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Renzo Penna
La Storia siamo noi
di Mariano G. Santaniello*
I decenni compresi tra gli anni ’60 e gli ’80 del secolo scorso definirono senza
dubbio una stagione dirompente e straordinaria per l’evoluzione delle dinamiche
sociali nel mondo. È noto che quegli anni segnarono il definitivo affermarsi tra i
popoli del cosiddetto Terzo Mondo del principio di autodeterminazione che si esplicitò
con le lotte per la decolonizzazione e l’indipendenza di nuovi Stati. Nel mondo
occidentale, sviluppato e capitalistico, si conobbe una stagione di non comune fermento
sociale e culturale che vide un’intera generazione di giovani contestare, radicalmente
e profondamente, un sistema elitario, gerarchico e ingessato. Alcuni
Paesi d’oltre cortina promossero e attuarono importanti innovazioni sperimentali
del “socialismo reale”, innovazioni che si rivelarono rapidamente tanto entusiastiche
e vivaci quanto fragili e velleitarie, concludendosi con esiti anche drammatici, ma
che aprirono una breccia nel monolitismo del sistema sovietico che condusse, nell’arco
di pochi anni, alla caduta del Muro e di quei regimi autoritari. Il movimento
delle donne compì grandi passi in avanti, sviluppando una diffusa consapevolezza
collettiva che condusse ad innovative istanze sociali e alla conquista di maggiori
diritti, nella ricerca di una effettiva parità di genere e di un maggior coinvolgimento
delle donne nella società.
Ma in Italia la vera protagonista di quella stagione fu la classe operaia con i suoi
organismi rappresentativi ovvero il sindacato, nelle sue varie declinazioni e sensibilità,
ed i partiti e le associazioni che costituivano il movimento operaio. La vitalità,
l’entusiasmo, la forza di quegli anni furono le lotte e le battaglie che questi soggetti
seppero condurre per migliorare le condizioni salariali, implementare i diritti sociali
e civili, rafforzare la capacità di rappresentanza nelle dinamiche contrattuali non
solo con le parti datoriali; ciò fu possibile grazie al ruolo centrale che la classe operaia
seppe ritagliarsi nelle dinamiche sociali ed economiche. Sono di quegli anni le
grandi lotte operaie che portarono il movimento ad accrescere la propria funzione
nello svolgere un ruolo concretamente pro-attivo nella società italiana. Ciò avvenne
grazie alla capacità del movimento operaio di saper formare e far crescere al proprio
interno una nuova classe dirigente, espressione reale di quelle componenti sociali
che si rappresentavano. Una classe dirigente che sapeva interpretare i nuovi bisogni
e le nuove istanze sociali che la tumultuosa crescita economica dei primi decenni
della neonata Repubblica Italiana aveva saputo mettere in atto. Spesso questa nuova
classe dirigente era costituita da giovani operai, da impiegati tecnici e amministrativi
impegnati nelle fabbriche che utilizzarono, per crescere e formarsi, quella straordinaria
palestra di democrazia che è stato sempre il sindacato dei lavoratori. Attraverso
l’istituto sindacale quella generazione di quadri seppe costruire una propria cultura
politica e valoriale, ricca di competenze e di umanità, di relazioni e di paziente disposizione
all’esercizio della mediazione e della sintesi.
Tra coloro che costituivano questa nuova classe dirigente c’era anche Renzo
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