ESERCIZI DI AVVIAMENTO - Sezione di Matematica
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<strong>ESERCIZI</strong> <strong>DI</strong> <strong>AVVIAMENTO</strong><br />
per i corsi <strong>di</strong> GEOMETRIA – dr. Vietri –<br />
A1. Dimostrare che ∀X ∅ ⊆ X.<br />
A<br />
Soluzione a. Ragionando per assurdo, supponiamo che per un certo<br />
insieme X si abbia ∅ ⊈ X. Allora esisterebbe un elemento a ∈ ∅ \ X. In<br />
particolare, a ∈ ∅, che è assurdo.<br />
Soluzione b. Dobbiamo mostrare che b ∈ ∅ ⇒ b ∈ X per qualsiasi<br />
elemento b. Ora l’antecedente <strong>di</strong> questa ⇒ è in ogni caso falsa, dato che<br />
l’insieme vuoto non contiene alcun elemento; quin<strong>di</strong> l’implicazione totale è<br />
vera, poiché sia “falso implica vero” che “falso implica falso” sono frasi vere.<br />
Ad es. è vera l’affermazione: “se le mucche volano allora il prof. Vietri si<br />
chiama Andrews”, a prescindere da come si chiama il professore. L’unica a<br />
non essere vera è “vero implica falso” (“se il prof. Vietri è un essere umano<br />
allora le mucche volano”).<br />
A2. Dimostrare che ∀X, Y X∪Y ⊆ Y ∪X. Dedurre che ∀X, Y X∪Y = Y ∪X.<br />
Soluzione. Per qualsiasi elemento a si ha che a ∈ X ∪ Y ⇒ a ∈ X ∨ a ∈<br />
Y ⇒ a ∈ Y ∨ a ∈ X ⇒ a ∈ Y ∪ X (abbiamo semplicemente usato la<br />
commutatività <strong>di</strong> “vel”). Scambiando ora i simboli X e Y si ottiene, senza<br />
dover ripetere la <strong>di</strong>mostrazione, che Y ∪ X ⊆ X ∪ Y . La doppia inclusione<br />
produce ora l’uguaglianza.<br />
A3. Dimostrare che ∀X X ∪ X = X = X ∩ X.<br />
Soluzione. Per <strong>di</strong>mostrare la prima uguaglianza basta mostrare che X ∪<br />
X ⊆ X (infatti l’altra inclusione, X ⊆ X ∪ X, segue banalmente dalla<br />
definizione <strong>di</strong> ∪, perché me<strong>di</strong>ante l’unione o aggiungiamo qualcosa a X o<br />
comunque non lo priviamo <strong>di</strong> alcun elemento; vedere anche l’es. A5). Dunque<br />
si ha che a ∈ X ∪ X ⇒ a ∈ X ∨ a ∈ X ⇒ a ∈ X (usando la proprietà <strong>di</strong><br />
“idempotenza” <strong>di</strong> “vel”, che si apprezza bene ad es. nel <strong>di</strong>re “sappi che oggi<br />
mangerò un gelato oppure mangerò un gelato”; in altri termini, affermare<br />
una cosa oppure la stessa cosa, vuol <strong>di</strong>re affermare quella cosa).<br />
Per <strong>di</strong>mostrare la seconda uguaglianza basta mostrare che X ⊆ X ∩ X<br />
(infatti l’altra inclusione, X ∩ X ⊆ X, segue banalmente dalla definizione <strong>di</strong><br />
∩, perché me<strong>di</strong>ante l’intersezione o togliamo qualcosa a X o comunque non<br />
1
gli aggiungiamo alcun elemento; vedere anche qui l’es. A5). Dunque si ha<br />
che a ∈ X ⇒ a ∈ X ⇒ a ∈ X ∧ a ∈ X ⇒ a ∈ X ∩ X (usando la proprietà<br />
<strong>di</strong> “idempotenza” <strong>di</strong> “et”, che si apprezza bene ad es. nel <strong>di</strong>re “sappi che<br />
oggi mi sono svegliato alle sei e mi sono svegliato alle sei”). Notiamo che in<br />
questo caso l’idempotenza è stata usata per raddoppiare la formula, mentre<br />
nell’altro caso si era usata per <strong>di</strong>mezzarla, ma il principio è lo stesso.<br />
A4. Stu<strong>di</strong>are la relazione γ in Z × Z definita da m γ n ⇔ m − n è <strong>di</strong>visibile<br />
per 7 (equivalentemente, m − n è un multiplo <strong>di</strong> 7).<br />
Soluzione. Facciamo un esempio per “rompere il ghiaccio”: 1000 è in<br />
relazione con 223 perché la loro <strong>di</strong>fferenza è uguale a 777, che è <strong>di</strong>visibile per<br />
7. Ovviamente vale la stessa proprietà anche se scambiamo i due numeri.<br />
Come altro esempio (che conviene fare sempre, almeno per avere le idee un<br />
po’ piú chiare), due numeri uguali sono in ogni caso in relazione, poiché la<br />
loro <strong>di</strong>fferenza è 0, che è <strong>di</strong>visibile per 7 (notiamo – a prescindere dal presente<br />
esercizio – che invece 7 non è <strong>di</strong>visibile per 0; infatti non esiste alcun numero<br />
che moltiplicato per 0 <strong>di</strong>a 7). Ora ve<strong>di</strong>amo, più formalmente, quali proprietà<br />
valgono in generale per γ: poiché ∀ x ∈ Z x − x = 0 = 7 · 0, si ha che γ è<br />
riflessiva; poiché ∀ x, y ∈ Z (x − y = 7a (∃a ∈ Z) ⇒ y − x = 7(−a)), si ha<br />
che γ è simmetrica; anche la transitività vale, ma dobbiamo faticare un po’<br />
<strong>di</strong> più: se x − y = 7a e y − z = 7b , si ha che x − z = x − y + y − z =<br />
(x − y) + (y − z) = 7a + 7b = 7(a + b). Abbiamo perciò scoperto che γ è<br />
una relazione <strong>di</strong> equivalenza. Il relativo insieme quoziente consiste <strong>di</strong> 7 classi,<br />
ognuna delle quali contiene tutti i numeri che danno un ben preciso resto se<br />
<strong>di</strong>visi per 7. Ad esempio [4] = {4, 11, 18, 25, −3, −10, −17, ...} (ricor<strong>di</strong>amo<br />
che, ad esempio, la <strong>di</strong>visione euclidea tra −17 e 7 dà −17 = 7 · (−3) + 4;<br />
infatti il prodotto tra il quoziente (−3) e il <strong>di</strong>visore (7) non deve superare il<br />
<strong>di</strong>videndo (−17), nemmeno nel caso <strong>di</strong> numeri negativi, e il quoziente deve<br />
essere il massimo possibile). Le sette classi, in effetti, si ottengono prendendo<br />
la classe [0], cioè i multipli <strong>di</strong> 7, e traslandola nei sei mo<strong>di</strong> possibili lungo<br />
l’asse dei numeri relativi.<br />
A5. Dati due insiemi qualsiasi X, Y , <strong>di</strong>mostrare che X ∩Y ⊆ X, X ∪Y ⊇ X,<br />
X ∩ Y = Y ∩ X.<br />
Soluzione. Risolviamo questo esercizio utilizzando le proprietà che definiscono<br />
un insieme, anziché manipolare i connettivi logici. X ∩ Y consiste<br />
degli elementi in comune a X ed Y , quin<strong>di</strong> ogni elemento <strong>di</strong> tale intersezione<br />
appartiene in particolare a X. Invece X ∪ Y contiene sia gli elementi <strong>di</strong> X<br />
2
che quelli <strong>di</strong> Y , dunque contiene in particolare tutti gli elementi <strong>di</strong> X. Infine,<br />
gli elementi in comune a X ed Y sono esattamente quelli in comune a Y ed<br />
X (in effetti abbiamo dovuto invocare la proprietà commutativa <strong>di</strong> “et”).<br />
A6. Dimostrare che ∀X, Y, Z X ∩ (Y ∩ Z) = (X ∩ Y ) ∩ Z.<br />
Soluzione. Usiamo il consueto metodo della doppia inclusione. Per qualsiasi<br />
elemento a si ha che a ∈ X ∩ (Y ∩ Z) ⇒ a ∈ X ∧ a ∈ Y ∩ Z ⇒ a ∈<br />
X ∧ (a ∈ Y ∧ a ∈ Z) ⇒ (a ∈ X ∧ a ∈ Y ) ∧ a ∈ Z per l’associatività <strong>di</strong> “et”,<br />
che si apprezza bene quando ed es. si elencano tre o più persone presenti<br />
in un dato posto, e si osserva che non contano le pause o le enfasi durante<br />
l’elencazione. Avendo dunque <strong>di</strong>mostrato una delle due inclusioni, ora in<br />
effetti è possibile invertire tutte le implicazioni, così da ottenere la seconda<br />
inclusione, cioè X ∩ (Y ∩ Z) ⊇ (X ∩ Y ) ∩ Z.<br />
A7. Delle due leggi <strong>di</strong> <strong>di</strong>stributività per gli insiemi, <strong>di</strong>mostrare la seguente:<br />
∀X, Y, Z X ∩ (Y ∪ Z) = (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z). Discutere poi un esempio reale<br />
inerente a tale proprietà.<br />
Soluzione. L’ingre<strong>di</strong>ente fondamentale nella <strong>di</strong>mostrazione è la <strong>di</strong>stributività<br />
sul fronte dei rispettivi connettivi logici. Riformuliamo perciò il<br />
problema in termini logici, utilizziamo poi la proprietà <strong>di</strong>stributiva, e torniamo<br />
infine alla simbologia degli insiemi. Lo sviluppo temporale della <strong>di</strong>mostrazione<br />
è scan<strong>di</strong>to dai simboli ⇔, che accorpano i più deboli ⇐, ⇒, e<br />
consentono <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare le due inclusioni simultaneamente. (La proprietà<br />
<strong>di</strong>stributiva “scatta” quando interviene ⇔) ∗ Per qualsiasi elemento a si ha<br />
dunque che a ∈ X ∩ (Y ∪ Z) ⇔ a ∈ X ∧ (a ∈ Y ∨ a ∈ Z) ⇔ ∗ (a ∈ X ∧ a ∈<br />
Y ) ∨ (a ∈ X ∧ a ∈ Z) ⇔ a ∈ (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z).<br />
Il seguente esempio mostra come la <strong>di</strong>stributività permetta <strong>di</strong> farsi capire<br />
con poco sforzo. Anziché <strong>di</strong>re: “vorrei una pizza con i funghi oppure una<br />
pizza con le melanzane” si può <strong>di</strong>re “vorrei una pizza, con i funghi o con le<br />
melanzane”.<br />
A8. Rivisitare tutti i precedenti esercizi sostitutendo ∅ a X o a Y o a Z, e<br />
verificare che si ottengono delle proprietà ancora valide.<br />
Soluzione. A1 <strong>di</strong>viene ∅ ⊆ ∅, che è banalmente vero per qualsiasi insieme.<br />
Anche A2 e A3 sono imme<strong>di</strong>ati, mentre in A5, ponendo Y = ∅, si<br />
ottengono le formule – <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ata verifica – X ∩ ∅ = ∅ ⊆ X, X ∪ ∅ =<br />
X ⊇ X, X ∩ ∅ = ∅ = ∅ ∩ X. In A6, ponendo ad es. Y = ∅, si ottiene<br />
X ∩ (∅ ∩ Z) = X ∩ ∅ = ∅ = ∅ ∩ Z = (X ∩ ∅) ∩ Z. In A7, ponendo Z = ∅<br />
3
si ha che X ∩ (Y ) = (X ∩ Y ) ∪ ∅. Dunque in tutti i casi visti non occorre<br />
fare <strong>di</strong>mostrazioni laboriose come nel caso generale, poiché le formule che si<br />
ottengono sono sempre imme<strong>di</strong>ate da <strong>di</strong>mostrare.<br />
A9. Delle due formule <strong>di</strong> De Morgan, <strong>di</strong>mostrare la seguente:<br />
∀Y ⊆ X, Z ⊆ X C X (Y ∩ Z) = C X Y ∪ C X Z .<br />
Fornire poi un esempio reale inerente a tale formula.<br />
Soluzione. Per un qualsiasi elemento a ∈ X si ha che a ∈ C X (Y ∩ Z) ⇔<br />
a ∈ X ∧ a ∉ (Y ∩ Z) ⇔ a ∈ X ∧ ¬(a ∈ Y ∧ a ∈ Z) ⇔ a ∈ X ∧ (a ∉ Y ∨ a ∉<br />
Z) ⇔ (a ∈ X ∧ a ∉ Y ) ∨ (a ∈ X ∧ a ∉ Z) ⇔ a ∈ C X Y ∨ a ∈ C X Z ⇔ a ∈<br />
C X Y ∪C X Z (in effetti potevamo fare una <strong>di</strong>mostrazione più facile trascurando<br />
l’appartenenza ad X, che è una sorta <strong>di</strong> insieme “universo”). Dunque gli<br />
ingre<strong>di</strong>enti fondamentali sono stati il “cambio” operato dalla negazione e la<br />
<strong>di</strong>stributività <strong>di</strong> “et” rispetto a “vel”.<br />
Come esempio, sia X l’insieme degli studenti del presente corso. Sia poi Y<br />
il sottoinsieme degli studenti <strong>di</strong>sattenti e Z il sottoinsieme degli studenti che<br />
parlano durante la lezione. Allora C X (Y ∩ Z) contiene ogni studente che non<br />
sia [<strong>di</strong>sattento e “chiacchierone”] al tempo stesso. Un qualsiasi suo elemento<br />
è attento oppure quieto, e infatti appartiene a C X Y ∪ C X Z (ovviamente un<br />
valore relativamente alto <strong>di</strong> |Y ∩ Z| non giova affatto alla riuscita del corso,<br />
mentre Z \ Y contiene in genere studenti che stimolano la conversazione<br />
costruttiva – ma non devono fare troppe domande agli studenti vicini o al<br />
professore!).<br />
A9bis. Dimostrare che ∀X ⊆ Y C Y (C Y X) = X.<br />
Soluzione. Si tratta in effetti <strong>di</strong> un gioco <strong>di</strong> parole, riconducibile a frasi<br />
del tipo “su questo tavolo non vedo un giornale che non sia vecchio” (cioè<br />
tutti i giornali che vedo sul tavolo sono vecchi) oppure a proprietà algebriche<br />
del tipo “meno per meno fa più ”. Dunque si ha che C Y X consiste degli<br />
elementi <strong>di</strong> Y che non appartengono ad X; invece il suo complementare in Y<br />
consiste – com’è ovvio – degli altri elementi <strong>di</strong> Y , cioè precisamente <strong>di</strong> quelli<br />
appartenenti ad X. Formalmente, tutto <strong>di</strong>pende dal fatto che ¬(¬P ) ⇔ P<br />
per ogni proprietà P (<strong>di</strong>ciamo che ¬ è un’involuzione).<br />
A9ter. È possibile che, per un dato insieme A, si abbia A × A = A? Si può<br />
avere invece |A × A| = |A|?<br />
4
Soluzione. Le coppie <strong>di</strong> un prodotto cartesiano sono, per loro natura,<br />
<strong>di</strong>verse dai singoli componenti che appartengono ai due insiemi iniziali (in<br />
questo esercizio, in effetti, i due insiemi coincidono, ma il concetto non cambia).<br />
Quin<strong>di</strong> l’unica situazione in cui la prima uguaglianza si verifica è quando<br />
A = ∅, poiché il prodotto cartesiano <strong>di</strong> due insiemi vuoti è ancora l’insieme<br />
vuoto (non ci sono coppie). Invece, nel secondo caso, l’uguaglianza è <strong>di</strong> tipo<br />
numerico ed equivale ad |A| 2 = |A|. Dunque essa ha luogo qualora |A| = 0<br />
(cioè A = ∅) ma anche se |A| = 1 (cioè se A consiste <strong>di</strong> un solo elemento;<br />
in simboli, A = {a} ∃a). Non vi sono altre soluzioni perché l’equazione è <strong>di</strong><br />
secondo grado, e abbiamo già due ra<strong>di</strong>ci.<br />
Notiamo che la seconda situazione è più “generale” della prima (cioè<br />
ingloba la prima e contiene anche altri casi). Ad es. infatti se A = {3} si ha<br />
{3} × {3} = {(3, 3)} ≠ {3} ma |{3} × {3}| = |{(3, 3)}| = 1 = |{3}|.<br />
A10. Dimostrare che se ρ è una relazione binaria sia <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne che <strong>di</strong> equivalenza,<br />
allora in effetti ρ è la relazione <strong>di</strong> uguaglianza.<br />
Soluzione. Consideriamo l’insieme X su cui è definita ρ. Innanzitutto, a<br />
causa della riflessività (che oltretutto vale sia per l’or<strong>di</strong>ne che per l’equivalenza),<br />
si ha che ∀x ∈ X xρx. Poi, per ogni x, y ∈ X si ha che xρy ⇒ yρx a<br />
causa della simmetria dell’equivalenza, ma ora l’antisimmetria dell’or<strong>di</strong>ne<br />
implica che y = x. Dunque al <strong>di</strong> fuori delle coppie {(x, x): x ∈ X} non ve ne<br />
possono essere altre.<br />
A11. Su un insieme X tale che |X| = 20 è definita una relazione ρ ⊆ X × X<br />
tale che |ρ| = 21. È anche noto che ρ è riflessiva. Una tale relazione può<br />
essere anche simmetrica, o transitiva, o antisimmetrica?<br />
Soluzione. Le coppie in relazione sono quelle del tipo (x, x) per ogni<br />
x ∈ X (a causa della riflessività) più una sola coppia, necessariamente del<br />
tipo (x 0 , x 1 ) con x 0 ≠ x 1 . Dunque ρ non è simmetrica, poiché x 0 ρx 1 ⇏ x 1 ρx 0 .<br />
Essa è invece transitiva, poiché se aρbρc allora o a = b = c, o a = x 0 , b =<br />
c = x 1 , o infine a = b = x 0 , c = x 1 ; dunque in tutti e tre i casi si ha che aρc.<br />
L’antisimmetria <strong>di</strong> una relazione è pregiu<strong>di</strong>cata esclusivamente da situazioni<br />
del tipo aρbρa con a ≠ b. Ma nel nostro caso ciò non può verificarsi, poiché<br />
gli unici due elementi <strong>di</strong>stinti in relazione tra loro sono x 0 e x 1 , e non si ha<br />
che x 1 ρx 0 . Dunque sussiste l’antisimmetria.<br />
Notiamo che già nel caso in cui |X| = 22 non è più possibile dare risposte<br />
certe alle tre domande. Ad es. si potrebbe <strong>di</strong>mostrare che a seconda della<br />
scelta dell’ulteriore coppia <strong>di</strong> elementi in relazione (la 22-esima) ρ può essere<br />
5
una relazione <strong>di</strong> equivalenza, o <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne, o può non avere alcuna delle due<br />
proprietà.<br />
A12. Stu<strong>di</strong>are le relazioni xρy ⇔ x è amico <strong>di</strong> y, e xσy ⇔ x conosce il<br />
nome <strong>di</strong> y, definite nell’insieme {abitanti coscienti dell ′ Italia}.<br />
Soluzione. La relazione ρ può, tutto sommato, essere considerata riflessiva<br />
(ciascuno è amico <strong>di</strong> se stesso, passi pure) ed è ovviamente simmetrica,<br />
ma certo non è transitiva (la non transitività <strong>di</strong> tale relazione è all’origine<br />
<strong>di</strong> serate antipatiche trascorse in compagnia <strong>di</strong> gente con cui non c’è troppo<br />
feeling).<br />
La relazione σ è ovviamente riflessiva, mentre la simmetria non vale (si<br />
pensi ad un personaggio famoso, sia egli p : un suo ammiratore a vorrebbe che<br />
pσa, ma quand’anche fosse vero che aσpσa – gli spettacoli televisivi o ra<strong>di</strong>ofonici<br />
possono aiutare – ciò non basterebbe a causare la simmetria per tutte<br />
le coppie in relazione. D’altra parte, se ci fosse simmetria non ci sarebbero<br />
personaggi famosi – lo saremmo tutti e quin<strong>di</strong> nessuno lo sarebbe). Nemmeno<br />
la transitività vale, come si potrebbe <strong>di</strong>mostrare con semplici esempi. Infine,<br />
l’antisimmetria non vale perché sicuramente esistono coppie <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui che<br />
si conoscono a vicenda (ne basterebbe una).<br />
A13. Dare un esempio <strong>di</strong> funzione f : N → N suriettiva ma non iniettiva.<br />
Soluzione a. Una funzione adatta è [n/2], come anche [n/3], [n/4], ecc.<br />
([x] è la parte intera del numero reale x, cioè il più grande intero non maggiore<br />
<strong>di</strong> x). Infatti, considerando solo il primo caso, non si ha iniettività perché<br />
ad es. f(8) = f(9) = 4 e, per quanto riguarda la suriettività, f −1 (n) =<br />
