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A cura di
Lorenzo Borghini
Il cinema
a casa
Tokyo Godfathers
Il romanzo sociale di Satoshi Kon
di Lorenzo Borghini
Due barboni, una ragazza scappata di casa e una neonata
abbandonata. Questi i protagonisti del terzo
lungometraggio di Satoshi Kon. Il teatro della vicenda
è una Tokyo innevata, durante le vacanze di Natale, in una
settimana che pare non finire mai. Gin è il tipico senzatetto
ridotto sul lastrico per guai economici, affoga i suoi problemi
nell’alcool e ricorda con nostalgia una vita che non gli
appartiene più. Hana è un transessuale allegro e senza peli
sulla lingua, che, nonostante i numerosi problemi, crede ancora
che la speranza sia l’ultima a morire. Miyuki è scappata
di casa da circa sei mesi, testarda e scontrosa si rifiuta di
tornare a causa delle sue azioni. Il loro “regalo di Natale” sarà
una bambina trovata tra i rifiuti, una luce che illuminerà le loro
vite dandogli uno scopo: ritrovare i genitori della piccola.
In Tokyo Godfathers, Satoshi Kon decide di adattare una delle
sceneggiature più usate del cinema hollywoodiano: I tre
padrini di Peter Kyne, trasposto nel ’48 anche da John Ford.
Kon, da buon cinefilo sapiente, decide di ribaltare la morale
evangelica di Ford, dando vita ad un penetrante ritratto di un
Giappone moderno e notturno. Dal modello americano prende
l’idea di una grazia che bacia le buone intenzioni e, nonostante
le avversità, conduce all’amorevole obiettivo. Dall’altra
parte, invece, la meschinità abietta di un
mondo moderno spietato, e un lieto fine
che tanto lieto non è, ma che appare
come una tregua dopo la tempesta,
priva di quel senso di pace e durevolezza.
I personaggi di Tokyo Godfathers sono
dei perdenti per antonomasia, anime
ferite che si barcamenano tra le pagine
amare della vita. Il ritrovamento della
piccola gli conferisce una speranza,
una luce che rischiara il grigiore delle loro
esistenze. Il riscatto, anche se parziale,
può avvenire, “basta solo” ritrovare i
genitori in una delle metropoli più popolose
al mondo. Satoshi Kon conferisce
ai suoi protagonisti uno spessore degno
dei romanzi di Dickens, perché il regista
nipponico è sempre stato attento alle
dinamiche sociali, dando respiro a quel
sottobosco metropolitano che tanto lo
affascina e fa riflettere. Pregno di citazioni,
Tokyo Godfathers strizza l’occhio
anche al Padrino, con un matrimonio tra
mafiosi che ci ricorda il capolavoro di
Coppola, ma allo stesso tempo guarda
anche verso Satoshi Kon stesso, quando
Gin incontra il presunto padre della
bambina e sopra un tavolo si può vedere
un giornale con una foto delle Cham,
il trio di idol di Perfect Blue, film d’esordio
del regista a cui rimarrà sempre legato.
Satoshi Kon, nonostante la sua
prematura dipartita, insieme a Katsuhiro
Ōtomo, Isao Takahata e Hayao Miyazaki,
entra a pieno titolo in quella schiera
di registi che hanno saputo elevare l’animazione
da semplice strumento per
bambini a forma d’arte intramontabile
che regge il passo coi tempi.
TOKYO GODFATHERS
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