44 logia Platonica (1482) un testo greco che egli attribuisce al mitico Orfeo. In questo Inno al sonno <strong>di</strong> Orfeo si vede che l’anima liberata per la vacatio mentis, ripiega su se stessa, partecipa degli arcani celesti e gode della provvidenza <strong>di</strong>vina: «Tu che annunci l’avvenire ai mortali, potente profeta, tu vieni a trovare le anime incantate dal riposo del sonno, e rivolgendo loro la parola, tu risvegli la loro intelligenza. Tu suggerisce, durante il loro sonno, i pensieri degli spiriti felici. Tu pre<strong>di</strong>ci silenziosamente l’avvenire alle anime silenziose, alle anime, <strong>di</strong>co io, la cui intelligenza esercita, in tutta rettitu<strong>di</strong>ne, la pietà verso gli dei». Se Orfeo chiude gli occhi a Caronte, egli glieli apre ugualmente su altre vie, rivelate a lui solo. Ricor<strong>di</strong>amo che Ficino, Striggio e Montever<strong>di</strong> con<strong>di</strong>vidono lo stesso interesse per l’alchimia: forse essi hanno pensato qui <strong>di</strong> evocare l’iniziazione ai misteri orfici nella loro accezione cristiana. Una volta fatto addormentare Caronte, Orfeo ritrova la speranza. Il suo canto resta tuttavia rivestito dei colori del dolore, come ce lo conferma una <strong>di</strong>dascalia della partitura: «Orfeo canta al suono dell’organo <strong>di</strong> legno solamente». Il chitarrone tace, senza dubbio per evitare che la sua sonorità metallica non <strong>di</strong>sturbi il sonno del Nocchiero d’anime. Quanto Orfeo sale sulla barca <strong>di</strong> Caronte, una nuova <strong>di</strong>dascalia precisa: «In quel momento, egli sale sulla barca e passa cantando al suono dell’organo <strong>di</strong> legno». Bisogna allora risentire la supplica che terminava il suo precedente <strong>di</strong>sperato intervento: «Rendetemi il mio ben». Essa non si rivolge più a Caronte, ma agli altri spiriti infernali, a Proserpina e a Plutone, verso i quali ormai sta navigando. Choro de spiriti [A 5 + B.C. <strong>di</strong>stinto fa 3: do 3, do 3, do 4, fa 4, fa 3] Al suono <strong>di</strong> un Reg[ale], Or[gano] <strong>di</strong> legno, cinque tromb[oni], duoi Bassi da gamba, & un contrabasso de viola. Torna allora la Sinfonia [3] che introduce il terzo atto. Essa conclude la simmetria dell’atto e apre il Choro conclusivo. Questo terzo stasimon <strong>di</strong>fferisce ra<strong>di</strong>calmente dai due precedenti. In effetti non presenta alcun episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> solista, ed è integralmente scritto a cinque voci. Queste cinque parti sono quelle degli Spiriti Infernali, e una volta ancora sembra evidente che si tratti <strong>di</strong> parti soliste: a priori due contralti, tenore e due bassi. Si ritrova qui la notazione in chiavetta: conviene dunque praticare una trasposizione, all’occorrenza alla quinta inferiore. Così questo coro si ritrova alle stessa altezza della Sinfonia a 7 che lo precede e lo segue. D’altra parte è scritto nello stesso modo <strong>di</strong> sol (misoli<strong>di</strong>o). Tuttavia, con tale trasposizione, conviene affidare a questo coro tre tenori e due bassi in modo che sia esattamente la nomenclatura dei cori dell’atto IV°: La <strong>di</strong>dascalia in<strong>di</strong>ca un rivestimento <strong>di</strong> cinque voci per i cinque tromboni: questo colore strumentale caratterizza la natura infernale dei personaggi. Si vede anche qui l’attaccamento <strong>di</strong> Montever<strong>di</strong> a questa antica pratica ere<strong>di</strong>tata dal Rinascimento. Lo stile <strong>di</strong> scrittura rivela d’altra parte la prima prattica monte ver<strong>di</strong>ana, nonostante la presenza <strong>di</strong> una parte <strong>di</strong> basso continuo specifica. In effetti si tratta <strong>di</strong> una polifonia contrappuntistica che si apparenta piuttosto allo stile del mottetto che allo stile madrigalesco. Il testo moralizzatore ispira al compositore una musica dagli accenti «religiosi», accenti tanto più «verosimili» visto che siamo nel mondo degli spiriti. Qualche figuralismo costella ancora il <strong>di</strong>scorso: le ondeggianti <strong>di</strong>stese («ondosi campi») sono illustrate da curve melo<strong>di</strong>che fugate, l’evocazione della gloria da un vocalismo brillante <strong>di</strong> voce me<strong>di</strong>ana che si <strong>di</strong>stingue subito dalle altre parti scritte in valori lunghi. Il testo appare alquanto sibillino. Fedele al pensiero umanista, esso afferma il posto centrale dell’uomo in seno alla creazione <strong>di</strong>vina, e l’importanza dei suoi atti. Ma una volta ancora, la partitura del 1609 non presenta che una parte del testo originale del Choro conclusivo: sui trenta versi stampati noi non conosciamo la musica che dei primi <strong>di</strong>eci. Il coro
si conclude evocando l’ar<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> Orfeo («Ma qual cor fu giammai cotanto ar<strong>di</strong>to?») che non ha paura <strong>di</strong> entrare cantando nel mondo sotterraneo, fra le «larve, i serpenti e i mostri» e che ha saputo calmare il furore <strong>di</strong> Caronte e <strong>di</strong> Cerbero. 45