{2n, 2n + 1} ∀n ≥ 0, dunque la controimmagine <strong>di</strong> qualsiasi elemento non è<br />
mai l’insieme vuoto.<br />
Soluzione b. Anziché “contrarre” N possiamo “farlo scorrere” in<strong>di</strong>etro<br />
<strong>di</strong> 1, provocando così una sovrapposizione <strong>di</strong> due immagini uguali allo zero.<br />
In simboli, poniamo f(n) = n − 1 se n > 0, e poi f(0) = 0. La suriettività<br />
segue infatti da f −1 (n) = n + 1 ∀n > 0 e f −1 (0) = {0, 1}. Inoltre non vale<br />
l’iniettività perché le immagini <strong>di</strong> 0 e 1 coincidono (f(0) = f(1) = 0).<br />
A14. Sia A un insieme tale che |A| = 12. Supponiamo che esista una funzione<br />
f : A → B suriettiva. Cosa si può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> |B|? E se invece esistesse una g<br />
iniettiva ma non suriettiva?<br />
Soluzione. Poiché B deve essere “ricoperto” da A, esso non deve essere<br />
troppo grande. Più precisamente, dalla <strong>di</strong>suguaglianza generale (per insiemi<br />
6
finiti) |f(A)| ≤ |A| ∀f, A (infatti alcune immagini <strong>di</strong> una data funzione possono<br />
benissimo coincidere) e dall’uguaglianza caratteristica della suriettività,<br />
cioè |f(A)| = |B|, si ha che |B| ≤ |A|. Dunque necessariamente |B| ≤ 12.<br />
Nel secondo caso l’iniettività <strong>di</strong> g implica che |f(A)| = |A| (notiamo che<br />
questa con<strong>di</strong>zione è anche sufficiente). Dunque, poiché per impe<strong>di</strong>re la suriettività<br />
deve essere |f(A)| < |B|, abbiamo che |A| < |B| e quin<strong>di</strong> che |B|<br />
deve essere almeno 13.<br />
A15. Dimostrare che la composizione <strong>di</strong> due funzioni biunivoche è ancora<br />
una funzione biunivoca.<br />
Soluzione. Siano date f : A → B e g : B → C biunivoche, e consideriamo<br />
g ◦ f : A → C. Intanto notiamo che tale composizione è ben definita,<br />
poiché non c’è il rischio che la g “faccia un buco nell’acqua” pescando un<br />
elemento <strong>di</strong> B non raggiunto da f; in altre parole, la suriettività <strong>di</strong> f assicura<br />
che l’immagine <strong>di</strong> f è tutto il dominio B. Ora, mostriamo che g◦f è iniettiva:<br />
se x, y sono elementi <strong>di</strong>stinti in A, allora per l’iniettività <strong>di</strong> f abbiamo che<br />
f(x) ≠ f(y). A sua volta, l’iniettività <strong>di</strong> g implica che g(f(x)) ≠ g(f(y)).<br />
Passiamo alla suriettività: preso x ∈ C, per la suriettività <strong>di</strong> g abbiamo che<br />
∃¯x ∈ B : g(¯x) = x. A sua volta, la suriettività <strong>di</strong> f implica che ∃ˆx ∈ A :<br />
f(ˆx) = ¯x. Ma allora g(f(ˆx)) = g(¯x) = x. Avendo stabilito sia l’iniettività<br />
che la suriettività della composizione, otteniamo per definizione la biiettività.<br />
A16. Descrivere esempi concreti o astratti che riguar<strong>di</strong>no l’implicazione e la<br />
doppia implicazione (equivalenza).<br />
Soluzione. (Ho l’automobile) ⇒ (pago un’assicurazione). Ma non è vero<br />
il viceversa; infatti se pago un’assicurazione potrebbe essere quella sugli infortuni,<br />
sulla salute, ecc. . Un’altro esempio: (n è un numero primo maggiore<br />
<strong>di</strong> due) ⇒ (n è <strong>di</strong>spari), e nemmeno qui vale il viceversa.<br />
Passiamo ora alla doppia implicazione. (Pago un’assicurazione) ⇔ (figuro<br />
nell’elenco dei clienti <strong>di</strong> qualche compagnia assicurativa). Tale esempio<br />
è assai elementare, mentre il prossimo potrebbe essere considerato un vero<br />
e proprio teorema, perché afferma qualcosa <strong>di</strong> interessante (molti teoremi<br />
si enunciano usando appunto ⇔, e sono interessanti perché collegano due<br />
“mon<strong>di</strong> lontani”): (Un sistema S <strong>di</strong> tre equazioni lineari in tre incognite ha<br />
almeno due triple <strong>di</strong> soluzioni) ⇔ (S ha infinite triple <strong>di</strong> soluzioni). Infatti<br />
è chiaro che le due frasi sono collegate da ⇐ (la seconda frase implica banalmente<br />
la prima), ma non è affatto ovvio che valga ⇒, cioè che un tale<br />
sistema che ammetta almeno 2 soluzioni ne ammette, sicuramente, ad es. 53<br />
7
o <strong>di</strong> più, ad<strong>di</strong>rittura infinite! Quest’ultima implicazione ha un ruolo cruciale<br />
in tutta la teoria dei sistemi lineari, e verrà <strong>di</strong>mostrata durante il corso.<br />
A17. Quante funzioni suriettive esistono da un insieme X non vuoto a un<br />
insieme {y} che consiste cioè <strong>di</strong> un punto solo? E quante funzioni iniettive<br />
esistono da {y} a X?<br />
Soluzione. L’unica funzione suriettiva da X a {y} è anche l’unica funzione<br />
in generale. Infatti l’immagine <strong>di</strong> un qualsiasi elemento <strong>di</strong> X deve appartenere<br />
a {y}, quin<strong>di</strong> deve essere necessariamente uguale a y, dunque per<br />
costruire una funzione abbiamo soltanto una scelta, obbligata. Al contrario,<br />
qualsiasi funzione f : {y} → X è iniettiva (è anche suriettiva se |X| = 1), ed<br />
esistono tante funzioni quanti sono i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> applicare y in X scegliendo un<br />
elemento x ∈ X, cioè |X| mo<strong>di</strong>.<br />
A18. Data una relazione binaria R su un insieme A, è sempre possibile<br />
definire una funzione f : A → A me<strong>di</strong>ante: f(x) = y con y tale che xRy (per<br />
qualsiasi x ∈ A)?<br />
Soluzione. Una tale definizione è possibile soltanto quando per ciascun<br />
x fissato esiste ed è unico l’elemento y ∈ A tale che xRy. Infatti affinché<br />
una funzione sia correttamente definita, occorre che qualunque elemento del<br />
dominio abbia un’immagine, e che tale immagine sia unica. Ad es. la relazione<br />
“amicizia” non permette <strong>di</strong> definire una funzione, perché – supponendo<br />
questa volta che non sia vero che chiunque è amico <strong>di</strong> se stesso – può<br />
benissimo accadere che qualche elemento x non abbia amici (quin<strong>di</strong> ci sarebbero<br />
problemi col dominio), o ne abbia più <strong>di</strong> uno (problemi con l’immagine:<br />
non sappiamo quale amico y dobbiamo associare all’elemento x). Un modo<br />
per ottenere una funzione da tale relazione è quello <strong>di</strong> assegnare x all’amico<br />
y conosciuto per ultimo oppure avente la minima età, ecc. . Si dovranno anche<br />
assegnare tutti gli eventuali “misantropi” (che non hanno amici) ad un<br />
fissato y “<strong>di</strong> salvataggio”, es. y = prof. Vietri, così da poter dare un senso a<br />
f(x) in tutti i casi.<br />
A19. Stu<strong>di</strong>are le 4 seguenti relazioni r i , definite in R: x r 1 y ⇔ x 2 − y 2 = 0;<br />
x r 2 y ⇔ x 3 − y 3 = 0; x r 3 y ⇔ x 2 − xy = 0; x r 4 y ⇔ x 2 − y = 0.<br />
Soluzione. r 1 equivale all’uguaglianza dei valori assoluti <strong>di</strong> x e y. Essa<br />
è perciò una relazione <strong>di</strong> equivalenza (essenzialmente perché si riferisce all’uguaglianza<br />
<strong>di</strong> due grandezze), ed ha per quoziente una struttura “essenzialmente<br />
uguale” all’insieme dei numeri reali non negativi. La classe <strong>di</strong> equi-<br />
8
valenza <strong>di</strong> 0, cioè [0], consiste <strong>di</strong> un solo elemento (ovviamente lo 0 stesso),<br />
mentre tutte le altre consistono <strong>di</strong> due elementi (ad es. [π] = {π, −π} ).<br />
r 2 equivale invece all’uguaglianza vera e propria tra numeri reali (si noti<br />
che ciò non sarebbe più vero nell’insieme C dei numeri complessi). L’insieme<br />
quoziente <strong>di</strong> r 2 è perciò, banalmente, R stesso, poiché ogni classe ha un solo<br />
elemento.<br />
Se x r 3 y allora o x = 0 oppure x = y (ciò si vede facilmente scrivendo<br />
x 2 − xy come x(x − y) ). Mentre sarebbe facile <strong>di</strong>mostrare la riflessività e<br />
la transitività <strong>di</strong> r 3 (per quest’ultima occorrerebbe un’analisi per casi, come<br />
nell’es. A11), soffermiamoci invece sulla mancanza <strong>di</strong> simmetria. Essa è<br />
infatti causata da coppie in relazione come ad es. (0, 2) (precisamente, da<br />
tutte e sole le coppie (0, y) con y ≠ 0). In effetti si ha antisimmetria, e<br />
dunque r 3 è una relazione d’or<strong>di</strong>ne. Il relativo <strong>di</strong>agramma <strong>di</strong> Hasse consiste<br />
<strong>di</strong> un punto (lo 0) situato in basso e collegato con infiniti “raggi” a tutti gli<br />
altri numeri reali posti al livello superiore.<br />
L’ultima relazione non è riflessiva (ad es. 2 2 − 2 ≠ 0, perciò 2 ̸ r 4 2), non è<br />
simmetrica (ad es. 3 r 4 9 ̸ r 4 3) e nemmeno transitiva (3 r 4 9 r 4 81 ma 3 ̸ r 4 81).<br />
Infine, se le coppie in relazione r 1 , ..., r 4 vengono visualizzate sul piano<br />
cartesiano, esse formano rispettivamente le rette bisettrici del I,III quadrante<br />
e del II,IV q. , la bisettrice del I e III q. , due rette (l’asse y unita alla bisettrice<br />
del I e III q.), e una parabola. Nel caso <strong>di</strong> r 1 , il rispettivo insieme quoziente<br />
ha una rappresentazione naturale come semiretta, più precisamente come la<br />
semiretta non negativa reale; infatti lo 0 fa da “perno” e la retta reale si<br />
piega su se stessa facendo coincidere i punti <strong>di</strong> segno opposto).<br />
A20. Determinare sia il dominio che la controimmagine f −1 (−1) per le<br />
seguenti funzioni reali f(x):<br />
x 2 , x 3 , x 4 , x , log 10 x , e x , cos x , sin x , tg x , −x 6 , −x 7 , 1 , −1 , x|x| −1 .<br />
Soluzione. Il dominio si restringe nel caso del logaritmo (solo numeri<br />
positivi) e nel caso – l’ultimo – del valore assoluto al denominatore (si esclude<br />
infatti lo 0). Le rispettive controimmagini sono (ricor<strong>di</strong>amo che, a rigore,<br />
dovremmo usare le parentesi graffe per in<strong>di</strong>care gli insiemi, anche nel caso<br />
<strong>di</strong> un singolo elemento nella controimmagine; ma in genere tale prassi può<br />
essere evitata, senza che ciò si consideri un errore):<br />
∅ , −1 , ∅ , −1 , 1/10 , ∅ , (2k + 1)π: k ∈ Z , (2k − 1/2)π: k ∈ Z ,<br />
9
(k − 1/4)π: k ∈ Z , {−1, +1} , 1 , ∅ , R , {s: s ∈ R ∧ s < 0} = (−∞, 0) .<br />
(notare che ∅ in<strong>di</strong>ca l’insieme vuoto, non lo zero)<br />
A21. Fornire un esempio <strong>di</strong> funzione suriettiva da Q + (i numeri razionali<br />
positivi) a Q .<br />
Soluzione. Le risposte a questo esercizio possono <strong>di</strong>fferire tra loro <strong>di</strong><br />
molto. L’idea insita nella presente risposta è quella <strong>di</strong> estendere l’intervallo<br />
razionale (0, 1)∩Q “tirandolo” dalla parte dello 0, fino a fargli coprire l’intero<br />
semiasse negativo. I numeri da 1 in poi verranno invece lasciati inalterati.<br />
Una funzione che fa il lavoro richiesto è ad es. un tratto <strong>di</strong> iperbole (in<br />
genere la presenza <strong>di</strong> asintoti verticali permette <strong>di</strong> “allungare” una parte <strong>di</strong><br />
dominio). Ad es. possiamo considerare g(x) = (2x − 1)/x, la cui inversa è<br />
g −1 (y) = 1/(2 − y). Si ha infatti che g(1) = 1, lim x→0 + g(x) = −∞ e infine<br />
g ′ (x) > 0 (cioè g cresce) in (0,1]. Ora, come detto prima, “incollando” questa<br />
g alla funzione identità i : [1, +∞) → [1, +∞) si ottiene la funzione richiesta.<br />
AA<br />
AA1. Se per ipotesi ∃x: x ∈ Q \ N ∧ x ∉ Z, è vero che x ∈ R \ Z, e che<br />
x ∈ R \ Q, e infine che x ∈ Z ∪ Q?<br />
Soluzione. Per ipotesi si ha che x è razionale ma non naturale, e in<br />
effetti nemmeno intero. Quin<strong>di</strong> x può essere un qualsiasi numero razionale<br />
non intero (essere naturale implica essere intero, dato che Z ⊃ N). La<br />
prima risposta è affermativa, perché R ⊃ Q; la seconda risposta è negativa<br />
e l’ultima è affermativa (notiamo che Z ∪ Q = Q).<br />
AA2. Sia I un insieme tale che |I| = 3. Quanto vale |P(I)|? Quanto vale in<br />
generale |P(J)| se |J| = n per un certo n?<br />
Soluzione. Il numero dei sottoinsiemi <strong>di</strong> un insieme come ad es. {1, 2, 3}<br />
è dato da tutte le possibilità <strong>di</strong> formare una stringa binaria <strong>di</strong> lunghezza 3<br />
(l’i-esimo bit, se acceso, avviserà che il numero i è presente; ad esempio 110<br />
è la stringa corrispondente al sottoinsieme {2, 3}, mentre 000 corrisponde<br />
all’insieme vuoto). Poiché le stringhe <strong>di</strong> lunghezza 3 possono esprimere 8<br />
valori (da 0 a 7), esse sono appunto 8. In generale, la stringa <strong>di</strong> lunghezza<br />
n esprime 2 n valori (tutte le possibilità <strong>di</strong> accendere o spegnere gli n bit: 2<br />
possibilità per il primo; poi, per il secondo bit, 2 per ognuna delle 2 possibilità<br />
precedenti, ecc.), che sono appunto tanti quanti i sottoinsiemi <strong>di</strong> un insieme<br />
10
<strong>di</strong> car<strong>di</strong>nalità n. Ad es. se n = 12, la stringa 011101010010 corrisponde al<br />
sottoinsieme {2, 5, 7, 9, 10, 11} <strong>di</strong> {1, 2, 3, ..., 11, 12}.<br />
AA3. Una delle seguenti affermazioni è errata. Discuterne comunque ciascuna.<br />
1) x ∈ X ∧ x ∈ Y ⇒ x ∈ X ∪ Y. 2) x ∉ X ∧ x ∈ Y ⇒ x ∈ X ∪ Y.<br />
3) x ∉ X ∧ x ∈ Y ⇒ x ∈ X ∩ Y.<br />
Soluzione. Nel primo caso x è un elemento dell’unione perché è vero che<br />
esso appartiene ad almeno uno dei due insiemi che la formano. Per lo stesso<br />
motivo, x riesce ancora a sod<strong>di</strong>sfare la tesi nel secondo caso – grazie alla<br />
sua appartenenza a Y . Invece nel terzo caso si richiede che x appartenga ad<br />
entrambi gli insiemi. Dunque la tesi è errata.<br />
AA4. Creare una catena <strong>di</strong> implicazioni r ⇒ s ⇒ t per <strong>di</strong>mostrare che se un<br />
nuotatore vince una gara (ipotesi r) allora ottiene una delle tre medaglie per<br />
i primi posti (tesi t). Fare in modo da non rendere invertibile alcuna delle 2<br />
implicazioni.<br />
Soluzione. Dobbiamo riuscire ad “allungare il <strong>di</strong>scorso” inserendo un<br />
evento che però non sia una deduzione banale, né <strong>di</strong>a luogo a deduzioni<br />
banali (altrimenti una o entrambe le ⇒ si invertirebbero, come ad es. in “A<br />
vince una gara ⇒ A non arriva secondo o dopo il secondo”, oppure in “A<br />
arriva tra i primi tre ⇒ A ottiene una delle tre medaglie per i primi posti”;<br />
tali implicazioni sono invertibili, cioè sono equivalenze). Dobbiamo in effetti<br />
“allargare lo spazio degli eventi”, me<strong>di</strong>ante successive inclusioni proprie, fino<br />
a giungere all’evento dell’assegnazione della medaglia. Spezziamo dunque la<br />
procedura <strong>di</strong> assegnazione della medaglia nei passaggi: A vince la gara ⇒ A<br />
arriva primo o secondo ⇒ A ottiene una delle tre medaglie. Notiamo infatti<br />
che t non implica s (se vale t allora A potrebbe essere arrivato anche terzo) e<br />
che s non implica r (se vale s, A potrebbe essere arrivato soltanto secondo).<br />
AA5. Sia X = {abitanti dell ′ Italia} e definiamo una relazione ρ su X, così:<br />
xρy ⇔ x parla lo stesso <strong>di</strong>aletto <strong>di</strong> y. Dimostrare che ρ è <strong>di</strong> equivalenza.<br />
Descrivere l’insieme quoziente X/ρ. Dire perché non è possibile definire una<br />
funzione f : X/ρ → {regioni d ′ Italia} me<strong>di</strong>ante f([x]) = regione in cui si<br />
parla il <strong>di</strong>aletto <strong>di</strong> x. Definire poi, invece, una qualsiasi funzione g : X/ρ →<br />
{regioni d ′ Italia}.<br />
Soluzione. Senza entrare nei dettagli, ricor<strong>di</strong>amo che laddove una relazione<br />
sia definita attraverso parole come “lo stesso” o “uguale a”, essa si<br />
comporta come l’uguaglianza “=” e dunque è una relazione <strong>di</strong> equivalenza.<br />
11
Il relativo insieme quoziente consiste <strong>di</strong> una classe, cioè <strong>di</strong> un punto, per ogni<br />
<strong>di</strong>aletto (ogni classe è invece l’insieme <strong>di</strong> tutti coloro che parlano tale <strong>di</strong>aletto;<br />
essa viene contratta in un solo punto, nell’insieme quoziente). Quin<strong>di</strong><br />
la car<strong>di</strong>nalità <strong>di</strong> X/ρ, cioè |X/ρ|, è proprio il numero dei <strong>di</strong>aletti presenti in<br />
Italia.<br />
La corrispondenza f è certamente una relazione binaria (fra insiemi <strong>di</strong>versi);<br />
essa genera infatti ad es. la coppia ([prof.Vietri],Lazio) – perché [prof.<br />
Vietri]={abitanti che parlano il romanesco} – oppure ([Massimo Troisi],<br />
Campania). Ma nel caso in cui un <strong>di</strong>aletto si <strong>di</strong>stribuisca tra due regioni<br />
– come succede spesso in zone <strong>di</strong> confine regionale – tale relazione genera le<br />
coppie ([x], y) e ([x], z) dove y e z sono due regioni <strong>di</strong>stinte. Dunque f([x])<br />
in questi casi non è univoca, e ciò impe<strong>di</strong>sce a f <strong>di</strong> essere globalmente una<br />
