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COMMENTARIO MUSICALE DELL'ORFEO di Denis Morrier

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Uno spirito, basso, brutale, spigoloso gli rivela il suo fallo con una frase lapidaria. Euri<strong>di</strong>ce,<br />

che è stata silenziosa per tutto l’atto, finalmente interviene.<br />

Il suo secondo e ultimo intervento è una pura meraviglia <strong>di</strong> scrittura, tutta sottomessa<br />

all’espressione della passione contrad<strong>di</strong>ttoria contenuta nelle parole. Perché dolcezza e<br />

dolore si mescolano continuamente in lei: l’illuminazione della visione del suo sposo, e<br />

l’orrore <strong>di</strong> perderlo. Conviene esaminare l’insieme <strong>di</strong> questo breve intervento, esemplare<br />

da tutti i punti <strong>di</strong> vista.<br />

Le prime note sono impressionanti. Lo sguardo <strong>di</strong> Orfeo l’ha letteralmente trafitta: ella<br />

lancia subito un grido <strong>di</strong> dolore («Ahi!») che si trasforma subito in estasi amorosa («Vista<br />

troppo dolce»). Montever<strong>di</strong> fa sentire una <strong>di</strong>ssonanza sfiancante, lunga e dolorosa (ritardo<br />

del re sul mi bem. del basso). Il contesto modale è a priori dorico, trasposto con bemolle<br />

sul sol. Ma il compositore ricorre qui al genere cromatico, propizio alle espressioni patetiche.<br />

Il basso annuncia il «tetracordo cromatico» sol-mi-mi bem-re. L’elevazione improvvisa<br />

<strong>di</strong> una grado conferisce una straor<strong>di</strong>naria luminosità alla parola «dolce»: il subito<br />

ritorno dei bemolli su «troppo amara» non è che più orribile! Poi Euri<strong>di</strong>ce non emette più<br />

la benché minima consonanza, tanto il dolore l’opprime: «così per troppo amor» crea una<br />

dolorosa <strong>di</strong>ssonanza la cui risoluzione è interrotta da una suspiratio (brusco silenzio).<br />

La consapevolezza della propria per<strong>di</strong>ta le ispira una serie <strong>di</strong> salti <strong>di</strong>scendenti che vanno<br />

a finire su <strong>di</strong>ssonanze lunghe (saltus <strong>di</strong>urusculus: re/sol <strong>di</strong>esis): «Et io, misera perdo». E<br />

quando evoca il suo amato, torna verso la luce dell’acuto («Te d’ogni ben più caro») per<br />

tornare alla fine nell’ombra del dorico, in un’ultima cadenza rassegnata.

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