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Renzo Penna

Piazza Fontana: gli anarchici bersaglio dell’eversione

Due settimane dopo la grande manifestazione dei metalmeccanici a Roma, venerdì

12 dicembre 1969, alle 16,30, scoppiano le bombe che cambiano la storia del

Paese. Un attentato terroristico semina la morte nei locali della Banca dell’Agricoltura,

in piazza Fontana, a Milano. Un’orrenda strage, una carneficina. In 17 perderanno

la vita e oltre 40 persone risulteranno gravemente ferite. A rendere più grave

il quadro, anche se solo l’ordigno di piazza Fontana uccide, l’organizzazione quasi

simultanea di cinque attentati tra Milano e Roma contribuisce ad accrescere l’allarme

poiché rivela l’esistenza di una rete criminale estesa ed efficiente. Dalla fine

della Seconda guerra mondiale non accadeva un simile massacro di cittadini inermi

e senza alcuna rivendicazione. L’impressione nella popolazione è fortissima come

testimonierà, tre giorni dopo, la partecipazione di massa ai funerali delle vittime nel

Duomo di Milano; funerali trasmessi dalla televisione di Stato. La strage di piazza

Fontana segna una cesura nella storia dell’ancor giovane Italia repubblicana. Secondo

Benedetta Tobagi, che ha a lungo indagato sull’attentato e seguito l’interminabile

processo, rappresenta: “La madre di tutte le stragi in quanto inaugura la

stagione delle bombe neofasciste e, insieme, la madre degli anni bui perché costituì

uno dei detonatori dell’escalation del terrorismo di sinistra negli anni successivi”. 31

Le indagini, anziché rivolgersi agli ambienti della destra eversiva già allora conosciuti,

vennero indirizzate fra i gruppuscoli dell’estrema sinistra e gli anarchici.

Da qui l’arresto di Pietro Valpreda e la tragica fine negli uffici della questura, mai

del tutto chiarita, dell’incolpevole anarchico Giuseppe Pinelli.

Gli operai in Piazza Duomo a difesa della democrazia

Antonio Pizzinato - in quegli anni Segretario generale della FIOM di Sesto San

Giovanni - ha ricordato come l’opportunità della proclamazione dello sciopero generale

provinciale in occasione dei funerali delle vittime sia stata molto dibattuta

sia all’interno del sindacato che con le forze democratiche. Alla fine, prevalse la determinazione

unitaria dei metalmeccanici di manifestare contro l’eversione neofascista,

le stragi e in difesa della democrazia. Così, secondo Pizzinato, il 15 dicembre

1969, durante la cerimoniafunebre celebrata in Duomo: “Centinaia di migliaia di

lavoratori e cittadini presidiano silenziosi la Piazza e le vie percorse dal corteosino

al Castello Sforzesco ed oltre. La giornata è buia, nebbiosa,plumbea e triste, ma il

mondo del lavoro, la classe operaia con fermezza e unità sono presenti in forze e

costruiscono una barriera indifesa della democrazia, delle istituzioni, contro il neofascismo

e ilterrorismo”. 32

La civiltà e la compostezza di quella piazza piena di operai, senza striscioni e

bandiere, fu, probabilmente, decisiva anche per superare le ultime resistenze di Federmeccanica

e per siglare, prima di Natale, il contratto con i privati.

Se i successi contrattuali dell’autunno 1969 diedero impulso al processo di unità

organica del sindacato, le bombe di Milano misero in evidenza le forze e i collegamenti

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