funzione.<br />
Una funzione g potrebbe essere quella che associa ogni punto dell’insieme<br />
quoziente (cioè ogni <strong>di</strong>aletto) alla regione Lazio, dunque lo associa ad<br />
un punto fissato per tutti. Una tale funzione non sarà certo significativa dal<br />
punto <strong>di</strong> vista glottologico, ma lo è formalmente, come funzione da un insieme<br />
a un altro. Una funzione g ′ che invece abbia anche un riscontro applicativo<br />
può essere la f <strong>di</strong> prima, mo<strong>di</strong>ficata con la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> scegliere la regione<br />
in cui il <strong>di</strong>aletto [x] è parlato da più in<strong>di</strong>vidui (augurandoci che i numeri <strong>di</strong><br />
in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong>fferiscano al variare delle eventuali regioni confinanti interessate).<br />
Questo processo <strong>di</strong> selezione si rivela fondamentale in contesti <strong>di</strong> vario tipo<br />
in cui, appunto, si debba assicurare l’unicità a partire da una corrispondenza<br />
più generale (vedere anche l’es. A18).<br />
AA6. Descrivere esempi concreti o astratti che riguar<strong>di</strong>no i quantificatori<br />
∃, ∀, e la negazione ¬ , mostrando anche il modo in cui quest’ultima interagisce<br />
con i quantificatori.<br />
Soluzione. ∀ persona ∃ un unico co<strong>di</strong>ce fiscale. L’unicità dell’esistenza<br />
si può esprimere sinteticamente col simbolo ∃!: ∀ persona ∃! nonno materno.<br />
Questi primi due esempi permettono <strong>di</strong> costruire le rispettive funzioni f, g tali<br />
che f(persona) = co<strong>di</strong>ce fiscale della persona, g(persona) = nonno materno<br />
della persona.<br />
Ve<strong>di</strong>amo un nuovo esempio: ∃ una persona p tale che ∀ persona q ≠ p si<br />
ha che q si sente a proprio agio e si <strong>di</strong>verte in presenza <strong>di</strong> p (in altri termini,<br />
p è una persona simpatica a tutti).<br />
Passiamo ora alla negazione. ¬∀ ciambella essa viene col buco ⇔ ∃<br />
ciambella che ¬ viene col buco. ¬∃ la mezza stagione ⇔ ∀ stagione ¬ è<br />
12
vero che è mezza. Infatti in questi casi la negazione non è commutativa, anzi<br />
“stravolge” i ruoli <strong>di</strong> ∀ o ∃, scambiandoli. La negazione è importante anche<br />
nell’inversione <strong>di</strong> teoremi. Infatti un teorema in cui si usa ⇒ può essere letto<br />
a ritroso, negando gli enunciati: ad es. il teorema: “∀ poligono P che è un<br />
triangolo ⇒ ∃ un cerchio circoscritto a P ”, è equivalente al teorema cosiddetto<br />
contronominale: “¬∃ un cerchio circoscritto a un poligono P ⇒ P ¬ è<br />
un triangolo”.<br />
La proprietà appena vista è molto utile quando si vuole <strong>di</strong>mostrare un<br />
teorema. Infatti anziché partire dall’ipotesi, si può partire dalla negazione<br />
della tesi e arrivare alla negazione dell’ipotesi (si tratta della <strong>di</strong>mostrazione<br />
“per assurdo”). Ad es. per <strong>di</strong>mostrare il teorema: Se ab > 16 allora o a > 4 o<br />
b > 4 (con a e b positivi), si può supporre per assurdo che entrambi i numeri<br />
non siano maggiori <strong>di</strong> 4, ottenendo ab ≤ 16 che è una contrad<strong>di</strong>zione rispetto<br />
all’ipotesi iniziale.<br />
B<br />
B1. L’insieme {(x, 0): x ∈ R} è un sottospazio <strong>di</strong> R 2 ? E l’insieme {(x, 1): x ∈<br />
R}?<br />
Soluzione. Come <strong>di</strong> consueto si può eseguire il test <strong>di</strong> appartenenza.<br />
Dunque, presi due elementi qualsiasi (x, 0), (y, 0) e due scalari qualsiasi r, s ∈<br />
R, si ha che r(x, 0) + s(y, 0) = (rx, 0) + (sy, 0) = (rx + sy, 0) che è ancora<br />
del tipo (z, 0), con z = rx + sy ∈ R. La prima risposta è perciò affermativa.<br />
Al contrario, il medesimo test genera, nel secondo caso, r + s nella seconda<br />
componente. Così, ad esempio, se r = s = 1 otteniamo r+s = 2 ≠ 1, dunque<br />
siamo “usciti fuori” dall’insieme <strong>di</strong> partenza. Tale insieme non è perciò chiuso<br />
rispetto alle operazioni previste e in definitiva non è un sottospazio.<br />
Un modo più elegante e sbrigativo per mostrare che non abbiamo a che<br />
fare con un sottospazio è quello <strong>di</strong> trovare un “<strong>di</strong>fetto” che pregiu<strong>di</strong>chi appunto<br />
l’essere sottospazio. Ad es. un tale <strong>di</strong>fetto è la mancanza dello zero,<br />
cioè <strong>di</strong> (0,0) – infatti la seconda componente deve essere sempre 1. In genere<br />
quando si sospetta che una struttura non sia del tipo richiesto, per <strong>di</strong>mostrare<br />
la propria idea basta trovare un controesempio, un <strong>di</strong>fetto, un qualcosa che<br />
“rovini tutto”, anche se è piccolo come la semplice mancanza dello zero. Invece<br />
se si pensa, e si vuole <strong>di</strong>mostrare, che una struttura sia ciò che viene<br />
richiesto, allora bisogna davvero <strong>di</strong>mostrare tutte le proprietà che essa deve<br />
avere (come nel primo caso, in cui abbiamo dovuto fare un test globale, anche<br />
13
se in verità non così complesso). La matematica è spesso così, ma anche... la<br />
vita quoti<strong>di</strong>ana: ad es. se tutto è in regola la macchina parte, ma basta che<br />
si stacchi un filo perché essa ci “lasci a pie<strong>di</strong>”.<br />
B2. Nel primo caso dell’es. B1 trovare un insieme <strong>di</strong> generatori del sottospazio.<br />
Trovare poi un insieme <strong>di</strong> due generatori per R 2 e mostrare che in<br />
generale non si può ridurre il numero <strong>di</strong> tali generatori. Verificare che i due<br />
generatori trovati sono linearmente in<strong>di</strong>pendenti. Mostrare infine che due<br />
vettori lin. <strong>di</strong>pendenti non possono generare R 2 .<br />
Soluzione. A livello intuitivo, poiché tale sottospazio <strong>di</strong>pende solo da<br />
una variabile, esso non ha “molta libertà <strong>di</strong> espressione”, e quin<strong>di</strong> basteranno<br />
pochi vettori per generarlo tramite combinazioni lineari. Specializzando ad<br />
es. la x con il valore 1, si ottiene (1,0) e si riesce conseguentemente ad e-<br />
sprimere ogni (x, 0) come x(1, 0). Dunque (1,0) è, da solo, un generatore<br />
(infatti me<strong>di</strong>ante le possibili combinazioni lineari, che sono semplicemente<br />
quelle del tipo x(1, 0), si ottiene tutto il sottospazio 〈(1, 0)〉 ).<br />
Un tipico esempio <strong>di</strong> generatori per R 2 è {(1, 0), (0, 1)}. Infatti un vettore<br />
qualsiasi, (a, b), si può esprimere come a(1, 0) + b(0, 1) (l’elementarità <strong>di</strong> tali<br />
generatori ci consente, imme<strong>di</strong>atamente, <strong>di</strong> trovare la combinazione lineare<br />
adatta). È invece impossibile trovare un unico generatore per R2 . Infatti, se<br />
ci fossimo riusciti usando un certo (u, v), non saremmo paradossalmente in<br />
grado <strong>di</strong> generare ad es. (u, v + 1).<br />
Torniamo ora sui due generatori <strong>di</strong> prima. Essi sono linearmente in<strong>di</strong>pendenti<br />
perché se α(1, 0) + β(0, 1) = (0, 0) allora (α, β) = (0, 0) e dunque<br />
α = β = 0. Per quanto riguarda l’ultima domanda, due vettori (a, b), (c, d)<br />
linearmente <strong>di</strong>pendenti sono, equivalentemente, proporzionali (infatti abbiamo<br />
che h(a, b) + k(c, d) = 0 con h, k non entrambi nulli; perciò se h ≠ 0<br />
si ha che (a, b) = (k/h)(c, d), mentre se h = 0 sicuramente k ≠ 0 e dunque<br />
(c, d) = (h/k)(a, b) ). Ora due vettori proporzionali non hanno la forza <strong>di</strong><br />
generare tutto R 2 , perché i loro lavori si “intralciano” e si “sovrappongono”.<br />
In termini formali, se supponiamo ad es. k ≠ 0 e quin<strong>di</strong> (c, d) = t(a, b),<br />
tutti i vettori generabili sono del tipo α(a, b) + β(c, d) = α(a, b) + βt(a, b) =<br />
(α + βt)(a, b) e cioè tutti e soli i vettori proporzionali ad (a, b).<br />
B3. Mostrare che {(x, y, z) ∈ R 3 : x = z} è un sottospazio (<strong>di</strong> R 3 ). Trovarne<br />
due generatori e mostrare che non si può trovare un solo generatore.<br />
Soluzione. Anziché fare le verifiche <strong>di</strong> routine, potremmo brevemente<br />
<strong>di</strong>re che un tale sottoinsieme è definito da un certo numero (uno, in questo<br />
14
caso) <strong>di</strong> equazioni lineari (cioè <strong>di</strong> grado 1) omogenee (cioè con tutti i monomi<br />
dello stesso grado e dunque senza il termine noto, che sarebbe infatti <strong>di</strong> grado<br />
0) e quin<strong>di</strong> esso è, per un noto teorema, un sottospazio. Oppure, tralasciando<br />
quel teorema ed eseguendo un test <strong>di</strong>retto, ve<strong>di</strong>amo che per ogni a, b, x, y, u, v<br />
si ha a(x, y, x)+b(u, v, u) = (ax+bu, ay +bv, ax+bu) che è ancora un vettore<br />
con prima e ultima componente uguali. Ciò <strong>di</strong>mostra che siamo in presenza <strong>di</strong><br />
un sottospazio, perché c’è appunto chiusura rispetto alle operazioni. Inoltre<br />
tale insieme non è vuoto.<br />
Possiamo trovare due generatori col metodo della sostituzione <strong>di</strong> 1 in una<br />
variabile e <strong>di</strong> 0 nell’altra, avendo riscritto le triple come (x, y, x) (notiamo che<br />
tale scrittura rappresenta la soluzione generale del sistema omogeneo, molto<br />
semplice, <strong>di</strong> 1 equazione in 3 variabili, dato da x = z). Dunque otteniamo<br />
(1,0,1) e (0,1,0).<br />
Similmente a quanto visto nell’esercizio B2, la presenza <strong>di</strong> vettori non<br />
proporzionali come ad es. gli stessi (1,0,1) e (0,1,0), ma anche ad es. (1,1,1)<br />
e (3, −5, 3), rende impossibile l’esistenza <strong>di</strong> un solo vettore che generi tutto<br />
il sottospazio – infatti un tale vettore produrrebbe tutti vettori tra loro proporzionali.<br />
B3bis. Mostrare che gli insiemi T = {(x 1 , x 2 , x 3 , x 4 ) ∈ R 4 : x 1 + x 2 + x 3 −<br />
x 4 = 0}, U = {(x 1 , x 2 ) ∈ R 2 : x 1 − 2x 2 = 0} sono sottospazi, mentre V =<br />
{(x 1 , x 2 , x 3 , x 4 ) ∈ R 4 : x 1 + x 2 + x 3 − x 4 + 1 = 0} non lo è. Nei primi due casi,<br />
trovare due rispettive basi.<br />
Soluzione. Per un noto teorema, essendo i primi due insiemi caratterizzati<br />
da un sistema lineare omogeneo (formato da una sola equazione) a<br />
<strong>di</strong>fferenza del terzo, abbiamo già le tre risposte. Ragionando invece con<br />
il test <strong>di</strong> appartenenza, esaminiamo prima T : il suo generico elemento è<br />
esprimibile come (a, b, c, a + b + c) con a, b, c ∈ R. Dunque svolgendo calcoli<br />
elementari e “riorganizzando” infine l’ultima componente, si ha che, per ogni<br />
scelta <strong>di</strong> r, r ′ , a, b, c, a ′ , b ′ , c ′ reali, r(a, b, c, a + b + c) + r ′ (a ′ , b ′ , c ′ , a ′ + b ′ + c ′ ) =<br />
... = (ra + r ′ a ′ , rb + r ′ b ′ , rc + r ′ c ′ , (ra + r ′ a ′ ) + (rb + r ′ b ′ ) + (rc + r ′ c ′ )) ∈ T .<br />
Un ragionamento analogo, stavolta sulle coppie (2a, a), a ∈ R, conduce alla<br />
risposta affermativa per U. Per V il test non funziona (...), e comunque<br />
nell’equazione che definisce tale insieme notiamo la presenza <strong>di</strong> un termine<br />
<strong>di</strong> grado 0 (un numero, cioè, che non è coefficiente <strong>di</strong> alcun monomio). Ciò<br />
rende imme<strong>di</strong>ata la risposta negativa, poiché si può subito osservare che<br />
0 ∉ V , in contrad<strong>di</strong>zione con una nota proprietà dei sottospazi.<br />
Nel primo esempio, sostituendo 1 ad una delle tre lettere a, b, c e 0 alle<br />
15
altre due, otteniamo i tre generatori (1, 0, 0, 1), (0, 1, 0, 1), (0, 0, 1, 1). Affinché<br />
essi formino una base, devono essere lin. in<strong>di</strong>p. (oppure potremmo mostrare<br />
che formano un insieme minimale <strong>di</strong> generatori – e dunque che non possiamo<br />
rinunciare ad alcuno <strong>di</strong> loro – ma non percorriamo questa strada). L’in<strong>di</strong>pendenza<br />
lineare si <strong>di</strong>mostra facilmente supponendo che per certi α, β, γ si abbia<br />
α(1, 0, 0, 1) + β(0, 1, 0, 1) + γ(0, 0, 1, 1) = 0 (cioè (0,0,0,0) ). Si ha allora che<br />
(α, β, γ, α + β + γ) = 0 da cui segue facilmente che i tre coefficienti devono<br />
essere nulli. Dunque una base è quella formata dai tre generatori trovati e,<br />
in particolare, <strong>di</strong>m(T ) = 3.<br />
Nel secondo esempio, si arriva facilmente alla conclusione che una base è<br />
{(2, 1)}, e che in particolare <strong>di</strong>m(U) = 1.<br />
B4. Dimostrare che il prodotto scalare, × , è associativo rispetto alla moltiplicazione<br />
con scalari, e <strong>di</strong>stributivo rispetto alla somma <strong>di</strong> vettori. Mostrare<br />
poi che esistono vettori <strong>di</strong> R 2 non nulli ma il cui prodotto scalare è nullo.<br />
Soluzione. Preso un numero reale λ e tre vettori u = (u 1 , u 2 , ..., u n ), v =<br />
(v 1 , v 2 , ..., v n ), w = (w 1 , w 2 , ..., w n ) ∈ R n , si ha che<br />
λ · (u × v) = λ ·<br />
e inoltre si ha che<br />
∑<br />
1≤i≤n<br />
u × (v + w) = ∑<br />
= ∑<br />
1≤i≤n<br />
u i v i = ∑<br />
1≤i≤n<br />
1≤i≤n<br />
u i v i + ∑<br />
λ(u i v i ) = ∑<br />
u i (v i + w i ) = ∑<br />
1≤i≤n<br />
1≤i≤n<br />
1≤i≤n<br />
(λu i )v i = (λ · u) × v<br />
(u i v i + u i w i ) =<br />
u i w i = u × v + u × w .<br />
(essenzialmente, nel secondo calcolo abbiamo utilizzato la <strong>di</strong>stributività dell’usuale<br />
prodotto · tra numeri, rispetto alla somma +) Per rispondere all’ultima<br />
domanda basta esibire due vettori come ad es. (1, 0) e (0, 1), ma anche ad<br />
es. (30, 12) e (−2, 5). Notiamo, con l’occasione, che se tracciamo tali coppie su<br />
un piano coor<strong>di</strong>nato esse risultano ortogonali. Uno degli aspetti interessanti<br />
<strong>di</strong> × è infatti il suo “reagire” all’ortogonalità me<strong>di</strong>ante la risposta “zero”.<br />
Tale proprietà è in effetti un caso particolare del bel teorema (un ponte,<br />
possiamo <strong>di</strong>re, tra l’algebra e la geometria) secondo il quale il prodotto scalare<br />
<strong>di</strong> due vettori del piano o dello spazio (dove le cose si fanno ancora più interessanti)<br />
è precisamente il coseno dell’angolo che essi formano, moltiplicato<br />
per le due rispettive lunghezze dei vettori.<br />
16
B5. (per ora manca)<br />
B6. Impostare e risolvere un sistema <strong>di</strong> tre equazioni in due variabili per<br />
trovare tutte le combinazioni lineari <strong>di</strong> v 1 = (1, 2, −3) e v 2 = (1, 3, −2) che<br />
generano v 3 = (2, 5, −5). Utilizzare un metodo simile per mostrare che invece<br />
non è possibile generare v 4 = (1, 0, 1). In quale dei due casi il terzo vettore,<br />
aggiunto ai due iniziali, forma una base <strong>di</strong> R 3 ?<br />
Soluzione. Cerchiamo tutti i numeri reali x, y tali che xv 1 + yv 2 = v 3 .<br />
Abbiamo che (x, 2x, −3x) + (y, 3y, −2y) = (x + y, 2x + 3y, −3x − 2y) =<br />
(2, 5, −5) e dunque otteniamo il sistema<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
x + y = 2<br />
2x + 3y = 5<br />
−3x − 2y = −5<br />
Si ha: x = 2 − y da cui, sostituendo nella seconda equazione, y = 1. “Risalendo”,<br />
si ha che x = 1. Ora la terza equazione ci conferma che (1, 1) è<br />
una coppia accettabile (infatti abbiamo l’identità −5 = −5). Notiamo che<br />
tale conferma non era affatto scontata. Bastava infatti ad es. mo<strong>di</strong>ficare<br />
il termine noto della terza equazione (cioè la terza componente, −5, del<br />
vettore da ottenere) per trovare un’assurdo, e dunque per avere un sistema<br />
“impossibile”. Invece nel nostro caso il sistema è “possibile” ed ammette<br />
precisamente una soluzione (ciò che sta accadendo sarà più chiaro una volta<br />
appreso il teorema <strong>di</strong> Rouché-Capelli).<br />
Passando ora al secondo caso, otteniamo<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
x + y = 1<br />
2x + 3y = 0<br />
−3x − 2y = 1<br />
e dunque x = 1 − y ⇒ y = −2 ⇒ x = 3, ma ora la terza equazione “pone il<br />
suo veto” perché <strong>di</strong>viene −5 = 1. Abbiamo perciò un sistema impossibile.<br />
Nel primo caso non ci troviamo <strong>di</strong> fronte ad una base, poiché il terzo<br />
vettore è combinazione lineare dei primi due e dunque i tre vettori sono<br />
linearmente <strong>di</strong>pendenti (numericamente si ha che v 3 = 1 · v 1 + 1 · v 2 ⇒<br />
1 · v 1 + 1 · v 2 − 1 · v 3 = 0). Nel secondo caso, invece, i tre vettori v 1 , v 2 , v 4 sono<br />
linearmente in<strong>di</strong>pendenti (e quin<strong>di</strong>, essendo tre, formano una base). Infatti,<br />
per prima cosa, l’impossibilità del sistema equivale all’impossibilità <strong>di</strong> trovare<br />
una combinazione lineare non banale dei tre vettori che <strong>di</strong>a 0 e tale che il<br />
17<br />
.
