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COMMENTARIO MUSICALE DELL'ORFEO di Denis Morrier

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finito in più riprese nel corso della Storia. Nel Me<strong>di</strong>o Evo fu fissato il sistema degli «otto<br />

toni ecclesiastici»: l’octoecho (essendo qui il termine tono sinonimo <strong>di</strong> modo). Si <strong>di</strong>ffuse<br />

progressivamente a partire del XIV° secolo fino al Rinascimento, quando fu proposta una<br />

ridefinizione completa del sistema. Questa nuova teoria musicale fu annunciata in due<br />

trattati, ai quali i musicisti si sono frequentemente riferiti fino al XVIII° secolo: il Dodecachordon,<br />

<strong>di</strong> Henricus Glareanus (Bâle, 1547, ristampa: Hildesheim, Olms, 1970); e Le<br />

istituzioni armoniche, <strong>di</strong> Gioseffo Zarlino (Venezia, 1558/1573, ristampa ed 1573: Ridgewood,<br />

Gregg Press, 1966).<br />

Secondo Glareanus, i mo<strong>di</strong> sono delle scale <strong>di</strong> ottava, <strong>di</strong>sposti su ciascuno dei sette<br />

gra<strong>di</strong> della gamma (denominati con le lettere A, B, C, D, E, F, G; uso conservato dai tedeschi<br />

e dagli anglosassoni). L’ottava modale conosce due <strong>di</strong>visioni possibili: una <strong>di</strong>visione<br />

armonica (quinta più quarta), e una <strong>di</strong>visione aritmetica (quarta più quinta). Logicamente,<br />

dovrebbero esistere quattor<strong>di</strong>ci mo<strong>di</strong>, ma due sono respinti (<strong>di</strong>visione armonica su B/Si e<br />

aritmetica su F/Fa) poiché le quinte e le quarte che esse farebbero apparire sono false.<br />

Le do<strong>di</strong>ci scale restanti hanno ciascuna una nota finale (nozione che si potrebbe avvicinare<br />

alla «tonica») che corrisponde a una dei gra<strong>di</strong> dell’esacordo: do, re, mi, fa, sol e la. I<br />

mo<strong>di</strong> che si <strong>di</strong>spiegano su questi sei finali sono doppi: autentici o plagali.<br />

Autentico: questo modo si sviluppa al <strong>di</strong> sopra della nota finale, e usa a partire da<br />

questa nota della <strong>di</strong>visione armonica.<br />

Plagale: si sviluppa al <strong>di</strong> sotto e al <strong>di</strong> sopra della nota finale, e usa a partire dalla nota<br />

più grave della <strong>di</strong>visione aritmetica.<br />

La denominazione dei mo<strong>di</strong> è variabile secondo i trattati. Una numerazione da 1 a 12<br />

è generalmente impiegata, ma per Glareanus il primo modo è il modo <strong>di</strong> Re autentico, il<br />

secondo è il Re plagale e così <strong>di</strong> seguito (ere<strong>di</strong>tà dei toni ecclesiastici). Per il teorico Artusi,<br />

che una famosa <strong>di</strong>scussione oppose a Montever<strong>di</strong>, e per i musicisti «moderni» della fine<br />

del Rinascimento, il primo modo è il Do autentico… Per sfuggire a quello che Jacques Chailley<br />

chiamava «l’imbroglio dei mo<strong>di</strong>» noi adotteremo la terminologia greca richiamata da<br />

Glareanus, così come ci invita a fare Marin Mersenne della sua Armonia Universale (Parigi,<br />

1636): «Quanto alle <strong>di</strong>zioni greche che significano i mo<strong>di</strong> Dorico, Frigio, Li<strong>di</strong>o etc. non<br />

occorre per nulla <strong>di</strong>vertirsi, e d’altra parte non importa quale nome si dà loro, dato che li<br />

si capisce».<br />

do: Ionico (autentico) ipoionico (plagale)<br />

re: Dorico (autentico) ipodorico (plagale)<br />

mi: Frigio (autentico), ipofrigio (plagale)<br />

fa: Li<strong>di</strong>o (autentico), ipoli<strong>di</strong>o (plagale)<br />

sol: Misoli<strong>di</strong>o (autentico), ipomisoli<strong>di</strong>o (plagale)<br />

la: Eolico (autentico), ipoeolico (plagale)<br />

Ciascuno <strong>di</strong> questi mo<strong>di</strong> «naturali» può essere trasposto su altri due gra<strong>di</strong>, seguendo il<br />

principio della solmizzazione che permette una lettura identica degli intervalli in tre esacor<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stinti: <strong>di</strong> naturale (do su C), <strong>di</strong> bemolle (do su F) e <strong>di</strong> bequadro (do sul G<br />

Più chiaramente: ciascuno dei mo<strong>di</strong> può essere trasposto una quinta più bassa (per<br />

bemolle), più raramente una quinta più alta (per bequadro). La trasposizione per bemolle<br />

fa apparire un bemolle in chiave.<br />

La trasposizione modale è un proce<strong>di</strong>mento abituale. I musicisti l’impiegavano ugualmente<br />

per la lettura a vista, così come ce lo ricorda Agostino Agazzari nel suo trattato<br />

contemporaneo dell’Orfeo, Dal sonare sopr’il basso (Venezia, 1607): «Occorre saper tra-

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