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COMMENTARIO MUSICALE DELL'ORFEO di Denis Morrier

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sta: «Bisogna suonare più o meno forte secondo la qualità e il numero delle voci, secondo<br />

il luogo e l’opera, evitando <strong>di</strong> ribattere troppo spesso gli accor<strong>di</strong> mentre la voce esegue un<br />

passaggio o esprime qualche affetto, per non interromperla.»<br />

Il continui sta deve prima <strong>di</strong> tutto sottolineare il senso del testo: «Quando vi sono delle<br />

parole, conviene rivestirle <strong>di</strong> un’armonia appropriata che ne produca o ne <strong>di</strong>mostri l’affetto.»<br />

(Agazzari).<br />

Infine, tutti i trattati <strong>di</strong> queste epoca ricordano che il continui sta deve accompagnare<br />

le polifonie alla maniera <strong>di</strong> un basso seguente. Questa pratica <strong>di</strong>mostra una volta <strong>di</strong> più la<br />

permanenza del pensiero polifonico anche dentro l’improvvisazione del basso continuo.<br />

DECLAMAZIONE, RETORICA E ORNAMETAZIONE<br />

L’Orfeo mostra i primi esempi <strong>di</strong> mono<strong>di</strong>a accompagnata nella produzione montever<strong>di</strong>ana.<br />

Non si può che essere impressionati dalla padronanza e l’invenzione con le quali<br />

il compositore affronta questo nuovo stile <strong>di</strong> scrittura. La minuzia della sua notazione<br />

stupisca ancora <strong>di</strong> più, soprattutto se la si paragona a quella dei suoi contemporanei (Peri,<br />

Caccini, Gagliano).<br />

Queste mono<strong>di</strong>e hanno sempre per fondamento le tra<strong>di</strong>zionali concatenazioni <strong>di</strong> consonanze<br />

della polifonia: si può analizzare ciascuna <strong>di</strong> esse facendo apparire una alternanza<br />

<strong>di</strong> quinte, terze, ottave, segno dell’ere<strong>di</strong>tà contrappuntistica. In rivalsa, l’impiego <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ssonanze a fini espressivi è inasprito.<br />

Montever<strong>di</strong> sottomette il canto alle esigenze della declamazione. Usa con estrema<br />

libertà le più <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>visioni ritmiche, al fine <strong>di</strong> illustrare al meglio la calma (flusso lento)<br />

e l’esaltazione (flusso rapido). Infine, egli nota molto precisamente una specie <strong>di</strong> effetto <strong>di</strong><br />

rubato, sfasando il canto dall’appoggio ritmico del basso.<br />

Montever<strong>di</strong> impiega numerose formule melo<strong>di</strong>che per illustrare un’idea o sottolineare<br />

una parola. La nostra analisi farà frequentemente riferimento a queste figure <strong>di</strong> retorica<br />

musicale, co<strong>di</strong>ficate in <strong>di</strong>versi trattati <strong>di</strong> quell’epoca. La nostra terminologia è principalmente<br />

presa da la Musica Poetica <strong>di</strong> Joachim Burmeister (Rostock, 1606) e dal Tractatus<br />

Compositionis augmentatus <strong>di</strong> Christoph Bernhart (1628-1692).<br />

C’è un altro trattato <strong>di</strong> questi autori tedeschi (Von der Singekunst oder Manier) dal quale<br />

abbiamo preso la terminologia che designa i <strong>di</strong>fferenti stili <strong>di</strong> canto dell’Orfeo, come anche<br />

l’ornamentazione vocale in Montever<strong>di</strong>. Su quest’ultimo punto, ci siamo ugualmente riferiti<br />

alla prefazione della Nuove Musiche <strong>di</strong> Caccini (e<strong>di</strong>zione del 1601 e 1614).<br />

TOCCATA<br />

La Toccata che precede il prologo non è in nessun caso un’«ouverture» nel senso<br />

moderno del termine, ma piuttosto un esor<strong>di</strong>o strumentale, adatto a colpire gli spiriti<br />

e ad attirare l’attenzione del pubblico. Questo pezzo celebre è pertanto uno dei meno<br />

«montever<strong>di</strong>ani» della partitura. In effetti fa <strong>di</strong>rettamente riferimento a un’antica pratica<br />

improvvisata e a una tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> scrittura e <strong>di</strong> interpretazione propria degli insiemi<br />

<strong>di</strong> trombe, formazione che conobbe uno sviluppo straor<strong>di</strong>nario in Italia durante tutto il<br />

XVI secolo. I sovrani italiani consideravano questi insiemi come un simbolo della loro<br />

potenza. Fino alla caduta della Repubblica Serenissima, il Doge <strong>di</strong> Venezia era preceduto<br />

in tutte le processioni e cerimonie da «sei trombe d’argento». Nel 1482, i duchi Sforza <strong>di</strong><br />

Milano non impiegavano meno <strong>di</strong> 18 trombettieri. Una famiglia illustre come i Gonzaga si<br />

preoccupava <strong>di</strong> far sentire questi strumenti emblematici nel momento delle loro apparizioni<br />

ufficiali e pubbliche.<br />

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