terzo coefficiente non sia nullo (...). L’unica possibilità che resterebbe per<br />
ottenere una combinazione lineare non banale sarebbe quella <strong>di</strong> generare 0<br />
me<strong>di</strong>ante αv 1 + βv 2 , con α ≠ 0 oppure β ≠ 0, ma si vede facilmente che<br />
ciò non è possibile. Infatti i due vettori v 1 , v 2 non sono proporzionali, e<br />
la proporzionalità è proprio equivalente alla <strong>di</strong>pendenza lineare, quando si<br />
tratta <strong>di</strong> due soli vettori.<br />
B7. Riconoscere se prima l’insieme {(1, 0, 0), (0, 1, 0), (1, 1, 0)}, e poi {(π, 3π,<br />
2π), (6, 18, 11), (6, 18, 12)} sono basi <strong>di</strong> R 3 .<br />
Soluzione. Chie<strong>di</strong>amoci se i primi tre vettori sono linearmente <strong>di</strong>pendenti<br />
(se non lo sono, essi formano infatti una base, poiché sono tanti quanto la<br />
<strong>di</strong>mensione). Potremmo usare il ru<strong>di</strong>mentale calcolo che conduce a un sistema,<br />
oppure potremmo cercare “a tentativi” una combinazione lineare che<br />
non abbia tutti i coefficienti nulli – se siamo convinti, o almeno speriamo,<br />
<strong>di</strong> trovare una risposta positiva. Invece, standar<strong>di</strong>zziamo l’esercizio grazie al<br />
calcolo del determinante della matrice ottenuta ponendo i tre vettori in riga.<br />
Sviluppando lungo la prima riga si ha:<br />
∣<br />
1 0 0<br />
0 1 0<br />
1 1 0<br />
= 1 ·<br />
∣<br />
∣<br />
1 0<br />
1 0<br />
∣ ∣ ∣∣∣∣ ∣ − 0 · 0 0<br />
∣∣∣∣ 1 0 ∣ + 0 · 0 1<br />
1 1 ∣ = 0<br />
(è inutile calcolare il secondo e terzo determinante <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne 2, perché verranno<br />
moltiplicati per 0 – questo è uno degli aspetti piacevoli del primo<br />
teorema <strong>di</strong> Laplace). Potevamo osservare, in alternativa, che una colonna<br />
della matrice è nulla. Deduciamo insomma che non siamo in presenza <strong>di</strong> una<br />
base. Nel secondo caso si ha:<br />
∣<br />
π 3π 2π<br />
6 18 11<br />
6 18 12<br />
= π ·<br />
∣<br />
∣<br />
18 11<br />
18 12<br />
∣ ∣ ∣∣∣∣ ∣ − 3π · 6 11<br />
∣∣∣∣ 6 12 ∣ + 2π · 6 18<br />
6 18 ∣ =<br />
= π · 18 − 3π · 6 + 2π · 0 = 0 .<br />
Dunque nemmeno in questo caso abbiamo una base. Anziché calcolare il determinante<br />
potevamo accorgerci che le prime due colonne sono proporzionali<br />
e dunque <strong>di</strong>pendenti. Per “colpa loro” l’insieme dei tre vettori è linearmente<br />
<strong>di</strong>pendente (infatti, a prescindere dalle caratteristiche <strong>di</strong> (2π, 11, 12), si ha<br />
che 3(π, 6, 6) − 1(3π, 18, 18) + 0(2π, 11, 12) = 0 ). Notiamo che la proporzionalità<br />
tra colonne è “saltata all’occhio” solo dopo aver messo i vettori in riga<br />
per formare una matrice quadrata.<br />
18
B8. Dimostrare che<br />
S = {(a + 2b, 2a + 4b): a, b ∈ R}<br />
è un sottospazio <strong>di</strong> R 2 . Definire tale sottospazio anche me<strong>di</strong>ante un sistema<br />
<strong>di</strong> 1 equazione in 2 incognite. Trovarne infine una base. Cosa cambia se<br />
stu<strong>di</strong>amo<br />
S ′ = {(2b, 2b + 4): b ∈ R}<br />
e infine<br />
S ′′ = {(a + 2b, 2a + 5b): a, b ∈ R} ?<br />
Soluzione. Effettuando il test <strong>di</strong> chiusura si ha che ∀ h, k, a, b, a ′ , b ′ ∈ R<br />
h(a + 2b, 2a + 4b) + k(a ′ + 2b ′ , 2a ′ + 4b ′ ) = (ha + 2hb + ka ′ + 2kb ′ , 2ha +<br />
4hb + 2ka ′ + 4kb ′ ) = ((ha + ka ′ ) + 2(hb + kb ′ ), 2(ha + ka ′ ) + 4(hb + kb ′ )) ∈ S.<br />
Rispon<strong>di</strong>amo ora alla seconda domanda. A tal fine notiamo che la seconda<br />
componente è il doppio della prima. In altri termini, possiamo caratterizzare<br />
S come l’insieme {(x, y) ∈ R 2 : y = 2x}. Ecco dunque che abbiamo ottenuto<br />
il sistema omogeneo richiesto. Esso è in effetti molto semplice, ma sempre<br />
utile (lo vedremo in seguito):<br />
{2x − y = 0 .<br />
(la parentesi è superflua, ovviamente). Notiamo, a posteriori, che anziché<br />
eseguire un noioso e rischioso (per i calcoli) test <strong>di</strong> chiusura, sarebbe più<br />
sicuro lavorare in un’altra <strong>di</strong>rezione cercando un possibile sistema associato<br />
che sia omogeneo. Se infatti un tale sistema esiste, automaticamente (per un<br />
noto teorema) ci troviamo <strong>di</strong> fronte a un sottospazio.<br />
Per trovare una base <strong>di</strong> S poniamo prima a = 1, b = 0 ottenendo il<br />
vettore (1, 2), poi a = 0, b = 1 ottenendo (2, 4). Notiamo che tali vettori sono<br />
proporzionali e quin<strong>di</strong> lin. <strong>di</strong>p. . Per generare S ne basta dunque uno solo<br />
(infatti la “<strong>di</strong>mensione” <strong>di</strong> S vale 1. Ciò sarà ancor più chiaro in seguito allo<br />
stu<strong>di</strong>o del rango per i sistemi lineari – teor. <strong>di</strong> Rouché-Capelli). Possiamo così<br />
<strong>di</strong>re che {(1, 2), (2, 4)} è sì un insieme <strong>di</strong> generatori, ma che essi sono... troppi,<br />
e una spia del loro soprannumero è che essi non sono lin. in<strong>di</strong>p. . Notiamo che<br />
il metodo degli 0 e dell’1 permette <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare, in alternativa ai meto<strong>di</strong><br />
precedenti, che S è un sottospazio. Infatti risulta che a(1, 2) + b(2, 4) =<br />
(a + 2b, 2a + 4b) e dunque che S = 〈(1, 2), (2, 4)〉.<br />
Nel secondo caso il test <strong>di</strong> appartenenza fallisce. Infatti si ha che h(2b, 2b+<br />
4) + k(2b ′ , 2b ′ + 4) = ... = (2(hb + kb ′ ), 2(hb + kb ′ ) + 4h + 4k) ∉ S ′ (in genere)<br />
19
perché h e k sono liberi <strong>di</strong> variare e, ad es. possono generare 8,9,10..., cioè non<br />
necessariamente 4. Dunque non si tratta <strong>di</strong> un sottospazio. Ragionando in un<br />
altro modo, possiamo cercare un semplice “neo”, un qualcosa che pregiu<strong>di</strong>chi<br />
l’essere sottospazio. Ad es. ci accorgiamo che non è possibile ottenere (0, 0).<br />
Infatti la seconda componente è sempre maggiore (<strong>di</strong> 4) della prima. Abbiamo<br />
fra l’altro scoperto, così, che il sistema associato non è omogeneo,<br />
infatti esso è<br />
{x − y + 4 = 0 .<br />
Questa è un’ulteriore conferma che S ′ non è un sottospazio.<br />
Il terzo caso sembra molto simile al primo, eppure le cose cambiano<br />
sostanzialmente. Ora intanto il test “rifunziona”. Infatti si ha che h(a +<br />
2b, 2a + 5b) + k(a ′ + 2b ′ , 2a ′ + 5b ′ ) = (ha + 2hb + ka ′ + 2kb ′ , 2ha + 5hb + 2ka ′ +<br />
5kb ′ ) = ((ha + ka ′ ) + 2(hb + kb ′ ), 2(ha + ka ′ ) + 5(hb + kb ′ )) ∈ S ′′ . Ne segue<br />
che S ′′ è un sottospazio. Se però cerchiamo un sistema omogeneo associato<br />
(deve esistere, dato che abbiamo <strong>di</strong>mostrato che S ′′ è un sottospazio) esso<br />
non appare imme<strong>di</strong>ato da scrivere. Ponendo allora x = a + 2b, y = 2a + 5b<br />
ci accorgiamo che non è possibile trovare relazioni fra x e y. Infatti si ha<br />
ad es. che y = 2(x − 2b) + 5b = 2x + b, dunque non otteniamo una legge<br />
“fissa” poiché c’è b che “dà fasti<strong>di</strong>o”. Siamo in presenza <strong>di</strong> un sottospazio<br />
uguale allo spazio stesso, R 2 . Per vederlo, calcoliamo una base col solito<br />
metodo, ponendo cioè prima a = 1, b = 0 e poi a = 0, b = 1. Otteniamo<br />
i due vettori linearmente in<strong>di</strong>pendenti (1, 2), (2, 5). Essi sono la prova che<br />
S ′′ ha <strong>di</strong>mensione 2, cioè necessita <strong>di</strong> non meno <strong>di</strong> 2 generatori (ovviamente<br />
possiamo aggiungerne altri, inutili – basterà annullarli me<strong>di</strong>ante il fattore 0<br />
nella combinazione lineare – ma 2 resta il minimo) e dunque S ′′ coincide con<br />
lo spazio “ambiente” 2-<strong>di</strong>mensionale (vedere anche l’es. B9). A questo punto<br />
ci “salviamo” <strong>di</strong>cendo (nulla <strong>di</strong> errato, sia ben chiaro) che il sistema associato<br />
a S ′′ esiste comunque, ed è quello formato dall’equazione 0=0 (ma anche, ad<br />
es. , dalle 2 equazioni indeterminate “5x − 5x = 0” e “y + 2x = y + 2x” o solo<br />
da una <strong>di</strong> esse). Osserviamo infine che per <strong>di</strong>mostrare che S ′′ è un sottospazio<br />
potevamo semplicemente notare che a(1, 2)+b(2, 5) = (a+2b, 2a+5b), anziché<br />
eseguire il test <strong>di</strong> chiusura.<br />
B9. Dimostrare che se S è un sottospazio <strong>di</strong> R n tale che <strong>di</strong>m(S) = n, allora<br />
S = R n .<br />
Soluzione. Sia {b 1 , ..., b n } una base <strong>di</strong> S. Supponiamo per assurdo che<br />
R n \S ≠ ∅ e sia quin<strong>di</strong> m un vettore appartenente a tale <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> insiemi<br />
20
(dunque appartenente a R n ma non ad S). Ora necessariamente m non può<br />
essere generato dalla base <strong>di</strong> S; in altre parole non esiste alcuna combinazione<br />
lineare ∑ 1≤i≤n α i b i (con α i ∈ R ∀i) che <strong>di</strong>a m. Ne segue (...) che gli n + 1<br />
vettori b 1 , ..., b n , m sono lin. in<strong>di</strong>p. , ma ciò è assurdo perché un noto teorema<br />
ci assicura che in R n esistono al massimo n vettori lin. in<strong>di</strong>p. (osserviamo<br />
che tale teorema è fondamentale per i nostri scopi; esso <strong>di</strong>scende facilmente<br />
dal teorema che afferma che in un sottospazio non possono esistere più vettori<br />
lin. in<strong>di</strong>p. del numero <strong>di</strong> vettori <strong>di</strong> una qualunque base; tralasciamo, in una<br />
prima fase, la <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> questo prezioso risultato).<br />
B10. Senza usare il concetto <strong>di</strong> rango, <strong>di</strong>mostrare che il sottospazio generato<br />
dai tre vettori u 1 = (1, 0, 1), u 2 = (2, 1, −1), u 3 = (1, −1, 4) (cioè l’insieme<br />
<strong>di</strong> tutte le loro combinazioni lineari) è strettamente contenuto in R 3 (cioè<br />
esistono vettori non esprimibili me<strong>di</strong>ante combinazioni lineari siffatte). In<br />
simboli: 〈u 1 , u 2 , u 3 〉 ⊆≠ R 3 .<br />
Soluzione. Dobbiamo accontentarci dei nostri mezzi ancora un po’ ru<strong>di</strong>mentali,<br />
e trovare effettivamente un vettore che non venga generato da una<br />
combinazione lineare del tipo xu 1 + yu 2 + zu 3 (potremmo, in alternativa,<br />
mostrare che tali vettori sono lin. <strong>di</strong>p. , me<strong>di</strong>ante un sistema). Modelleremo,<br />
dunque, un sistema generico in modo da renderlo impossibile. Sia infatti<br />
(p, q, r) il vettore da trovare. Un’eventuale combinazione lineare dei nostri<br />
tre vettori, con rispettivi coefficienti x, y, z, condurrebbe al seguente sistema:<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
x + 2y + z = p<br />
y − z = q<br />
x − y + 4z = r<br />
Si avrebbe perciò y = z + q ⇒ x − z − q + 4z = r ⇒ x = −3z + q + r ⇒<br />
−3z+q+r+2(z+q)+z = p ⇒ 3q+r = p. Dunque scopriamo che un qualsiasi<br />
vettore che abbia 3q+r ≠ p non potrà mai essere espresso come combinazione<br />
lineare dei tre vettori iniziali, qualunque sia la scelta <strong>di</strong> x, y, z, perché ciò<br />
porterebbe a un assurdo nel relativo sistema. Si prenda ad es. (1,0,0) e si provi<br />
a riscrivere il sistema, che ora infatti risulterà impossibile. Abbiamo quin<strong>di</strong><br />
trovato un vettore, anzi infiniti vettori, che risolvono il nostro problema.<br />
Notiamo che, escludendo i termini noti a destra degli “=”, non a caso la<br />
prima somma è uguale a tre volte la seconda più la terza. La <strong>di</strong>pendenza<br />
lineare delle tre equazioni tronche è legata al teorema <strong>di</strong> Rouché-Capelli.<br />
Se conoscessimo il rango e sapessimo usarlo, impiegheremmo circa mezzo<br />
minuto per risolvere lo stesso esercizio! Scopriremmo che la matrice quadrata<br />
21<br />
.
