lavorovalore
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Renzo Penna
Il lavoro e la condizione operaia
Sono stati, quelli del corso all’Alfa, otto mesi davvero intensi che ho vissuto con
impegno e partecipazione. Accanto all’interesse per gli aspetti tecnici e della produzione
per me, fondamentale, è stato l’incontro con il lavoro e la condizione operaia
della grande fabbrica.
Con il calore e le temperature presenti nelle fonderie, il rumore delle enormi
presse Berchet che forgiavano a caldo gli alberi a camme responsabili della distribuzione
nei veicoli industriali, i grandi capannoni con centinaia di trance, presse,
macchine utensili in funzione e altrettanti operai all’opera, gli oli lubrificanti che
impregnavano il pavimento dei reparti al di sotto delle macchine, le matasse di trucioli
fumanti nei cassoni, i vapori nell’aria e, a lato dell’operatore, il tecnico con il
cronometro che rilevava modalità e tempi delle fasi di lavoro utili a definire i rendimenti
per il cottimo. E ancora con i lavoratori, tutti molto giovani e assunti di recente,
lungo la linea della verniciatura e le catene di montaggio di Arese, dove con grandi
pinze si assemblava la scocca, si montavano i motori e gli interni della vettura, ripetendo
sempre gli stessi movimenti.
Costoro, pensavo io, invece di riposarsi come avrebbero potuto, utilizzavano i
pochi minuti delle pause programmate con il fermo della catena per giocare a carte,
divisi in squadre. Quasi a ricercare uno spazio autonomo e di gruppo per rifuggire
da un lavoro e da un contesto oppressivo: il modello taylorista della grande fabbrica
fordista, che negava ogni espressione e apporto personale.
Un incontro che per me, allora avevo 19-20 anni e non venivo da una famiglia
politicamente impegnata, ha deciso da quale parte stare e per chi propendere e parteggiare
nelle future scelte, lungo tutto il corso della vita.
Lo stabilimento ALFA del “Portello” nel 1910 (Alfa Romeo Notizie, 1969)
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