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kant_il pensiero_della_bellezza.pdf - Lettere e Filosofia

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schmacks. Il piacere estetico (certo non quello patologico ed empirico) non è una conoscenza,<br />

ma la forma <strong>della</strong> conoscenza in generale, ‘prima’ <strong>della</strong> sua determinazione:<br />

l’apertura <strong>della</strong> possib<strong>il</strong>ità dei campi oggettuali regionali. Qui (intendo: nel Bestimmungsgrund<br />

<strong>della</strong> sensazione e del tempo) si scopre un campo fenomenologico<br />

da Kant aperto, ma solo parzialmente esplorato.<br />

Lo ha colto con precisione Lévinas, parlando dell’aspetto ‘schematizzante’ <strong>della</strong><br />

fenomenologia. Quest’ultima, dice, è “un modo per schematizzare la realtà all’interno<br />

degli imprevisti orizzonti <strong>della</strong> soggettività sensib<strong>il</strong>e”. 276 Solo la fenomenologia permette<br />

dunque di giungere alla radice del <strong>kant</strong>ismo, là dove tempo e sensazione 1) ‘affettano’<br />

(affizieren) <strong>il</strong> soggetto scindendolo originariamente, e dove 2) singolarizzano<br />

l’oggetto, portando ciascuna delle facoltà al proprio estremo attraverso rapporti di<br />

accordo, lotta e discordanza reciproci tra le facoltà stesse. 277<br />

Ciò che è messo radicalmente in questione è la concezione delle forme di coerenza,<br />

cioè <strong>della</strong> sintesi.<br />

Se, <strong>della</strong> forma bella non si da un concetto oggettivo che, preesistendo come possib<strong>il</strong>ità,<br />

si particolarizzi poi in specie e si incarni secondo una individuazione spaziotemporale<br />

nel singolo essere, allora la forma o la linea devono avere <strong>il</strong> proprio concetto<br />

in se stesse e questo sarà un concetto singolare, senza alcun modello generale.<br />

La forma e la linea singolare ha <strong>il</strong> proprio concetto in sé, ma questo è possib<strong>il</strong>e solo<br />

se la forma, per usare i termini di Simondon e Deleuze, non si mo<strong>della</strong>, ma si modula,<br />

cioè varia in continuazione senza che una totalità compiuta sia posta sin dall’inizio<br />

come modello, ma anche senza rimanere in una dimensione puramente empirica. La<br />

sintesi del molteplice non è data (come concetto e possib<strong>il</strong>ità dell’oggetto) prima dei<br />

singoli esseri in cui la legge si incarna. La legge è singolare, vale solo per<br />

quell’oggetto bello (“questa rosa”). Il concetto è intrinseco all’esistenza e non la sua<br />

condizione formale a priori. L’universalità è cioè un problema e non un ‘dato’ <strong>della</strong><br />

categorialità a priori. È questo <strong>il</strong> senso profondo <strong>della</strong> necessità di pensare <strong>il</strong> giudizio<br />

riflettente come una terza specie di a priori. La sintesi del molteplice non è solo quella<br />

determinante dell’intelletto, essa può avvenire in altre forme, differenti dalla coerenza<br />

<strong>della</strong> convergenza verso un polo oggettuale = x.<br />

Letto da questo punto di vista, cioè dal punto di vista del problema di una sintesi<br />

<strong>della</strong> molteplicità <strong>della</strong> contingenza e <strong>della</strong> singolarità nel loro rapporto<br />

all’universalità, questo brano di Kant, che può riguardare sia le legge empiriche <strong>della</strong><br />

natura che i singoli esseri belli, riveste una particolare importanza: “<strong>il</strong> Giudizio de-<br />

276 Cfr. Lévinas 1984, p. 50 n.<br />

277 La CdG è <strong>il</strong> frutto di una “vecchiaia”, scrivono Deleuze/Guattari in Che cos’è la f<strong>il</strong>osofia, che<br />

è “una libertà sovrana, una necessità pura, quando possiamo disporre di un momento di grazia tra la<br />

vita e la morte, in cui tutti i pezzi <strong>della</strong> macchina si combinano, per inviare verso <strong>il</strong> futuro un tratto<br />

che attraversa le età” (Deleuze 1996, p. IX). Tale è l’opera dei grandi vecchi <strong>della</strong> pittura (Tiziano,<br />

Turner, Monet, esemplificano Deleuze/Guattari); tale, nell’ambito <strong>della</strong> f<strong>il</strong>osofia, l’opera <strong>della</strong> vecchiaia<br />

di Kant (“un’opera sfrenata” - déchaîné): “e quelli che verranno dopo non cesseranno di rincorrerla:<br />

tutte le facoltà dell’anima superano i loro limiti, quegli stessi limiti che Kant aveva così<br />

accortamente fissato nei libri <strong>della</strong> maturità” (Deleuze 1996, p. X).<br />

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