ottenuta mettendo in riga i tre vettori ha determinante nullo, e dunque,<br />
per un noto teorema, che essa ha le righe (e anche le colonne, in effetti)<br />
linearmente <strong>di</strong>pendenti. Più precisamente, il suo “rango” – e cioè il numero<br />
massimo <strong>di</strong> righe lin. in<strong>di</strong>p. – vale al massimo 2. I tre vettori sono perciò<br />
lin. <strong>di</strong>p. e non possono pertanto costituire una base. Esisteranno cioè vettori<br />
che non possono essere generati come combinazione lineare dei tre vettori<br />
iniziali.<br />
B11. Eseguire tutti i prodotti possibili tra coppie delle seguenti 9 matrici:<br />
A =<br />
(<br />
1 −2 −3<br />
2 0 −2<br />
D =<br />
⎛<br />
G = ⎜<br />
⎝<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
)<br />
1 −2 −3<br />
2 0 −2<br />
−1 −1 0<br />
1<br />
2<br />
−3<br />
4<br />
Soluzione.<br />
( )<br />
0 1<br />
AC =<br />
, AD =<br />
4 −2<br />
, B = ( 0 −2 3 ) , C =<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ , E =<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1<br />
2<br />
−1<br />
⎞<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 −2<br />
2 0<br />
−1 −1<br />
⎟<br />
⎠ , F = (π) ,<br />
⎞<br />
( )<br />
−3<br />
⎟<br />
⎠ , H = , I = ( 0<br />
1<br />
−2 3 2 ) .<br />
(<br />
0 1 1<br />
4 −2 −6<br />
BD = ( −7 −3 4 ) , BE = ( −7 ) , CA =<br />
EB =<br />
DC =<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
0 1<br />
4 −2<br />
−3 2<br />
0 −2 3<br />
0 −4 6<br />
0 2 −3<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ , D 2 =<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ , EF =<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ ,<br />
) ( )<br />
0<br />
, AE = , BC = ( −7 −3 ) ,<br />
4<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
0 1 1<br />
4 −2 −6<br />
−3 2 5<br />
π<br />
2π<br />
−π<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ , EI =<br />
−3 −2 1<br />
2 −4 −6<br />
−3 2 5<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ , DE =<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ , CH =<br />
0<br />
4<br />
−3<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ ,<br />
0 −2 3 2<br />
0 −4 6 4<br />
0 2 −3 −2<br />
F B = ( 0 −2π 3π ) , F 2 = ( π 2 ) , F I = ( 0 −2π 3π 2π ) ,<br />
22<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ ,<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
−5<br />
−6<br />
2<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ ,
ecc. ecc. (GB è 4 × 3, GF è 4 × 1, GI è 4 × 4, HB è 2 × 3, HF è 2 × 1, HI<br />
è 2 × 4, IG è 1 × 1).<br />
B11bis. È vero che il prodotto tra matrici quadrate è commutativo?<br />
Soluzione. In genere no. Ad esempio<br />
( ) ( ) ( ) ( ) ( ) (<br />
1 3 1 1 7 1 1 1 1 3 3 7<br />
· =<br />
ma · =<br />
2 4 2 0 10 2 2 0 2 4 2 6<br />
)<br />
.<br />
B12. Utilizzare la regola <strong>di</strong> Cramer in tre mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>stinti per risolvere il<br />
seguente sistema, “spostando” a destra del segno “=” tre <strong>di</strong>stinte coppie<br />
<strong>di</strong> variabili. Interpretare poi geometricamente le soluzioni.<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
Soluzione. La relativa matrice è<br />
⎛<br />
A =<br />
x 1 − 2x 2 + 3x 3 + x 4 + x 5 = 1<br />
−x 1 + x 2 − x 4 − x 5 = 0<br />
x 1 + x 3 + x 4 + x 5 + 7 = 0<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 −2 3 1 1 ‖ 1<br />
−1 1 0 −1 −1 ‖ 0<br />
1 0 1 1 1 ‖ −7<br />
.<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ .<br />
Notiamo che tre colonne <strong>di</strong> A inc coincidono. Dunque al fine <strong>di</strong> ottenere un<br />
minore 3 × 3 con determinante non nullo, dobbiamo prenderne solo una (in<br />
tre mo<strong>di</strong>, quin<strong>di</strong>) e poi restano le altre due colonne obbligatorie (la seconda<br />
e la terza, sperando che le tre colonne da esaminare siano lin. ind. e cioè<br />
rendano il determinante non nullo). Il minore 3 × 3 estremo a sinistra ha<br />
in effetti determinante non nullo (uguale a −4). Possiamo allora considerare<br />
x 4 , x 5 come parametri e risolvere, con l’usuale regola <strong>di</strong> Cramer, il sistema<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
x 1 − 2x 2 + 3x 3 = 1 − s − t<br />
−x 1 + x 2 = s + t<br />
x 1 + x 3 = −7 − s − t<br />
Le ∞ 2 (cioè <strong>di</strong>pendenti da 2 parametri) soluzioni sono<br />
(<br />
− 11<br />
2 − s − t , −11 2 , −3 2 , s , t )<br />
.<br />
∀ s, t ∈ R .<br />
Notiamo che l’insieme delle soluzioni non è un sottospazio – ad es. esso non<br />
contiene lo 0. Ciò era preve<strong>di</strong>bile, perché il sistema iniziale non era omogeneo.<br />
23
Possiamo però “<strong>di</strong>stillare” un sottospazio da tale insieme, scrivendo i suoi<br />
elementi così:<br />
(<br />
− 11<br />
)<br />
2 , −11 2 , −3 2 , 0 , 0 + ( −s − t , 0 , 0 , s , t ) .<br />
Si tratta dunque <strong>di</strong> un “piano” in R 5 ottenuto da un sottospazio 2-<strong>di</strong>mensionale<br />
(a destra) la cui origine (0) è stata traslata e collocata sul punto a<br />
sinistra, “portando con sé” tutto il piano che prima passava per 0. Il sottospazio<br />
corrisponde al sistema omogeneo associato al nostro sistema, cioè lo<br />
stesso sistema ma con i termini noti nulli. Tale sottospazio è la “giacitura”<br />
del nostro piano, cioè contiene precisamente l’informazione della “pendenza”,<br />
e passa per l’origine. Per ottenere il “vero” piano bisogna traslare opportunamente<br />
la giacitura, facendola passare per un qualsiasi punto del “vero”<br />
piano.<br />
Si possono analogamente considerare come parametri le coppie (x 1 , x 4 ) e<br />
(x 1 , x 5 ), ottenendo soluzioni apparentemente <strong>di</strong>verse da quelle trovate sopra,<br />
ma a ben vedere (...) coincidenti.<br />
B13. Dimostrare che<br />
S = {(x, y, z, w) ∈ R 4 : 2x − y − z = 0 ∧ 2x − z − 2w = 0 ∧ y − 2w = 0}<br />
è un sottospazio (<strong>di</strong> R 4 ) e trovarne due basi. Dimostrare poi che<br />
T = {(x, y, z, w) ∈ R 4 : 2x − y − z = 0 ∧ 2x − z − 2w = 0 ∧ y − w = 0}<br />
è un altro sottospazio e trovarne una base.<br />
Soluzione. Le tre con<strong>di</strong>zioni in congiunzione logica, riguardanti S, costituiscono<br />
un sistema omogeneo lineare, da cui segue imme<strong>di</strong>atamente che<br />
S è un sottospazio. Per trovarne una base, scriviamo il sottospazio in forma<br />
esplicita risolvendo il relativo sistema. [Con<strong>di</strong>zione 3] ⇒ y = 2w e ora [Con<strong>di</strong>zione<br />
1] ⇒ z = 2x − 2w. Notiamo che la seconda con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>viene superflua.<br />
La quadrupla generica <strong>di</strong> S è dunque (x, 2w, 2x − 2w, w) con x, w ∈ R.<br />
Due generatori <strong>di</strong> S sono (sostituendo 1 e 0 alternativamente in x e w) i<br />
vettori (1, 0, 2, 0) e (0, 2, −2, 1). Essi sono lin. in<strong>di</strong>p. – poiché risultano non<br />
proporzionali – e quin<strong>di</strong> formano una base <strong>di</strong> S.<br />
Potremmo benissimo <strong>di</strong>re che un’altra base è la stessa <strong>di</strong> prima ma con<br />
i vettori scambiati (infatti l’or<strong>di</strong>ne conta – si pensi alle coor<strong>di</strong>nate <strong>di</strong> un<br />
vettore generico, che infatti vengono scambiate). Potremmo anche sforzarci<br />
24
un minimo <strong>di</strong> più e <strong>di</strong>re che un’altra base si ottiene mo<strong>di</strong>ficando <strong>di</strong> due<br />
fattori qualsiasi (non 0) i due generatori. Oppure, agendo nel modo più<br />
generale possibile, potremmo prelevare dalle ∞ 2 quadruple (x, 2w, 2x−2w, w)<br />
del sottospazio due altri vettori che però non siano proporzionali (dunque<br />
dovremmo sostituire a x e w valori <strong>di</strong>versi da 0 e 1, verificando poi la non<br />
proporzionalità). Ad es. ponendo x = 2, w = 1 e poi x = 1, w = −1 otteniamo<br />
(2, 2, 2, 1) e (1, −2, 4, −1) che non sono proporzionali e dunque formano<br />
una nuova base <strong>di</strong> S.<br />
Per quanto riguarda T , la piccola mo<strong>di</strong>fica nella terza con<strong>di</strong>zione provoca<br />
un “cataclisma” a livello <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione. Questa passa infatti da 2 a 1, quin<strong>di</strong><br />
il sottospazio da “piatto” <strong>di</strong>venta “filiforme” (si avrà, come vedremo, un solo<br />
generatore), all’interno <strong>di</strong> uno spazio ambiente 4-<strong>di</strong>mensionale. Più in dettaglio,<br />
nel relativo sistema ora non abbiamo con<strong>di</strong>zioni superflue, e (dopo alcuni<br />
calcoli) troviamo quadruple del tipo (x, 0, 2x, 0) con x ∈ R. Sostituendo<br />
1 alla x troviamo il generatore (1, 0, 2, 0) che determina la <strong>di</strong>rezione lungo<br />
la quale “vive” il sottospazio. Tale generatore è ovviamente, da solo, anche<br />
base.<br />
BB<br />
BB1. Dimostrare che “due vettori <strong>di</strong> un qualsiasi sottospazio <strong>di</strong> R n sono<br />
proporzionali” ⇔ “essi sono linearmente <strong>di</strong>pendenti”. Se i vettori sono tre,<br />
vale ⇒ oppure ⇐?<br />
Soluzione. Siano u, v i due vettori in questione. Se essi sono proporzionali<br />
allora o u = hv ∃h ∈ R oppure v = hu ∃h ∈ R (spesso valgono entrambe<br />
le proprietà, ma non nel caso speciale in cui u = 0 o (esclusivo) v = 0, dove<br />
h = 0 e vale solo una delle due proprietà; ma la proporzionalità resta!). Per<br />
semplicità supponiamo che valga la prima uguaglianza. Allora 1 · u − hv = 0<br />
e dunque abbiamo trovato una combinazione lineare non banale che genera<br />
0 (anche nel caso particolare in cui h = 0). Viceversa, se u, v sono lin. <strong>di</strong>p.<br />
allora ∃α, β ∈ R: (α, β) ≠ (0, 0) ∧ αu + βv = 0. Supponendo ora che α ≠ 0,<br />
si ha proporzionalità perché u = −(β/α)v. Se invece α = 0, siamo certi che<br />
β ≠ 0 e possiamo ragionare in modo simile.<br />
Presi ora tre vettori proporzionali u, h 1 u, h 2 u, con un ragionamento analogo<br />
a quello <strong>di</strong> prima è facile mostrare che sussiste la <strong>di</strong>pendenza lineare,<br />
dunque vale l’implicazione ⇒. Invece il viceversa è smentito da esempi elementari<br />
come quello <strong>di</strong> due vettori linearmente in<strong>di</strong>pendenti, w 1 , w 2 insieme<br />
25
al vettore nullo. Si ha infatti che π 2 0 + 0w 1 + 0w 2 = 0 (π 2 è ovviamente<br />
un numero non nullo scritto a caso; con l’occasione, ricor<strong>di</strong>amo che esso<br />
vale circa 9.87, e non 180 al quadrato!), eppure i due vettori in<strong>di</strong>pendenti<br />
non sono certo proporzionali, per quanto visto sopra nel caso <strong>di</strong> due vettori.<br />
Come altro esempio, un po’ meno banale, si scelgano due vettori della<br />
base canonica, siano essi e i , e j (cioè i vettori con tutti zeri a parte un 1 nel<br />
posto i, o nel posto j), e si aggiunga anche il loro vettore somma e i + e j<br />
(notiamo che i tre vettori sono linearmente <strong>di</strong>pendenti perché, ovviamente,<br />
1 · e i + 1 · e j − 1 · (e i + e j ) = 0). Come ultimo esempio, si considerino i vettori<br />
(1, 2, 3, 5), (0, −1, 1, 3), (2, 3, 7, 13) (mostrare che sono lin. <strong>di</strong>p. , ecc.).<br />
BB2. Risolvere un sistema <strong>di</strong> 3 equazioni in 3 incognite per <strong>di</strong>mostrare che<br />
(1, 1, 0), (−2, 0, 1), (3, 5, 1) non generano v = (2, 1, 0) e dunque non sono una<br />
base dello spazio vettoriale R 3 . Utilizzare poi questo primo esercizio per<br />
esibire una base <strong>di</strong> R 3 .<br />
Soluzione. Imponendo che per certi α, β, γ reali si abbia α(1, 1, 0) +<br />
β(−2, 0, 1) + γ(3, 5, 1) = (2, 1, 0), otteniamo il sistema<br />
(α − 2β + 3γ, α + 5γ, β + γ) = (2, 1, 0) ,<br />
che scriviamo in forma verticale come<br />
⎧<br />
⎪⎨ α − 2β + 3γ = 2<br />
α + 5γ = 1<br />
⎪⎩<br />
β + γ = 0<br />
.<br />
Nel tentativo <strong>di</strong> risolverlo, si ha che β = −γ, poi che α = 1 − 5γ, e infine che<br />
(1−5γ)−2(−γ)+3γ = 2, che è assurdo (γ si elimina e resta la contrad<strong>di</strong>zione<br />
“1=2”). Poiché, allora, i tre vettori dati non sono generatori <strong>di</strong> tutto R 3 , essi<br />
non sono una base.<br />
Per quanto visto, v non è combinazione lineare dei tre vettori iniziali, e a<br />
fortiori non lo è dei primi due, che sono però lin. in<strong>di</strong>p. (non proporzionali).<br />
Ne segue (...) che i primi due vettori insieme a v sono lin. in<strong>di</strong>p. . Dunque<br />
il primo vettore, il secondo e infine v formano una base perché forniscono il<br />
numero massimo <strong>di</strong> vettori lin. in<strong>di</strong>p. in R 3 .<br />
BB3. Risolvere un sistema <strong>di</strong> 1 equazione in 1 incognita per <strong>di</strong>mostrare<br />
che il vettore 73 genera il vettore 43 nello spazio vettoriale R 1 (cioè R).<br />
Generalizzare la <strong>di</strong>mostrazione ad un sistema parametrico, sempre 1 × 1, per<br />
provare che {73} è una base <strong>di</strong> R.<br />
26
Soluzione. Il sistema richiesto è<br />
{73x = 43<br />
ed ammette x = 43/73 come soluzione. In altri termini, 43 si può esprimere<br />
come combinazione lineare del solo 73, usando appunto il coefficiente 43/73.<br />
In genere, il sistema “ {73x = k ” ammette sempre una (e una sola)<br />
soluzione, cioè x = k/73 (possiamo anche applicare il teorema <strong>di</strong> Cramer,<br />
avendo notato che il determinante <strong>di</strong> una matrice 1 × 1 è il numero stesso<br />
presente nella matrice). Da ciò deduciamo in particolare che {73} è una<br />
base <strong>di</strong> R 1 = R, poiché 73 genera tutti i numeri reali me<strong>di</strong>ante opportune<br />
combinazioni lineari, e ovviamente non si può ridurre il numero <strong>di</strong> generatori<br />
(otterremmo zero generatori).<br />
Notiamo che, in alternativa al ragionamento appena fatto, si può affermare<br />
che 73 forma una base perché il numero massimo <strong>di</strong> vettori lin. in<strong>di</strong>p.<br />
in R 1 è proprio 1. Quin<strong>di</strong> qualunque numero che non sia 0 va bene (0 è lin.<br />
<strong>di</strong>p. perché ad es. 32 · 0 = 0, dunque ∃ una combinazione lineare “non con<br />
tutti 0” che però dà 0). Infine, si può essere certi che 73 forma una base per<br />
un altra ragione: tale vettore, da solo, “costituisce” un insieme <strong>di</strong> vettori lin.<br />
in<strong>di</strong>p. e che, al tempo stesso, generano R.<br />
BB4. Fissato un intero positivo i, <strong>di</strong>mostrare che<br />
∀r ∈ R, ∀v ∈ R i (rv = 0 ⇒ r = 0 ∨ v = 0) .<br />
Soluzione. Supponiamo, ragionando per assurdo, che non valga la tesi<br />
(r = 0 oppure v = 0). Ciò equivale a supporre che ∃r, v tali che né r =<br />
0 né v = 0 (infatti la negazione <strong>di</strong> una “<strong>di</strong>sgiunzione” (∨) equivale alla<br />
“congiunzione” (∧) delle singole negazioni). Da un lato si avrebbe allora<br />
che v t ≠ 0 almeno per una componente, sia essa la t-esima, del vettore v =<br />
(v 1 , ..., v i ). Di conseguenza la componente t-esima del prodotto rv sarebbe<br />
uguale a rv t ≠ 0 (perché, d’altra parte, r ≠ 0), e dunque il vettore rv non<br />
sarebbe il vettore nullo, contro l’ipotesi del testo.<br />
BB5. Dimostrare che il sottospazio <strong>di</strong> R 3 generato da (1, 0, −1) e (2, 1, −4)<br />
coincide con quello generato da (5, −1, −3) e (1, −1, 1). In simboli,<br />
〈(1, 0, −1), (2, 1, −4)〉 = 〈(5, −1, −3), (1, −1, 1)〉 .<br />
27
Soluzione. Poiché le due coppie <strong>di</strong> vettori non sono proporzionali, la<br />
<strong>di</strong>mensione dei sottospazi che esse generano vale 2. Come prima risoluzione<br />
mostriamo che ciascun vettore della seconda coppia è ottenibile me<strong>di</strong>ante<br />
una combinazione della prima coppia. Così facendo, infatti, proveremmo<br />
che il secondo sottospazio è contenuto nel primo (...), e l’uguaglianza delle<br />
<strong>di</strong>mensioni porterebbe subito alla conclusione. Anziché cercare opportune<br />
combinazioni lineari me<strong>di</strong>ante sistemi, è sufficiente verificare che<br />
∣<br />
1 0 −1<br />
2 1 −4<br />
5 −1 −3<br />
= 0 ,<br />
∣<br />
∣<br />
1 0 −1<br />
2 1 −4<br />
1 −1 1<br />
= 0 .<br />
∣<br />
Due veloci calcoli danno risposte affermative.<br />
Come seconda risoluzione, <strong>di</strong>mostriamo che il rango della matrice<br />
⎛<br />
⎞<br />
1 0 −1<br />
2 1 −4<br />
A = ⎜<br />
