lavorovalore
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
Renzo Penna
Più avanti avrei appreso che, specie in una grande fabbrica, l’insoddisfazione per il
proprio lavoro, per carenza di autonomia e responsabilizzazione, allignava anche
tra gli impiegati. Ma era di diversa natura e non riguardava certo l’intensità, la fatica
e l’oppressione cui era soggetto l’operaio, vincolato ai ritmi della catena e ai tempi
della retribuzione a cottimo. Anzi, per certi versi, era il contrario.
Dopo alcuni lavori di routine mi fu affidata la realizzazione del libretto di manutenzione
di una nuova vettura, la “1750”, una berlina, in seguito diventata “2000”,
prodotta dalla casa milanese tra il 1968 e il 1977. L’archivio nel quale, secondo le
necessità, ci si recava per rilevare e consultare i disegni dei diversi particolari dell’auto
si trovava in un settore dello stabilimento piuttosto distante dal mio ufficio;
così capitava, lungo il tragitto, di incontrare o passare a salutare i colleghi del corso
che lavoravano in altre direzioni. Il posto di lavoro di Salvatore si trovava, ricordo,
in un grande salone della divisione motori, pieno di tecnigrafi allineati. Insomma
nella gestione dell’orario di lavoro gli impiegati del Portello godevano di una certa
libertà. Alla costruzione e stesura del libretto “d’uso e di manutenzione” della nuova
berlina - presentata ufficialmente al pubblico al Salone dell’automobile di Bruxelles
nel gennaio 1968 - mi dedicai con impegno e cura, completando il lavoro in anticipo
sui tempi preventivati. Cosa che, però, non fu per nulla giudicata positiva da alcuni
colleghi. In particolare Bepi, uno degli impiegati più anziani che aveva la scrivania
proprio dietro la mia, mi fece notare che il mio modo di lavorare stava creando dei
problemi e metteva in discussione, per quel determinato tipo di lavoro, procedure e
tempi consolidati. Così mi adeguai posticipando di una decina di giorni la consegna
della bozza del nuovo libretto al capoufficio. Un lavoro che, comunque, venne apprezzato
dalla direzione e mi procurò anche un aumento di stipendio di circa diecimila
lire. La diversità di stato e condizione degli impiegati, tradizionalmente, si
manifestava anche nella loro minore partecipazione agli scioperi e alle rivendicazioni
sindacali. Ma, specie tra i giovani, qualcosa stava cambiando. Insieme ai due
colleghi già operai – entrambi accesi tifosi interisti, mentre a me, che arrivavo dalla
città di Gianni Rivera, era concesso di tenere per il Milan – ho partecipato a tutti gli
scioperi. In particolare, nel maggio del ’68, al grande sciopero unitario dei metalmeccanici
milanesi contro l’autoritarismo padronale e “per la libertà, la dignità e la
sicurezza sul luogo di lavoro”, come era scritto nell’appello dei tre sindacati. 49 E il
10 aprile 1969 allo sciopero generale deciso per protestare contro l’eccidio di Battipaglia.
50 Così come sono stato presente alle prime affollate assemblee di fabbrica
degli impiegati quando, nel dicembre 1968, all’Alfa Romeo venne firmato l’accordo
che, insieme ad un aumento salariale, conteneva il diritto sindacale all’assemblea.
Il paesaggio milanese durante il 1969 “è fatto di scioperi, serrate, ma soprattutto
cortei, che partono dalla cintura industriale per convergere verso il centro; le tute
da lavoro, quelle blu dei meccanici e quelle bianche degli operai Pirelli, sono portate
con molto orgoglio. Vestirsi da operaio diventa una moda”. 51
50