è Isabelle Huppert.<br />

Se lì, a muoverla era una vitale<br />

ribellione al soffocante giogo materno<br />

e sociale, <strong>il</strong> fuoco è questa volta sul<br />

figlio Thierry, <strong>il</strong> bravissimo Jeremie<br />

Renier, già visto ne L’enfant dei<br />

Dardenne: grande, grosso e ribelle, ma<br />

senza la minima intenzione di<br />

abbandonare <strong>il</strong> nido materno. Non è<br />

però una crociata quella del regista<br />

Joachim Lafosse: non enfatizza, né<br />

indulge nella condanna. Stringe <strong>il</strong><br />

cerchio, invece. Intesse con profondità<br />

e ricchezza di particolari la complessa<br />

trama di un dramma a più ampio<br />

raggio. Cibo, tetto, sopravvivenza: <strong>il</strong><br />

rapporto con la mamma Isabelle<br />

Huppert è puramente strumentale, ma<br />

neanche lei è senza macchia. Si inizia<br />

con fut<strong>il</strong>i schermaglie al tavolo della<br />

colazione, in cui si allea al più mite<br />

fratello François. La circostanza non è<br />

casuale: pretende cure e<br />

mantenimento Thierry, ma ribadisce<br />

anche <strong>il</strong> suo essere già uomo. Sguardi<br />

bassi da una parte e aggressivo<br />

incalzare dall’altra parlano dei rapporti<br />

di forza: mamma Pascale è all’angolo,<br />

sempre più ostaggio di due figli senza i<br />

quali, arriva a dire, finalmente potrebbe<br />

vivere. Il crescendo è perfetto, <strong>il</strong><br />

fastidio dello spettatore fisico come in<br />

Rosetta. Tra le righe, accenni appena<br />

schizzati che allargano <strong>il</strong> campo.<br />

L’affresco è fam<strong>il</strong>iare e sociale allo<br />

stesso tempo: non c’è colpa, ma<br />

fallimento nella storia di Thierry e<br />

Pascale. Quello di un matrimonio in<br />

pezzi e delle macerie affettive che ne<br />

rimangono: una madre prigioniera e un<br />

padre-bancomat, ciascuno<br />

consapevole della propria disfatta, ma<br />

aggrappato alla speranza di una nuova<br />

vita. E’ però proprio questa<br />

atomizzante lotta alla sopravvivenza<br />

che soffoca e condanna i protagonisti.<br />

Ciascuno troppo concentrato a salvarsi<br />

per preoccuparsi del “mondo” che gli<br />

crolla attorno. Fino alla svolta finale,<br />

che Lafosse dipinge quasi come<br />

naturale approdo di un esasperato<br />

individualismo. Alla speranza concede<br />

uno spiraglio appena, ma agli<br />

spettatori regala un gran f<strong>il</strong>m.<br />

DIEGO GIULIANI<br />

REGIA JOACHIM LAFOSSE<br />

Con Isabelle Huppert, Jérémie Renier<br />

Genere Drammatico, colore<br />

Distr. Bim<br />

Durata 92’<br />

Non c’è colpa<br />

ma fallimento<br />

nell’affresco<br />

di Lafosse.<br />

E come in<br />

Rose ta <strong>il</strong><br />

fastidio dello<br />

spettatore è<br />

quasi fisico<br />

ANTEPRIMA<br />

L’ALBERO DELLA<br />

VITA<br />

Requiem per <strong>il</strong> sogno di Aronofsky.<br />

Che punta in alto, ma perde la storia<br />

Una storia, tre epoche (1500,<br />

oggi e 2500) due protagonisti,<br />

Hugh Jackman e Rachel Weisz, un<br />

amore. Progetto a lunga gestazione,<br />

con budget dissanguato dalla<br />

defezione di Pitt e Blanchett (da 75 a<br />

35 m<strong>il</strong>ioni di dollari), L’albero della<br />

vita (The Fountain) segna <strong>il</strong> ritorno<br />

dietro la macchina da presa<br />

dell’enfant terrible Darren Aronofsky,<br />

autore quasi-cult di Pi greco - Il<br />

teorema del delirio e Requiem for a<br />

Dream. Atteso con trepidazione alla<br />

Mostra di Venezia, The Fountain ha<br />

deluso, zamp<strong>il</strong>lando acque stagnanti,<br />

nonostante le ellissi, analessi e<br />

prolessi di cui è saturo. Vorrebbe<br />

Aronofsky parlare di immortalità, ma<br />

compie scelte suicide, con una poetica<br />

che accumula bivi e perde la rotta e<br />

uno st<strong>il</strong>e che vanifica <strong>il</strong> pregevole<br />

ut<strong>il</strong>izzo di microfotografie e trucchi<br />

“in camera” anziché la solita CGI. La<br />

storia: lei (la Weisz è moglie del<br />

regista) è afflitta da male incurab<strong>il</strong>e,<br />

lui non se ne fa una ragione, cerca la<br />

fontana della giovinezza, prima da<br />

conquistador spagnolo, poi da<br />

ricercatore medico-scientifico, poi -<br />

anzi prima, anzi ora - da spazionauta<br />

in posizione del loto, tra nebulose da<br />

guardare e cortecce da mangiare.<br />

Tanto rumore per nulla, Aronofsky<br />

affastella inquisizione, francescani,<br />

tai-chi, escatologia e arboricoltura, fa<br />

professione di fede New Age, rincorre<br />

<strong>il</strong> sincretismo e spreca interpreti non<br />

disprezzab<strong>il</strong>i. Soprattutto, non sa<br />

raccontare. Il sogno di Darren ha<br />

avuto <strong>il</strong> suo requiem.<br />

FEDERICO PONTIGGIA<br />

REGIA DARREN ARONOFSKY<br />

Con Hugh Jackman, Rachel Weisz<br />

Genere Drammatico, colore<br />

Distr. 20th Century Fox<br />

Durata 96’<br />

Marzo 2007 RdC 63

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