⎟<br />
⎝ 5 −1 −3 ⎠<br />
1 −1 1<br />
è uguale a 2 (ciò implicherebbe che le due ultime righe si ottengono come<br />
comb. lin. delle prime due, e seguirebbe la stessa conclusione <strong>di</strong> prima). A tal<br />
fine possiamo applicare il teorema degli orlati al minore 2×2 in alto a sinistra<br />
– svolgendo in realtà calcoli uguali ai precedenti – oppure possiamo ridurre<br />
a scala per righe la trasposta <strong>di</strong> tale matrice (equivalentemente, riduciamo a<br />
scala per colonne la matrice iniziale). Abbiamo dunque:<br />
A T =<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 2 5 1<br />
0 1 −1 −1<br />
−1 −4 −3 1<br />
⎞<br />
(r 3 → r 3 + 2r 2 ) ⇒<br />
⎟<br />
⎠ (r 3 → r 3 + r 1 ) ⇒<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 2 5 1<br />
0 1 −1 −1<br />
0 0 0 0<br />
1 2 5 1<br />
0 1 −1 −1<br />
0 −2 2 2<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ ,<br />
e quin<strong>di</strong> il rango vale appunto 2. Potevamo anche ridurre a scala per righe,<br />
dall’inizio.<br />
BB6. Determinare un sistema <strong>di</strong> (una o più) equazioni che descriva il sottospazio<br />
dell’esercizio BB5. Svolgere lo stesso esercizio anche per il sottospazio<br />
〈(1, 0, 1, 0), (0, 1, 1, 2)〉. Descrivere infine entrambi i sottospazi me<strong>di</strong>ante<br />
equazioni parametriche.<br />
28<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠
Soluzione. Si tratta <strong>di</strong> imporre che il generico vettore (x, y, z) sia combinazione<br />
lineare <strong>di</strong> (1, 0, −1) e (2, 1, −4), cioè che<br />
0 =<br />
∣<br />
x y z<br />
1 0 −1<br />
2 1 −4<br />
= 4y + z + x − 2y ⇒ x + 2y + z = 0 ,<br />
∣<br />
sviluppando il determinante lungo la seconda riga. Nel secondo caso, imporre<br />
che il vettore (x, y, w, z) sia combinazione lineare dei due vettori dati significa<br />
imporre che il rango dalla matrice 3 × 4 – che si ottiene nel modo consueto<br />
– valga 2. E in effetti, anche nel caso precedente abbiamo imposto la stessa<br />
con<strong>di</strong>zione, giungendo poi all’equazione finale grazie al determinante. Qui,<br />
invece, poiché la matrice è “un po’ più lunga” otterremo 2 equazioni ad es.<br />
me<strong>di</strong>ante il teorema degli orlati. Se orliamo il minore 2×2 in basso a sinistra,<br />
abbiamo che<br />
⎛<br />
⎜<br />
rango ⎝<br />
x y w z<br />
1 0 1 0<br />
0 1 1 2<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ = 2 ⇔<br />
{<br />
−y + w − x = 0<br />
−2y + z = 0<br />
⇔<br />
{<br />
x + y − w = 0<br />
2y − z = 0<br />
Trovare equazioni parametriche è imme<strong>di</strong>ato. Basta infatti “ancorare”<br />
a ciascun vettore un parametro. Abbiamo cioè, rispettivamente, (x, y, z) =<br />
α(1, 0, −1) + β(2, 1, −4), e (x, y, w, z) = α(1, 0, 1, 0) + β(0, 1, 1, 2). Con più<br />
chiarezza,<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
x = α + 2β<br />
y = β<br />
z = −α − 4β<br />
(∀ α, β ∈ R) ,<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
x = α<br />
y = β<br />
w = α + β<br />
z = 2β<br />
(∀ α, β ∈ R) .<br />
.<br />
C<br />
C1. Risolvere il seguente sistema, interpretando poi le equazioni come entità<br />
geometriche nel piano euclideo. La totalità delle soluzioni costituisce un<br />
sottospazio <strong>di</strong> R 2 ? Ripetere poi l’esercizio sostituendo 3 a ciascuno dei due<br />
zeri: {<br />
x − 2y = 0<br />
3x + y = 0 .<br />
29
Soluzione. Trattandosi <strong>di</strong> un sistema omogeneo siamo certi che esso<br />
ammette almeno una soluzione (quella nulla, (0,0) ) e che l’insieme delle<br />
soluzioni forma un sottospazio. Il calcolo del rango della matrice incompleta<br />
ci preciserà il “numero” esatto delle soluzioni, cioè il grado <strong>di</strong> libertà. Poiché<br />
dunque ∣ ∣∣∣∣ 1 −2<br />
3 1 ∣ = 7 ≠ 0,<br />
tale rango vale 2. Avremo allora ∞ 2−2 soluzioni; quin<strong>di</strong> al <strong>di</strong> fuori della<br />
soluzione nulla non abbiamo altre soluzioni (in altre parole, il sistema non<br />
ammette autosoluzioni).<br />
Dal punto <strong>di</strong> vista geometrico questo sistema esprime l’intersezione <strong>di</strong> due<br />
rette r, s passanti per l’origine. Due rispettivi vettori <strong>di</strong>rezionali <strong>di</strong> tali rette si<br />
possono calcolare con la formula v → q = (−b, a) dove la retta q è espressa tramite<br />
l’equazione “ax + by + c = 0”. Nel nostro caso abbiamo perciò v → r = (2, 1),<br />
→<br />
v s = (−1, 3) (equivalentemente, i due rispettivi coefficienti angolari valgono<br />
1/2 e −3; notiamo però che la formula (−b, a) permette <strong>di</strong> coprire anche i<br />
casi problematici in cui la retta è verticale, cioè i casi in cui b = 0, dove il<br />
coeff. ang. non è definito).<br />
La mo<strong>di</strong>fica dei termini noti, da 0 a 3, produce due nuove rette che sono<br />
semplicemente traslate, dunque non ruotate, rispetto a quelle iniziali. Infatti<br />
ad es. la prima retta si trasforma da y = (1/2)x a y = (1/2)x − 3/2,<br />
dunque si “abbassa” <strong>di</strong> 3/2 senza cambiare il proprio coefficiente angolare<br />
(questo fenomeno avviene in generale, per qualunque entità geometrica la<br />
cui equazione si perturbi solo nel termine noto; in particolare ciò vale per<br />
rette – due variabili – e piani – tre variabili, ma anche rette nello spazio –<br />
due equazioni, quin<strong>di</strong>). Le due nuove rette “si andranno a intersecare” in<br />
un altro punto del piano, ma non potranno certo <strong>di</strong>venire parallele. In termini<br />
algebrici, il sistema associato è sempre risolubile col metodo <strong>di</strong> Cramer<br />
(infatti la matrice incompleta resta quella <strong>di</strong> prima) e dunque otteniamo<br />
un’unica soluzione.<br />
C1bis. Risolvere il seguente sistema, interpretando poi le equazioni come<br />
entità geometriche nel piano euclideo. La totalità delle soluzioni costituisce<br />
un sottospazio <strong>di</strong> R 2 ? Ripetere poi l’esercizio sostituendo 3 a ciascuno dei<br />
due zeri: {<br />
x − 2y = 0<br />
3x − 6y = 0 .<br />
30
Soluzione. Trattandosi <strong>di</strong> un sistema omogeneo siamo certi che esso<br />
ammette almeno una soluzione. Poiché<br />
1 −2<br />
∣ 3 −6 ∣ = 0,<br />
il rango della matrice incompleta vale meno <strong>di</strong> 2 e precisamente 1 (infatti<br />
nella matrice è presente almeno un numero <strong>di</strong>verso da 0). Avremo allora<br />
∞ 2−1 soluzioni (quin<strong>di</strong> oltre a 0 abbiamo autosoluzioni). Eliminando ad es. la<br />
seconda riga e scrivendo la x in funzione della y otteniamo le soluzioni (2y, y)<br />
per ogni y reale. Potremmo anche esplicitare la y ottenendo le soluzioni<br />
(x, x/2) con x ∈ R, che sono a ben vedere (e come è giusto che sia) le stesse<br />
<strong>di</strong> prima.<br />
Dal punto <strong>di</strong> vista geometrico si tratta <strong>di</strong> due rette passanti per l’origine<br />
ma coincidenti. Ecco perché otteniamo una risposta parametrica: essa non è<br />
altro che la medesima retta (stiamo cioè intersecando due insiemi coincidenti,<br />
ottenendo X ∩ X = X).<br />
Se ora sostituiamo 3 a ciascuno zero, otteniamo due rette parallele. Infatti<br />
il rango della matrice completa sale a 2, causando l’assenza <strong>di</strong> soluzioni. Stu<strong>di</strong>ando<br />
le rispettive equazioni ridotte ci accorgiamo che i coefficienti angolari<br />
sono uguali, ma le due quote no.<br />
C2. Risolvere il seguente sistema, interpretando poi le equazioni come entità<br />
geometriche nello spazio euclideo. La totalità delle soluzioni costituisce un<br />
sottospazio <strong>di</strong> R 3 ? Ripetere infine l’esercizio sostituendo 0 ai numeri 5 e 1:<br />
{<br />
x − 2y − z = 5<br />
−2x + 4y + 3z = 1 .<br />
Soluzione. La prima equazione implica che x = 2y + z + 5. Ora, usando<br />
la seconda, si ha che −2(2y + z + 5) + 4y + 3z = 1 e dunque z = 11. Allora<br />
x = 2y+16, e perciò la soluzione finale è parametrica: (2y+16, y, 11) ∀ y ∈ R.<br />
(Alla luce del teorema <strong>di</strong> Rouché-Capelli <strong>di</strong>remmo che il rango della matrice<br />
incompleta e <strong>di</strong> quella completa vale 2, da cui segue che le soluzioni sono<br />
∞ 1 ; potevamo dunque usare fin dall’inizio la regola <strong>di</strong> Cramer generale, con<br />
un parametro.) Abbiamo intersecato due piani nello spazio, trovando una<br />
retta. Dunque tali piani non sono paralleli. Le soluzioni, cioè tutti i punti<br />
<strong>di</strong> tale retta, non formano un sottospazio perché non comprendono lo zero,<br />
cioè l’origine (0,0,0). D’altra parte ciò poteva dedursi dall’inizio, poiché il<br />
sistema non è omogeneo.<br />
31
Sostituendo gli zeri le cose cambiano. Ora abbiamo due piani passanti<br />
per l’origine, ottenuti traslando i due piani precedenti fino appunto a far loro<br />
attraversare lo zero. La retta che si ottiene passerà dunque per l’origine, ed è<br />
un sottospazio (ad es. si può stu<strong>di</strong>are la sua forma parametrica per scoprire<br />
che tale scrittura verifica le proprietà <strong>di</strong> chiusura rispetto alla somma interna<br />
e al prodotto con scalari).<br />
C3. Illustrare la posizione dei seguenti enti geometrici – rappresentati da<br />
singole equazioni – nel piano euclideo (i primi tre) e nello spazio euclideo (gli<br />
altri sei). Scrivere anche le rispettive equazioni segmentarie – nei due soli<br />
casi possibili.<br />
(1) 3x − 2y + 1 = 0 , (2) 30x − 3 = 0 , (3) 30y − 3 = 0 ,<br />
(4) x + y − 2z + 1 = 0 , (5) x + 2y = 4 , (6) y − 3 = 0 ,<br />
(7) 7y + 7z + 1 = 0 , (8) 30x − 3 = 0 , (9) 30z − 3 = 0 .<br />
Soluzione. (1) è una retta non passante per l’origine; più precisamente,<br />
analizzando la forma segmentaria −3x + 2y = 1, deduciamo che tale retta<br />
contiene i punti (−1/3, 0) e (0, 1/2). (2) è una retta un cui vettore <strong>di</strong>rezionale<br />
è (−b, a) = (0, 30). Dunque essa è verticale, e dovendo passare per (1/10, 0),<br />
la sua posizione è completamente determinata. (3), similmente, è una retta<br />
orizzontale. Potremmo trasformare l’equazione in y = 1/10 per accorgerci<br />
che tale retta è l’insieme <strong>di</strong> tutti i punti la cui x è arbitraria e la cui y è uguale<br />
a 1/10. (4) è un piano la cui equazione segmentaria è −x−y+2z = 1. Dunque<br />
tre suoi punti che lo determinano sono (−1, 0, 0), (0, −1, 0), (0, 0, 1/2). In (5)<br />
manca la z, dunque il piano è parallelo all’asse z (infatti non esiste alcuna<br />
restrizione su tale coor<strong>di</strong>nata). Il relativo sottospazio è {(x, y, z): x + 2y =<br />
0}, e risolvendo il sistema omogeneo (che consiste <strong>di</strong> una sola equazione)<br />
otteniamo la forma parametrica: {(−2y, y, z): y, z ∈ R}. Due generatori<br />
in<strong>di</strong>pendenti (dunque formanti una base) sono quin<strong>di</strong> (−2, 1, 0) e (0, 0, 1).<br />
Essi descrivono la “pendenza” <strong>di</strong> questo piano. Un punto a caso, su cui<br />
“appoggiare” la giacitura, è (4, 0, 0). Dobbiamo quin<strong>di</strong> traslare il sottospazio<br />
<strong>di</strong> quattro unità lungo l’asse x. Possiamo notare, in alternativa, che la traccia<br />
del nostro piano sul piano (x, y) – cioè sul “terreno” – è appunto la retta (non<br />
pensando alla z) descritta dalla stessa equazione. Per tale retta dobbiamo far<br />
passare un piano verticale, che è appunto il nostro oggetto. Ragionando in<br />
modo analogo abbiamo che (6) è un piano verticale, ma parallelo sia all’asse<br />
x che z, passante ad es. per (0, 3, 0) (pensiamo a una parete), (7) ricorda un<br />
32
tetto inclinato, con traccia <strong>di</strong> equazione z = −y − 1/7 sul piano (y, z), infine<br />
(8) è un’altra parete e (9) un tetto orizzontale.<br />
C4. Utilizzando il metodo <strong>di</strong> Cramer – dunque considerando due variabili<br />
opportune come parametri – risolvere il seguente sistema omogemeo:<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
x 1 + x 2 + x 3 + x 4 + x 5 = 0<br />
x 1 − x 2 + x 3 − x 4 + x 5 = 0<br />
x 5 = 0<br />
(x i ∈ R ∀i) .<br />
Esplicitare poi una base del sottospazio delle soluzioni. Infine risolvere lo<br />
stesso sistema col metodo <strong>di</strong> Gauss.<br />
Soluzione. Una volta scritta la matrice associata al sistema, cioè<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 1 1 1 1 | 0<br />
1 −1 1 −1 1 | 0<br />
0 0 0 0 1 | 0<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ ,<br />
notiamo che il minore 3 × 3 formato dalla terza, quarta e quinta colonna ha<br />
determinante non nullo. Dunque possiamo parametrizzare le variabili relative<br />
alle prime due colonne, e utilizzare il metodo <strong>di</strong> Cramer. Abbiamo dunque<br />
il nuovo sistema: ⎧<br />
⎪⎨ x 3 + x 4 + x 5 = −x 1 − x 2<br />
x<br />
⎪ 3 − x 4 + x 5 = −x 1 + x 2 .<br />
⎩<br />
x 5 = 0<br />
(avremmo potuto scegliere anche altre tre colonne; ad es. la prima, la seconda<br />
e la quinta, quest’ultima necessaria in ogni caso) Abbiamo che<br />
x 3 =<br />
∣<br />
−x 1 − x 2 1 1<br />
−x 1 + x 2 −1 1<br />
0 0 1<br />
−2<br />
∣<br />
∣<br />
= −x 1 , x 4 =<br />
1 −x 1 − x 2 1<br />
1 −x 1 + x 2 −1<br />
0 0 1<br />
−2<br />
∣<br />
= −x 2 ,<br />
e anziché calcolare anche x 5 notiamo che essa è uguale a zero già nel sistema<br />
iniziale (in effetti il corrispondente numeratore viene nullo perché è<br />
il determinante <strong>di</strong> una matrice con una riga nulla). La soluzione è perciò<br />
(x 1 , −x 1 , x 2 , −x 2 , 0) con x 1 , x 2 ∈ R.<br />
Un noto teorema assicura che l’insieme delle soluzioni <strong>di</strong> un dato sistema<br />
omogeneo (come questo) è un sottospazio. Nel nostro caso, sostituendo<br />
33
come <strong>di</strong> consueto alle x 1 , x 2 prima 1,0 e poi 0,1 otteniamo i due generatori<br />
(1, −1, 0, 0, 0) e (0, 0, 1, −1, 0). Essi non sono proporzionali e dunque<br />
sono lin. in<strong>di</strong>p. . Formano pertanto una base del sottospazio delle soluzioni.<br />
(continua)<br />
C5. Mostrare che la relazione τ, definita in R 3 da<br />
uτv ⇔ u − v ∈ S ,<br />
essendo S un fissato sottospazio 2-<strong>di</strong>mensionale, è <strong>di</strong> equivalenza. Descrivere<br />
poi le sue classi, cioè gli elementi del suo insieme quoziente.<br />
Soluzione. τ è riflessiva perché u − u = 0 ∈ S ∀u. È simmetrica perché<br />
se uτv allora v − u = −(u − v) che è l’opposto <strong>di</strong> un elemento <strong>di</strong> S, cioè<br />
u − v. Infine è transitiva perchè se uτvτz allora è vero che uτz; infatti<br />
u − z = (u − v) + (v − z) che, essendo la somma <strong>di</strong> due elementi <strong>di</strong> S,<br />
appartiene ancora a S.<br />
La classe <strong>di</strong> equivalenza [0] dell’elemento nullo, appunto 0, consiste <strong>di</strong><br />
tutti quei vettori v tali che v − 0 ∈ S, dunque consiste precisamente <strong>di</strong><br />
tutti gli elementi <strong>di</strong> S. Non sarebbe <strong>di</strong>fficile mostrare che, in generale, [z] è<br />
l’insieme <strong>di</strong> tutti i vettori ottenuti sommando z a un vettore qualunque <strong>di</strong> S.<br />
Geometricamente, la classe [0] è un piano passante per l’origine (appunto,<br />
il sottospazio S) mentre le altre classi sono i piani paralleli a S, ottenuti<br />
traslando S <strong>di</strong> un certo vettore z. Possiamo pensare ad una risma infinita <strong>di</strong><br />
fogli infinitamente vasti, eventualmente inclinata rispetto agli assi (la pendenza<br />
è proprio quella dettata da S).<br />
C6. Determinare tutti i valori reali del parametro k per i quali il seguente<br />
sistema ammette un’unica soluzione. Come si comporta il sistema negli altri<br />
casi? ⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪ ⎩<br />
2x − y + z + 1 = 0<br />
x + 2y − 3z = −3<br />
3y − kz + 3 = 0<br />
Soluzione. Imponendo che il determinante della matrice incompleta 3×3,<br />
associata a tale sistema, non sia nullo, otteniamo la con<strong>di</strong>zione k ≠ 21/5.<br />
(Osserviamo che tale valore <strong>di</strong> k è il solo a rendere le righe o le colonne della<br />
matrice linearmente <strong>di</strong>pendenti, per un noto teorema sui determinanti e la<br />
<strong>di</strong>pendenza lineare.)<br />
Nel caso in cui k = 21/5 il rango della matrice incompleta scende a 2<br />
(si consideri ad es. il minore 2 × 2 in alto a sinistra), ma anche quello della<br />
34<br />
.
