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COMMENTARIO MUSICALE DELL'ORFEO di Denis Morrier

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logia Platonica (1482) un testo greco che egli attribuisce al mitico Orfeo. In questo Inno al<br />

sonno <strong>di</strong> Orfeo si vede che l’anima liberata per la vacatio mentis, ripiega su se stessa, partecipa<br />

degli arcani celesti e gode della provvidenza <strong>di</strong>vina: «Tu che annunci l’avvenire ai<br />

mortali, potente profeta, tu vieni a trovare le anime incantate dal riposo del sonno, e rivolgendo<br />

loro la parola, tu risvegli la loro intelligenza. Tu suggerisce, durante il loro sonno, i<br />

pensieri degli spiriti felici. Tu pre<strong>di</strong>ci silenziosamente l’avvenire alle anime silenziose, alle<br />

anime, <strong>di</strong>co io, la cui intelligenza esercita, in tutta rettitu<strong>di</strong>ne, la pietà verso gli dei».<br />

Se Orfeo chiude gli occhi a Caronte, egli glieli apre ugualmente su altre vie, rivelate a<br />

lui solo. Ricor<strong>di</strong>amo che Ficino, Striggio e Montever<strong>di</strong> con<strong>di</strong>vidono lo stesso interesse per<br />

l’alchimia: forse essi hanno pensato qui <strong>di</strong> evocare l’iniziazione ai misteri orfici nella loro<br />

accezione cristiana.<br />

Una volta fatto addormentare Caronte, Orfeo ritrova la speranza. Il suo canto resta<br />

tuttavia rivestito dei colori del dolore, come ce lo conferma una <strong>di</strong>dascalia della partitura:<br />

«Orfeo canta al suono dell’organo <strong>di</strong> legno solamente». Il chitarrone tace, senza dubbio per<br />

evitare che la sua sonorità metallica non <strong>di</strong>sturbi il sonno del Nocchiero d’anime. Quanto<br />

Orfeo sale sulla barca <strong>di</strong> Caronte, una nuova <strong>di</strong>dascalia precisa: «In quel momento, egli<br />

sale sulla barca e passa cantando al suono dell’organo <strong>di</strong> legno». Bisogna allora risentire<br />

la supplica che terminava il suo precedente <strong>di</strong>sperato intervento: «Rendetemi il mio ben».<br />

Essa non si rivolge più a Caronte, ma agli altri spiriti infernali, a Proserpina e a Plutone,<br />

verso i quali ormai sta navigando.<br />

Choro de spiriti [A 5 + B.C. <strong>di</strong>stinto fa 3: do 3, do 3, do 4, fa 4, fa 3]<br />

Al suono <strong>di</strong> un Reg[ale], Or[gano] <strong>di</strong> legno, cinque tromb[oni], duoi Bassi da gamba, & un<br />

contrabasso de viola.<br />

Torna allora la Sinfonia [3] che introduce il terzo atto. Essa conclude la simmetria<br />

dell’atto e apre il Choro conclusivo. Questo terzo stasimon <strong>di</strong>fferisce ra<strong>di</strong>calmente dai due<br />

precedenti. In effetti non presenta alcun episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> solista, ed è integralmente scritto<br />

a cinque voci. Queste cinque parti sono quelle degli Spiriti Infernali, e una volta ancora<br />

sembra evidente che si tratti <strong>di</strong> parti soliste: a priori due contralti, tenore e due bassi. Si<br />

ritrova qui la notazione in chiavetta: conviene dunque praticare una trasposizione, all’occorrenza<br />

alla quinta inferiore. Così questo coro si ritrova alle stessa altezza della Sinfonia<br />

a 7 che lo precede e lo segue. D’altra parte è scritto nello stesso modo <strong>di</strong> sol (misoli<strong>di</strong>o).<br />

Tuttavia, con tale trasposizione, conviene affidare a questo coro tre tenori e due bassi in<br />

modo che sia esattamente la nomenclatura dei cori dell’atto IV°:<br />

La <strong>di</strong>dascalia in<strong>di</strong>ca un rivestimento <strong>di</strong> cinque voci per i cinque tromboni: questo<br />

colore strumentale caratterizza la natura infernale dei personaggi. Si vede anche qui l’attaccamento<br />

<strong>di</strong> Montever<strong>di</strong> a questa antica pratica ere<strong>di</strong>tata dal Rinascimento. Lo stile <strong>di</strong><br />

scrittura rivela d’altra parte la prima prattica monte ver<strong>di</strong>ana, nonostante la presenza <strong>di</strong><br />

una parte <strong>di</strong> basso continuo specifica. In effetti si tratta <strong>di</strong> una polifonia contrappuntistica<br />

che si apparenta piuttosto allo stile del mottetto che allo stile madrigalesco. Il testo<br />

moralizzatore ispira al compositore una musica dagli accenti «religiosi», accenti tanto più<br />

«verosimili» visto che siamo nel mondo degli spiriti. Qualche figuralismo costella ancora<br />

il <strong>di</strong>scorso: le ondeggianti <strong>di</strong>stese («ondosi campi») sono illustrate da curve melo<strong>di</strong>che<br />

fugate, l’evocazione della gloria da un vocalismo brillante <strong>di</strong> voce me<strong>di</strong>ana che si <strong>di</strong>stingue<br />

subito dalle altre parti scritte in valori lunghi.<br />

Il testo appare alquanto sibillino. Fedele al pensiero umanista, esso afferma il posto<br />

centrale dell’uomo in seno alla creazione <strong>di</strong>vina, e l’importanza dei suoi atti. Ma una volta<br />

ancora, la partitura del 1609 non presenta che una parte del testo originale del Choro conclusivo:<br />

sui trenta versi stampati noi non conosciamo la musica che dei primi <strong>di</strong>eci. Il coro

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