matrice completa <strong>di</strong>venta 2 (quest’ultimo fatto si può <strong>di</strong>mostrare calcolando<br />
i 4 determinanti <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne 3 – non applicando ancora il teorema degli orlati<br />
o la riduzione a scala – oppure notando che le tre righe sono vettori <strong>di</strong> R 4<br />
lin. <strong>di</strong>p. poiché ad es. r 1 − 2r 2 + (5/3)r 3 = 0). Dunque per il teorema <strong>di</strong><br />
Rouché-Capelli esistono ∞ 1 soluzioni in questo caso, e il sistema ora descrive<br />
tre piani che si intersecano in una retta (piani <strong>di</strong> un fascio proprio, dunque)<br />
anziché tre piani che si intersecano in un punto. Al variare <strong>di</strong> k il terzo piano<br />
viene traslato finché, per k = 21/5, esso si posiziona in modo da includere in<br />
sé la retta nata dall’intersezione degli atri due piani fissi.<br />
C7. Utilizzare il metodo <strong>di</strong> Cramer, e successivamente quello <strong>di</strong> Gauss, per<br />
risolvere il seguente sistema. Descrivere lo spazio delle soluzioni, verificando<br />
in particolare se si tratta <strong>di</strong> un sottospazio.<br />
{<br />
a + 2b + 3c − 4d − 5e − 6f = 0<br />
.<br />
a + 2b − 3c − 4d − 5e − 6f = 0<br />
Soluzione. La matrice completa <strong>di</strong> tale sistema è<br />
(<br />
1 2 3 −4 −5 −6 ‖<br />
)<br />
0<br />
1 2 −3 −4 −5 −6 ‖ 0<br />
.<br />
Un suo minore 2 × 2 con determinante non nullo dovrà necessariamente contenere<br />
la terza colonna. Anzi, scegliendo la terza colonna e un’altra colonna<br />
qualsiasi della matrice incompleta, otteniamo un determinante non nullo.<br />
Possiamo perciò, ad es. , scegliere la prima e terza colonna e “parametrizzare”<br />
le quattro variabili non coinvolte, cioè b, d, e, f. Otteniamo dunque il<br />
nuovo sistema (ora parametrico):<br />
{<br />
a + 3c = −2b + 4d + 5e + 6f<br />
a − 3c = −2b + 4d + 5e + 6f<br />
.<br />
Risolvendolo con l’usuale metodo <strong>di</strong> Cramer (ci sarebbero certamente meto<strong>di</strong><br />
più efficaci, come quello della riduzione a scala, ma anche il metodo <strong>di</strong><br />
Cramer... ha il suo fascino) otteniamo le sestuple<br />
(−2b + 4d + 5e + 6f, b, 0, d, e, f) : b, d, e, f ∈ R<br />
che costituiscono in effetti un sottospazio (ce lo dovevamo aspettare, visto<br />
che il sistema era omogeneo). I generatori <strong>di</strong> tale sottospazio sono, ad es. ,<br />
35
(−2, 1, 0, 0, 0, 0), (4, 0, 0, 1, 0, 0), (5, 0, 0, 0, 1, 0), (6, 0, 0, 0, 0, 1) (abbiamo applicato<br />
il consueto metodo degli 0 e dell’1) e si ha che b(−2, 1, 0, 0, 0, 0) +<br />
d(4, 0, 0, 1, 0, 0)+e(5, 0, 0, 0, 1, 0)+f(6, 0, 0, 0, 0, 1) è proprio uguale alla generica<br />
sestupla descritta sopra (dunque siamo in presenza <strong>di</strong> un sottospazio –<br />
comunque era già sufficiente rendersi conto che il sistema è omogeneo). Ora<br />
non è <strong>di</strong>fficile verificare, attraverso un sistema, che tali generatori sono lin.<br />
in<strong>di</strong>p. e dunque costituiscono una base. Più velocemente, potremmo verificare<br />
che il rango della matrice 4×6, che li ha per righe, vale 4 (si considerino<br />
ad es. le colonne 2,4,5,6). La <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> tale sottospazio è perciò uguale<br />
a 4.<br />
C8. Utilizzare il metodo <strong>di</strong> Cramer, e poi invece la riduzione a scala, per<br />
risolvere il seguente sistema descritto succintamente con la notazione matriciale.<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 0 1 0<br />
2 1 0 2<br />
1 −1 −1 0<br />
0 0 1 −1<br />
⎞ ⎛<br />
⎟ ⎜<br />
⎠ ⎝<br />
x<br />
y<br />
z<br />
w<br />
⎞ ⎛<br />
⎟<br />
⎠ = ⎜<br />
⎝<br />
2<br />
0<br />
2<br />
1<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ .<br />
Soluzione. Il metodo <strong>di</strong> Cramer, piuttosto lungo, è comunque applicabile<br />
poiché il determinante non è nullo. Calcoliamo soltanto il valore della x, lasciando<br />
il resto al lettore. Sostituendo la colonna dei coefficienti al posto della<br />
prima colonna, e sviluppando i due determinanti lungo la seconda colonna<br />
(contiene infatti due zeri) si ha dunque:<br />
x =<br />
∣<br />
∣<br />
2 0 1 0<br />
0 1 0 2<br />
2 −1 −1 0<br />
1 0 1 −1<br />
1 0 1 0<br />
2 1 0 2<br />
1 −1 −1 0<br />
0 0 1 −1<br />
∣<br />
∣<br />
=<br />
∣<br />
∣<br />
2 1 0<br />
2 −1 0<br />
1 1 −1<br />
1 1 0<br />
1 −1 0<br />
0 1 −1<br />
+<br />
∣ ∣<br />
+<br />
∣ ∣<br />
2 1 0<br />
0 0 2<br />
1 1 −1<br />
1 1 0<br />
2 0 2<br />
0 1 −1<br />
∣<br />
= 2 2 = 1 .<br />
∣<br />
La soluzione completa è (1, −2, 1, 0).<br />
La riduzione a scala è molto più rapida e trasforma la matrice incompleta<br />
in una triangolare superiore con tutti numeri non nulli sulla <strong>di</strong>agonale<br />
(dunque abbiamo 4 piloni e cioè rango 4, il massimo; otterremo infatti una<br />
sola soluzione, dato che ∞ 4−4 = ∞ 0 ). Non dobbiamo creare parametri, e il<br />
classico proce<strong>di</strong>mento a ritroso permette poi <strong>di</strong> calcolare w, z, y, x.<br />
36
C9. Come si mo<strong>di</strong>fica (se si mo<strong>di</strong>fica) il determinante <strong>di</strong> una matrice se ogni<br />
sua riga viene moltiplicata per 5? E se solo una sua riga viene rimpiazzata<br />
dal triplo <strong>di</strong> un’altra riga?<br />
Soluzione. Per ogni riga mo<strong>di</strong>ficata, il nuovo determinante si quintuplica.<br />
Dunque se partiamo da una matrice n×n con determinante d, il determinante<br />
finale è 5 n d (notiamo che se d = 0 il determinante finale resta nullo). Un<br />
modo “elegante” per <strong>di</strong>mostrare la stessa proprietà è quello <strong>di</strong> moltiplicare la<br />
matrice iniziale, sia M, per la matrice R avente ogni elemento della <strong>di</strong>agonale<br />
principale uguale a 5, e zeri altrove. Poiché det(R) è, per una nota proprietà<br />
delle matrici triangolari, il prodotto degli elementi sulla <strong>di</strong>agonale, applicando<br />
il teorema <strong>di</strong> Binet otteniamo:<br />
det(MR) = det(M)det(R) = det(M) · 5 n .<br />
Nel secondo caso il determinante è uguale a zero, perché la nuova matrice<br />
ha almeno due righe linearmente <strong>di</strong>pendenti.<br />
C10. Dimostrare, con un ragionamento per assurdo, che se un sistema lineare<br />
omogeneo quadrato (cioè con matrice incompleta <strong>di</strong> tipo n × n) ammette<br />
autosoluzioni allora il determinante della sua matrice incompleta vale 0.<br />
Soluzione. Supponiamo per assurdo che, nelle date ipotesi, tale determinante<br />
non sia nullo. Allora applicando il teorema <strong>di</strong> Cramer deduciamo<br />
che il sistema ammette un’unica soluzione. D’altra parte, la soluzione nulla<br />
(cioè una n-upla <strong>di</strong> zeri) è una soluzione, dunque l’unica soluzione è proprio<br />
quella. Non c’è posto, perciò, per altre soluzioni, cioè per autosoluzioni.<br />
C11. Dimostrare che una matrice quadrata le cui righe sono linearmente<br />
<strong>di</strong>pendenti, ha determinante nullo.<br />
Soluzione. Considerando ciascuna riga come un vettore in R t , esprimiamo<br />
una generica matrice t × t così:<br />
⎛<br />
M =<br />
⎜<br />
⎝<br />
r 1<br />
r 2<br />
.<br />
.<br />
r t<br />
⎞<br />
.<br />
⎟<br />
⎠<br />
Ora per l’ipotesi del testo (usando anche un noto teorema <strong>di</strong> equivalenza tra<br />
due proprietà), una riga deve essere combinazione lineare delle altre. Senza<br />
37
ledere la generalità (come sarà chiaro in seguito) possiamo supporre che tale<br />
riga sia l’ultima. Avremo cioè<br />
r t = β 1 r 1 + β 2 r 2 + ... + β t−1 r t−1<br />
per certi coefficienti reali β i . Applicando ora una nota proprietà otteniamo:<br />
∣<br />
∣ ∣ ∣ ∣ ∣ ∣ ∣<br />
r 1<br />
∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ r 1 ∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ r 1 ∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ r 1 ∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣<br />
r 2<br />
r 2 r 2<br />
r 2<br />
.<br />
= β 1 . + β 2 . + ... + β t−1 . .<br />
.<br />
. .<br />
.<br />
β 1 r 1 + β 2 r 2 + ... + β t−1 r t−1 r 1 r 2 r t−1<br />
Per un altro noto teorema, ciascun determinante della somma a destra è nullo,<br />
poiché ciascuna matrice coinvolta ha due righe uguali. Dunque l’esercizio è<br />
concluso.<br />
C12. Determinare il rango delle seguenti matrici, usando tre meto<strong>di</strong>: determinanti<br />
e teorema degli orlati, ricerca <strong>di</strong> combinazioni lineari tra righe o tra<br />
colonne, riduzione a scala.<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 −3 0 2<br />
−2 1 2 4<br />
−1 −7 4 14<br />
1 7 −4 −14<br />
⎞<br />
⎛<br />
⎟<br />
⎠ , ⎜<br />
⎝<br />
1 2 1 3 −1<br />
1 3 1 4 −2<br />
1 −4 1 −3 5<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ .<br />
Soluzione. La riduzione a scala è un metodo veloce per in<strong>di</strong>viduare il<br />
rango e anche per rintracciare eventuali righe che siano combinazione lineare<br />
<strong>di</strong> altre righe. Partiamo dunque dal terzo metodo richiesto. Abbiamo:<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 −3 0 2<br />
−2 1 2 4<br />
−1 −7 4 14<br />
1 7 −4 −14<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠<br />
(r 2 → 2r 1 + r 2 )<br />
(r 3 → r 1 + r 3 )<br />
(r 4 → r 1 − r 4 )<br />
⇒<br />
⎛<br />
⇒ ⎜<br />
⎝<br />
1 −3 0 2<br />
0 −5 2 8<br />
0 −10 4 16<br />
0 −10 4 16<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠<br />
⎛<br />
(r 3 → 2r 2 − r 3 )<br />
(r 4 → 2r 2 − r 4 ) ⇒ ⎜<br />
⎝<br />
1 −3 0 2<br />
0 −5 2 8<br />
0 0 0 0<br />
0 0 0 0<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ ,<br />
38
da cui deduciamo che il rango vale 2 e che ciascuna delle ultime due righe si<br />
può ottenere come combinazione lineare delle prime due. Passiamo perciò al<br />
secondo metodo. Lo 0 nella prima riga ci aiuta a capire che r 3 = 2r 2 + 3r 1 ,<br />
mentre r 4 = −r 3 e quin<strong>di</strong> possiamo usare la medesima combinazione lineare<br />
ma con i segni cambiati. Infine, ora che conosciamo il rango e sappiamo che<br />
le prime due righe non sono proporzionali, consideriamo il minore 2 × 2 in<br />
alto a sinistra e orliamolo nei 4 mo<strong>di</strong> possibili, scegliendo una riga tra la<br />
terza e la quarta, e una colonna sempre tra la terza e la quarta. Otteniamo<br />
4 determinanti uguali a zero, per cui siamo certi che il rango vale 2.<br />
Un’osservazione: se non avessimo conosciuto il rango, avremmo fatto bene<br />
a usare il metodo degli orlati nel medesimo modo, cioè partendo da un minore<br />
2×2 e orlandolo. Se in uno dei 4 tentativi avessimo ottenuto un determinante<br />
non nullo, pazienza: avremmo poi calcolato il “mega-determinante” 4 × 4,<br />
per decidere se rango=3 o rango=4.<br />
C13. Utilizzare il metodo <strong>di</strong> Gauss, cioè la riduzione a scala, per affrontare<br />
il seguente sistema descritto succintamente con la notazione matriciale.<br />
⎛ ⎞<br />
x 1<br />
( )<br />
x 1 1 −1 1 −1<br />
2<br />
( )<br />
1 1 −1 1 −2<br />
x 3<br />
1 = .<br />
⎜ ⎟ 1<br />
⎝ x 4 ⎠<br />
x 5<br />
Soluzione. Si ha:<br />
(<br />
1 1 −1 1 −1 | 1<br />
1 1 −1 1 −2 | 1<br />
)<br />
(r 2 → r 2 − r 1 ) ⇒<br />
(<br />
1 1 −1 1 −1 | 1<br />
0 0 0 0 −1 | 0<br />
)<br />
.<br />
Ne segue che i ranghi delle matrici incompleta e completa valgono entrambi<br />
2 (si formano infatti due piloni in ciascuna matrice). Avremo dunque ∞ 3<br />
soluzioni che calcoliamo parametrizzando le variabili non relative ai piloni,<br />
cioè x 2 , x 3 , x 4 . Il nuovo sistema, equivalente a quello iniziale, è<br />
{<br />
x1 − x 5 = 1 − ξ 2 + ξ 3 − ξ 4<br />
.<br />
−x 5 = 0<br />
La sua soluzione generale, calcolata a ritroso partendo dall’ultima equazione,<br />
è (1 − ξ 2 + ξ 3 − ξ 4 , ξ 2 , ξ 3 , ξ 4 , 0), con ξ i ∈ R ∀i.<br />
39
C13bis. Utilizzare il metodo <strong>di</strong> Gauss per affrontare il seguente sistema<br />
descritto succintamente con la notazione matriciale.<br />
⎛ ⎞<br />
a<br />
( )<br />
b<br />
( )<br />
5 10 3 2 1<br />
2 4 2 3 2<br />
c<br />
0 = .<br />
⎜ ⎟ 3<br />
⎝ d ⎠<br />
e<br />
Soluzione. Si ha:<br />
(<br />
5 10 3 2 1 | 0<br />
2 4 2 3 2 | 3<br />
)<br />
(r 2 → 5r 2 − 2r 1 ) ⇒<br />
(<br />
5 10 3 2 1 | 0<br />
0 0 4 11 8 | 15<br />
)<br />
.<br />
Dunque il sistema ammette ∞ 3 soluzioni. Parametrizziamo le variabili non<br />
relative ai piloni, cioè b, d, e. Il nuovo sistema, equivalente a quello iniziale, è<br />
{<br />
5a + 3c = −10B − 2D − E<br />
.<br />
4c = −11D − 8E + 15<br />
La sua soluzione generale, calcolata a ritroso partendo dall’ultima equazione,<br />
è (−2B + (5/4)D + E − 9/4, B, (−11/4)D − 2E + 15/4, D, E), per ogni scelta<br />
dei numeri reali B, D, E.<br />
C14. Utilizzare la riduzione a scala per risolvere il seguente sistema. Dimostrare<br />
poi che esso descrive tre rette formanti un triangolo nel piano.<br />
⎛ ⎞<br />
⎛ ⎞<br />
1 1 ( ) 1<br />
⎜ ⎟ x ⎜ ⎟<br />
⎝ 1 −1 ⎠ = ⎝ 0 ⎠ .<br />
y<br />
2 −1<br />
1<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
Soluzione. Si ha:<br />
1 1 | 1<br />
1 −1 | 0<br />
2 −1 | 1<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ (r 2 → r 2 − r 1 ) ⇒<br />
1 1 | 1<br />
0 −2 | −1<br />
0 −3 | −1<br />
⎞<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 1 | 1<br />
0 −2 | −1<br />
2 −1 | 1<br />
⎟<br />
⎠ (r 3 → r 3 − 3/2r 2 ) ⇒<br />
40<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ (r 3 → r 3 − 2r 1 ) ⇒<br />
1 1 | 1<br />
0 −2 | −1<br />
0 0 | 1/2<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ .
Ne segue che il sistema non ammette soluzioni, poiché i piloni della matrice<br />
incompleta sono 2 mentre quelli della completa sono 3. Ciascuna delle tre<br />
equazioni descrive una retta nel piano, e i vettori <strong>di</strong>rettori delle tre rette<br />
(calcolabili ad es. come (−b, a)) sono a due a due non proporzionali. Siamo<br />
dunque in presenza <strong>di</strong> rette a due a due non parallele, e quin<strong>di</strong> a due a due<br />
incidenti, ma non incidenti in un punto comune a tutte e tre. I tre punti <strong>di</strong><br />
incidenza costituiscono il triangolo richiesto.<br />
C15. Utilizzare la riduzione a scala per risolvere il seguente sistema. Notare<br />
il “salto” <strong>di</strong> pilone dalla seconda alla quarta colonna.<br />
⎛ ⎞<br />
⎛<br />
⎞ x ⎛ ⎞<br />
3 0 1 0<br />
⎜<br />
⎟<br />
y<br />
1<br />
⎝ 2 1 0 2 ⎠ ⎜ ⎟<br />
⎝ z ⎠ = ⎜ ⎟<br />
⎝ 0 ⎠ .<br />
4 2 0 1<br />
0<br />
w<br />
Soluzione. Utilizziamo una riduzione a scala più generale, ammettendo<br />
anche sostituzioni con multipli della riga stessa (più le combinazioni lineari<br />
delle restanti righe). Operando in questo modo perturbiamo i determinanti<br />
dei minori ma preserviamo comunque l’informazione relativa ai ranghi (che<br />
è ciò che ci occorre effettivamente). Si ha dunque:<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⇒<br />
3 0 1 0 | 1<br />
2 1 0 2 | 0<br />
4 2 0 1 | 0<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎞<br />
3 0 1 0 | 1<br />
0 3 −2 6 | −2<br />
0 6 −4 3 | −4<br />
⎟<br />
⎠ (r 2 → 3r 2 −2r 1 ) ⇒<br />
⎞<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎟<br />
⎠ (r 3 → r 3 − 2r 2 ) ⇒<br />
3 0 1 0 | 1<br />
0 3 −2 6 | −2<br />
4 2 0 1 | 0<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
⎞<br />
3 0 1 0 | 1<br />
0 3 −2 6 | −2<br />
0 0 0 −9 | 0<br />
⎟<br />
⎠ (r 3 → 3r 3 −4r 1 )<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ .<br />
La variabile z corrisponde alla colonna senza pilone e dunque <strong>di</strong>viene parametro.<br />
Il nuovo sistema è ⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪ ⎩<br />
3x = 1 − t<br />
3y + 6w = −2 + 2t<br />
−9w = 0<br />
Ora la veloce risoluzione a ritroso dà w = 0 ⇒ y = −2/3 + (2/3)t e infine,<br />
in<strong>di</strong>pendentemente dai calcoli “a catena”, x = 1/3 − t/3. La quadrupla<br />
generica è quin<strong>di</strong><br />
(1/3 − t/3, −2/3 + (2/3)t, t, 0) , t ∈ R .<br />
41<br />
.
CC<br />
CC1. Determinare i valori del numero reale λ per i quali non è possibile<br />
applicare il teorema <strong>di</strong> Cramer al seguente sistema.<br />
⎧<br />
⎪⎨<br />
⎪⎩<br />
x + λy − z − 1 = 0<br />
2x + λz = 0<br />
3x + y = 1<br />
Discutere il sistema, per ciascun valore trovato. Successivamente, dopo aver<br />
notato che λ = 0 non è uno dei valori ottenuti, risolvere tale sistema ponendo<br />
appunto λ = 0, e utilizzando la regola <strong>di</strong> Cramer. Descrivere infine il<br />
significato geometrico delle entità rappresentate da ogni singola equazione, e<br />
le loro mutue posizioni.<br />
Soluzione. Dobbiamo trovare i valori eventuali <strong>di</strong> λ che annullano il<br />
determinante della matrice incompleta del sistema. Sviluppando tale determinante<br />
lungo la seconda colonna abbiamo:<br />
0 =<br />
∣<br />
1 λ −1<br />
2 0 λ<br />
3 1 0<br />
= −2(λ·0−(−1·1))−λ(1·1−λ·3) = −2−λ(1−3λ) = 3λ 2 −λ−2 .<br />
∣<br />
Le ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> questa equazione <strong>di</strong> secondo grado rispondono alla prima domanda;<br />
esse sono 1 e −2/3.<br />
Se λ = 1, utilizzando ad es. la riduzione a scala, otteniamo due piloni<br />
sia per la matrice incompleta che per la completa, quin<strong>di</strong> il sistema ammette<br />
∞ 1 soluzioni. Nel secondo caso, invece, compare un terzo pilone nell’ultima<br />
colonna, per cui non abbiamo soluzioni.<br />
Passiamo ora a risolvere il sistema ottenuto rimpiazzando λ con 0. Senza<br />
scriverlo per intero, analizziamo subito la matrice completa (che, come sempre,<br />
include la matrice incompleta A). Essa è<br />
A ′ =<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 0 −1 | 1<br />
2 0 0 | 0<br />
3 1 0 | 1<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ .<br />
Calcoliamo quin<strong>di</strong> i valori unici delle tre variabili, che formeranno un’unica<br />
terna (un’unica soluzione). Come ingre<strong>di</strong>ente, notiamo che det(A) = −2.<br />
1 0 −1<br />
1 1 −1<br />
1 0 1<br />
0 0 0<br />
2 0 0<br />
2 0 0<br />
∣ 1 1 0 ∣<br />
∣ 3 1 0 ∣<br />
∣ 3 1 1 ∣<br />
x =<br />
= 0 , y =<br />
= 1 , z =<br />
= −1 .<br />
−2<br />
−2<br />
−2<br />
42
Se il tempo non ci manca possiamo verificare che la soluzione (0, 1, −1) sod<strong>di</strong>sfa<br />
le tre equazioni. I calcoli sono lasciati al lettore.<br />
Ciascuna delle tre equazioni descrive un piano nello spazio. Il primo è<br />
parallelo all’asse delle y (tuttavia, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto avviene nel caso<br />
2-<strong>di</strong>mensionale, tale informazione non ci consente <strong>di</strong> conoscere con esattezza<br />
la sua pendenza). Similmente, possiamo <strong>di</strong>re con facilità che il terzo piano è<br />
parallelo all’asse delle z (quin<strong>di</strong>, se tracciamo tale asse verticalmente, il piano<br />
appare verticale, benché non parallelo agli altri due assi). Invece il secondo<br />
piano è proprio parallelo al piano π passante per gli assi delle y e delle z, anzi,<br />
poiché il termine noto è nullo tale piano è proprio π. L’esistenza e l’unicità<br />
della soluzione si traducono nell’esistenza <strong>di</strong> un unico punto <strong>di</strong> intersezione<br />
tra i tre piani. Infatti i primi due si intersecano in una retta che viene poi<br />
attraversata dal terzo piano, intercettando così un unico punto su tale retta.<br />
Per λ = 1 otteniamo tre piani <strong>di</strong> un unico fascio proprio, mentre per<br />
λ = −2/3 otteniamo due piani che si intersecano a in una retta, ma essa è<br />
parallela al terzo piano.<br />
CC2. Senza fare ricorso a calcoli con matrici <strong>di</strong>mostrare che, sotto l’ipotesi<br />
del determinante della matrice incompleta non nullo, un dato sistema lineare<br />
in due equazioni e due incognite ammette un’unica soluzione.<br />
Soluzione. Consideriamo un sistema<br />
{<br />
ax + by = c<br />
a ′ x + b ′ y = c ′ .<br />
Utilizziamo il metodo ingenuo della sostituzione (che nel caso 2 × 2 è spesso<br />
preferibile al metodo <strong>di</strong> Cramer, tanto quanto è preferibile girare in città<br />
con un’utilitaria piuttosto che con un fuoristrada. Ma davanti a una salita<br />
in campagna, o presso un litorale sabbioso, cambia tutto: “Cramer” o altri<br />
meto<strong>di</strong> possono dare il loro meglio, nei casi <strong>di</strong> sistemi più gran<strong>di</strong> e complicati).<br />
Supponendo che a ≠ 0 (se fosse zero, scegliendo un altro coefficiente il nostro<br />
ragionamento non cambierebbe) abbiamo che x = c/a − (b/a)y e quin<strong>di</strong><br />
(a ′ c)/a − (a ′ b/a)y + b ′ y = c ′ . Dunque,<br />
y = c′ − a′ c<br />
a<br />
b ′ − a′ b<br />
a<br />
e il denominatore della soluzione non è nullo perché, per ipotesi, ab ′ −<br />
a ′ b ≠ 0. Ecco dunque che questo strano oggetto chiamato determinante,<br />
43
ottenuto a partire dalla matrice incompleta, ha un ruolo “determinante” per<br />
la risoluzione del sistema. La y così trovata è ovviamente unica, perchè il calcolo<br />
che abbiamo svolto la determina senza alternativa. Sostituendo poi tale<br />
valore nella formula per la x, possiamo calcolare l’unico valore <strong>di</strong> quest’ultima<br />
incognita.<br />
CC3. Dimostrare che l’insieme delle combinazioni lineari <strong>di</strong> tre vettori fissati,<br />
in R 4 , è un sottospazio. La sua <strong>di</strong>mensione può essere predetta?<br />
Soluzione. La prima parte <strong>di</strong> questo esercizio tratta un caso particolare<br />
<strong>di</strong> un teorema generale che vale per qualunque numero <strong>di</strong> vettori e qualunque<br />
spazio R n (vedere l’es. D1). Siano v 1 , v 2 , v 3 tre vettori scelti arbitrariamente.<br />
La somma <strong>di</strong> due qualsiasi combinazioni lineari <strong>di</strong> questi vettori, cioè<br />
(hv 1 + iv 2 + jv 3 ) + (kv 1 + lv 2 + mv 3 ) è ancora una combinazione lineare <strong>di</strong><br />
tali vettori, essendo uguale a (h + k)v 1 + (i + l)v 2 + (j + m)v 3 . Dunque il<br />
primo test è stato superato con successo. Per quanto riguarda il prodotto<br />
con scalari, scegliamo s ∈ R a piacere e notiamo che s(hv 1 + iv 2 + jv 3 ) =<br />
(sh)v 1 + (si)v 2 + (sj)v 3 . Quin<strong>di</strong> anche il secondo test dà risposta affermativa:<br />
in definitiva, applicando le due operazioni a <strong>di</strong>sposizione, siamo rimasti<br />
all’interno dell’insieme in esame, per cui tale insieme è un sottospazio.<br />
Per quanto riguarda la <strong>di</strong>mensione, possiamo senza dubbio <strong>di</strong>re che essa<br />
non supera 3. Ma se i tre vettori iniziali sono linearmente <strong>di</strong>pendenti, magari<br />
perfino proporzionali, allora il rango della matrice che li ha come righe (e<br />
quin<strong>di</strong> la <strong>di</strong>mensione) scenderebbe a 2, magari perfino a 1.<br />
CC4. Uno solo dei seguenti tre insiemi è costituito da vettori linearmente<br />
in<strong>di</strong>pendenti in R 2 . Quale, e perché? Gli insiemi sono<br />
{(0, 0)} , {(0, 0), (0, 1), (1, 2)} , {(0, 1)} .<br />
Soluzione. Notiamo, con l’occasione, che gli insiemi possono contenere<br />
anche un solo elemento (come l’insieme dei docenti <strong>di</strong> geometria per ing.<br />
meccanica, primo anno, 2007, a Latina). Nel primo caso, una combinazione<br />
lineare non con tutti zeri (cioè non con lo zero) che <strong>di</strong>mostra la <strong>di</strong>pendenza<br />
lineare <strong>di</strong> 0 è ad es. 371 · 0. Nel secondo caso otteniamo, similmente, che<br />
371 · (0, 0) + 0 · (0, 1) + 0 · (1, 2) = (0, 0). Dunque i poveri (0, 1) e (1, 2),<br />
nonostante formino perfino una base, a causa dello 0 vengono coinvolti in<br />
una <strong>di</strong>pendenza lineare non con tutti gli scalari nulli. Infine, (0, 1) è linearmente<br />
in<strong>di</strong>pendente perché se vogliamo renderlo nullo con uno scalare, se cioè<br />
vogliamo che s(0, 1) = (0, 0), l’unico s che possiamo usare è lo zero.<br />
44
CC5. Data la retta r definita me<strong>di</strong>ante la forma parametrica (x, y) = (3 +<br />
5t, −2t), verificare che uno solo dei punti (−7, 4), (−6, 5) appartiene a r.<br />
Soluzione. Non <strong>di</strong>sponendo della forma cartesiana, non possiamo applicare<br />
il facile test della sostituzione. Riguardo al primo punto, affinché esso<br />
appartenga a r è necessario che −7 = 3 + 5t, quin<strong>di</strong> che t = −2. Ora in effetti<br />
sostituendo tale valore nella seconda componente otteniamo 4; dunque<br />
la risposta è affermativa. Il medesimo ragionamento <strong>di</strong>mostrerebbe che il<br />
secondo punto è invece esterno a r. Alternativamente, potremmo <strong>di</strong>mostrare<br />
la sua non appartenenza notando che il vettore (−6 + 7, 5 − 4) ( =(1,1) )<br />
definito dai due punti non è proporzionale (dunque non è parallelo) a un<br />
vettore <strong>di</strong>rezionale <strong>di</strong> r, cioè (5, −2), facilmente calcolabile a partire dalla<br />
forma parametrica.<br />
CC6. (“viceversa” dell’es. C10) Dimostrare che un sistema lineare omogeneo<br />
quadrato (cioè con matrice incompleta <strong>di</strong> tipo n × n) ammette autosoluzioni<br />
se il determinante della sua matrice incompleta vale 0.<br />
Soluzione. In qualunque sistema omogeneo la matrice incompleta ha lo<br />
stesso rango, sia esso p, della completa, ad es. perché la presenza <strong>di</strong> una<br />
colonna finale fatta <strong>di</strong> zeri non può certo aumentare il numero <strong>di</strong> colonne<br />
linearmente in<strong>di</strong>pendenti. Per il teorema <strong>di</strong> Rouché-Capelli, il sistema ammette<br />
∞ n−p soluzioni, e nel nostro caso p è minore <strong>di</strong> n per ipotesi, dunque<br />
esistono infinite soluzioni <strong>di</strong>verse da quella nulla.<br />
CC7. Calcolare, dove ciò sia possibile, le matrici inverse delle seguenti matrici:<br />
(<br />
1 2<br />
0 −3<br />
)<br />
,<br />
(<br />
1 2<br />
)<br />
−5 −10<br />
,<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 2 3<br />
0 −3 1<br />
1 1 1<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ ,<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 0 0 0<br />
0 −3 0 0<br />
0 0 5 0<br />
0 0 0 1000<br />
Soluzione. La seconda matrice non ammette inversa poiché il suo determinante<br />
è nullo. Per trovare l’inversa dell’ultima matrice possiamo evitare<br />
la formula classica. Infatti le matrici <strong>di</strong>agonali generalizzano in modo e-<br />
lementare i numeri reali, poiché il prodotto tra due matrici <strong>di</strong>agonali è la<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠<br />
45
matrice <strong>di</strong>agonale che reca i rispettivi prodotti. Le tre matrici inverse sono:<br />
(<br />
1<br />
2<br />
3<br />
0 − 1 3<br />
)<br />
,<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
− 4 7<br />
1<br />
1<br />
7<br />
11<br />
7<br />
7<br />
− 2 7<br />
− 1 7<br />
3<br />
7<br />
1<br />
7<br />
− 3 7<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠ ,<br />
⎛<br />
⎜<br />
⎝<br />
1 0 0 0<br />
0 − 1 3<br />
0 0<br />
0 0<br />
1<br />
5<br />
0<br />
0 0 0<br />
1<br />
1000<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎠<br />
CC8. Calcolare equazioni cartesiane della retta passante per (8, 0, 6) e (1, −1, 6).<br />
Soluzione. La matrice da cui “preleveremo” due minori opportuni è<br />
(<br />
x − 8 y − 0 z − 6<br />
8 − 1 0 − (−1) 6 − 6<br />
)<br />
=<br />
(<br />
x − 8 y z − 6<br />
7 1 0<br />
Poiché la seconda riga contiene uno zero, due dei tre minori daranno luogo<br />
a formule proporzionali, quin<strong>di</strong> non possiamo sceglierli simultaneamente.<br />
Consideriamo perciò, ad es. , i due minori laterali. Otteniamo il sistema<br />
x−8−7y = 0 ∧ −(z−6) = 0, cioè la retta <strong>di</strong> equazioni x−7y−8 = 0 = z−6.<br />
CC9. Dire se un sistema lineare <strong>di</strong> tre equazioni in tre incognite può essere<br />
interpretato come l’intersezione <strong>di</strong>: tre rette; tre piani; due piani e una<br />
retta; una retta e un piano. Un sistema <strong>di</strong> quattro equazioni in tre incognite<br />
rappresenta l’intersezione <strong>di</strong> quattro rette?<br />
Soluzione. Una sola equazione rappresenta un piano, due equazioni una<br />
retta (purché i due relativi piani non siano paralleli o coincidenti, cioè le due<br />
equazioni senza termini noti non siano proporzionali). Dunque nel primo<br />
caso abbiamo tre piani, oppure abbiamo una retta e un piano (purché il<br />
rango della matrice incompleta sia, appunto, almeno 2). Nel secondo caso le<br />
rette in questione sono due, non quattro (oppure abbiamo quattro piani, o<br />
infine una retta e due piani).<br />
)<br />
.<br />
D - Esercizi con <strong>di</strong>mostrazione<br />
D1. Dimostrare che, fissato un intero positivo n, l’insieme delle combinazioni<br />
lineari <strong>di</strong> un dato insieme non vuoto S ⊆ R n è un sottospazio.<br />
Soluzione. Siano a 1 v 1 + a 2 v 2 + ... + a g v g e b 1 w 1 + b 2 w 2 + ... + b h w h<br />
due elementi <strong>di</strong> 〈S〉, cioè due combinazioni lineari ottenute con vettori {v i },<br />
{w j } <strong>di</strong> S. Allora, ovviamente, la somma <strong>di</strong> questi due elementi è ancora<br />
46
una combinazione lineare in S (quando si presentassero ripetizioni <strong>di</strong> vettori,<br />
cioè se ∃i, j: v i = w j , sommeremmo i relativi coefficienti, a i e b j ). Poi,<br />
moltiplicando il primo elemento per uno scalare qualsiasi, λ, otteniamo (<strong>di</strong>stribuendo)<br />
λa 1 v 1 + λa 2 v 2 + ... + λa g v g , che è <strong>di</strong> nuovo un elemento <strong>di</strong> 〈S〉.<br />
Dunque l’insieme richiesto è un sottospazio.<br />
D2. Utilizzando il teorema secondo cui una matrice con due righe uguali ha<br />
determinante nullo, e il teorema <strong>di</strong> multilinearità del determinante (vedere<br />
anche l’es. C11), <strong>di</strong>mostrare che scambiando due righe <strong>di</strong> una data matrice,<br />
M, il determinante della matrice ottenuta, N, è l’opposto <strong>di</strong> det(M).<br />
Mostrare poi, con un controesempio, che il viceversa <strong>di</strong> questa proprietà non<br />
vale.<br />
Soluzione. Siano i e j gli in<strong>di</strong>ci delle righe in questione; in<strong>di</strong>cheremo tali<br />
righe con r i e r j . Sia ora R la matrice ottenuta rimpiazzando sia r i che r j con<br />
r i +r j . Applicando il noto teorema, sopra ricordato, abbiamo che det(R) = 0.<br />
Prima <strong>di</strong> procedere con i calcoli denotiamo con I la matrice ottenuta da M<br />
rimpiazzando r j con r i + r j , e con J la matrice ottenuta ulteriormente da I<br />
rimpiazzando r i con r j . Denotiamo infine con II e JJ le matrici che hanno<br />
la i-esima e j-esima riga uguali rispettivamente a r i e r j . Applicando la<br />
linearità <strong>di</strong> det su ogni riga fissata, abbiamo dunque che det(R) = det(I) +<br />
det(J) = (det(II)+det(M))+(det(N)+det(JJ)) = 0+det(M)+det(N)+0.<br />
Ricordandoci che det(R) = 0 otteniamo che det(M) = −det(N).<br />
Come controesempio possiamo scegliere una matrice M che abbia determinante<br />
non nullo, e costruiamo poi N semplicemente moltiplicando una riga<br />
<strong>di</strong> M per −1. Il determinante infatti “si accorge” <strong>di</strong> questa mo<strong>di</strong>fica e <strong>di</strong>venta<br />
<strong>di</strong> segno opposto per una nota proprietà – che è in effetti un caso particolare<br />
della linearità. Ma N non si può ottenere scambiando alcuna coppia <strong>di</strong> righe<br />
<strong>di</strong> M (notare che qualsiasi riga si scelga, non c’è il rischio che essa sia nulla...<br />
perché?).<br />
G - Altri esercizi<br />
G1. Scrivere l’equazione canonica della circonferenza <strong>di</strong> centro A = (8, 5) e<br />
<strong>di</strong> raggio 4. Scrivere poi la sua nuova equazione a seguito <strong>di</strong> una rotazione<br />
(degli assi) <strong>di</strong> 60 gra<strong>di</strong> in senso antiorario.<br />
Soluzione. Per la prima equazione otteniamo: (x − 8) 2 + (y − 5) 2 = 4 2 ,<br />
cioè x 2 + y 2 − 16x − 10y + 73 = 0. Per ricavare la seconda equazione ragioniamo<br />
in due mo<strong>di</strong>. Primo modo: utilizziamo la matrice del cambiamento<br />
47
<strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate dai vettori (1/2, √ 3/2), (− √ 3/2, 1/2) ai vettori “canonici” i, j .<br />
Abbiamo:<br />
( ) (<br />
x<br />
1<br />
− √ ) ( ) {<br />
3<br />
= √2 2 X x =<br />
1<br />
y<br />
3<br />
⇔<br />
X − √ 3<br />
Y<br />
2 2<br />
1 Y<br />
y = √ 3<br />
X + 1Y<br />
2 2<br />
2 2<br />
Sostituendo tali relazioni nella vecchia equazione, otteniamo:<br />
( √ ) 2 (√<br />
1 3 3<br />
2 X − 2 Y +<br />
2 X + 1 ) 2 ( √ ) (√<br />
1 3<br />
3<br />
2 Y −16<br />
2 X − 2 Y −10<br />
2 X + 1 )<br />
2 Y +73 = 0<br />
La sistemazione <strong>di</strong> questa lunga equazione è certamente un’ottima palestra<br />
dal punto <strong>di</strong> vista dei calcoli. Noi però passiamo al secondo modo, più <strong>di</strong>retto,<br />
ma non senza qualche calcolo. È sufficiente conoscere le nuove coor<strong>di</strong>nate del<br />
centro; infatti da ciò seguirebbe la costruzione della nuova equazione, similmente<br />
a quanto fatto all’inizio. Tuttavia, la matrice a nostra <strong>di</strong>sposizione<br />
non è adatta al cambio <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate che desideriamo. Infatti vogliamo una<br />
legge che trasformi le coor<strong>di</strong>nate (x, y) nelle nuove coor<strong>di</strong>nate (X, Y ), non il<br />
contrario. Possiamo ora ragionare in due mo<strong>di</strong>, anzi in tre: o costruiamo una<br />
nuova matrice, ponendo in colonna le coor<strong>di</strong>nate dei vettori canonici rispetto<br />
ai nuovi vettori (qui dovremmo risolvere un sistema), oppure utilizziamo<br />
un’importante proprietà: la matrice che cerchiamo è l’inversa <strong>di</strong> quella che<br />
abbiamo calcolato prima (in effetti, poi, tale inversa coinciderà ad<strong>di</strong>rittura<br />
con la trasposta, molto più facile da ottenere; ciò accade perché i due vettori<br />
sono sia ortogonali che <strong>di</strong> lunghezza 1 – cioè versori. Se i versori non<br />
fossero ortogonali, o se non fossero versori, resterebbe comunque valido l’uso<br />
dell’inversa); o infine, molto più semplicemente, risolviamo un sistema “ad<br />
hoc” per trovare le nuove coor<strong>di</strong>nate <strong>di</strong> A, senza passare per la matrice del<br />
cambiamento <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (se occorre soltanto un paio <strong>di</strong> lacci non conviene<br />
comprare un paio <strong>di</strong> scarpe aventi quei lacci – anche se, in effetti, le nuove<br />
scarpe potrebbero risultare utili in altre occasioni...):<br />
( √ ) ( √<br />
1 3<br />
3<br />
(8, 5) = α<br />
2 , + β −<br />
2<br />
2 , 1 )<br />
,<br />
2<br />
dunque α − β √ 3 = 16 e α √ 3 + β = 10, da cui segue che α = 4 + 5 √ 3/2,<br />
β = 5/2 − 4 √ 3. L’equazione richiesta è dunque (X − α) 2 + (Y − β) 2 = 16,<br />
ecc. .<br />
48
Utilizzando la proprietà della trasposta avremmo ottenuto:<br />
(<br />
α<br />
β<br />
)<br />
( 1<br />
=<br />
2<br />
− √ 3<br />
2<br />
√<br />
3<br />
2<br />
1<br />
2<br />
) (<br />
8<br />
5<br />
)<br />
=<br />
(<br />
4 + 5<br />
√<br />
3/2<br />
5/2 − 4 √ 3<br />
G2. Determinare il centro del fascio <strong>di</strong> rette <strong>di</strong> equazione (λ − 3µ)x − 3µy +<br />
2λ − µ = 0, ed equazioni cartesiane dell’asse del fascio <strong>di</strong> piani <strong>di</strong> equazione<br />
(λ − 3µ)x − 3µy + µz + 2λ − µ = 0.<br />
Soluzione. Possiamo ad es. separare l’equazione “<strong>di</strong> pertinenza <strong>di</strong> λ”<br />
da quella relativa a µ. Infatti tali equazioni rappresentano ciascuna una<br />
precisa retta del fascio; quin<strong>di</strong>, nel primo caso, se troviamo la loro intersezione<br />
abbiamo in effetti trovato il centro del fascio. Dunque, si ha:<br />
)<br />
.<br />
λ(x + 2) + µ(−3x − 3y − 1) = 0 −→<br />
{<br />
x + 2 = 0<br />
−3x − 3y − 1 = 0<br />
La soluzione <strong>di</strong> tale sistema è (−2, 5/3). Osserviamo che, giustamente, tale<br />
coppia annulla qualsiasi equazione del fascio, a prescindere da λ e µ. Nel<br />
secondo caso il lavoro è ancora più semplice: basta separare le due equazioni,<br />
come prima, e... fermarsi lì. Infatti l’asse è una retta nello spazio, e per<br />
descriverla non possiamo <strong>di</strong>re più <strong>di</strong> ciò che le due equazioni <strong>di</strong>cono. In<br />
effetti, tuttavia, potremmo calcolare equazioni parametriche <strong>di</strong> tale asse –<br />
risolvendo il sistema me<strong>di</strong>ante un parametro.<br />
G3. Data la retta r <strong>di</strong> equazioni x − y − 3 = x + 2z − 5 = 0, calcolare<br />
le proiezioni ortogonali su r (secondo le x crescenti) dei vettori (1, 2, 5) e<br />
(1, 1, 4).<br />
Soluzione. Calcoliamo per prima cosa il versore <strong>di</strong> r avente prima componente<br />
positiva. Utilizzando la classica formula otteniamo il vettore (−2, −2, 1).<br />
Cambiando segno e normalizzando, otteniamo il versore (2/3, 2/3, −1/3).<br />
Ora le rispettive proiezioni sono (1, 2, 5)×(2/3, 2/3, −1/3) = 1/3 e (1, 1, 4)×<br />
(2/3, 2/3, −1/3) = 0. In particolare, il secondo vettore risulta perpen<strong>di</strong>colare<br />
a r (questo potevamo capirlo anche senza normalizzare).<br />
Notiamo che non abbiamo fatto uso dei termini noti delle due equazioni.<br />
49