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lavorovalore

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Renzo Penna

Il superamento delle “gabbie salariali”

Il sistema delle Zone salariali si applicava nei diversi settori dell’industria e il

Paese era suddiviso in sette zone territoriali (più alcune sottozone) con minimi salariali

diversi in base ai differenti e presenti livelli del costo della vita. Così la retribuzione

del medesimo lavoro valeva 100 nelle province italiane più ricche che

appartenevano alla “Zona 0” (zero): Milano, Torino e “Zona 0a” (zero a): Genova,

Roma, ed era pari a 80 nella “Zona 6”, l’ultima che comprendeva oltre due terzi

dell’Italia centro-meridionale e insulare. Le altre zone avevano valori intermedi fra

questi due parametri. La provincia di Alessandria era inserita nella “Zona 3” insieme

a Belluno, Bologna, La Spezia, Mantova, Modena, Padova, Parma, Piacenza, Ravenna,

Reggio Emilia, Verona e Vicenza, mentre Napoli faceva parte della “Zona

3a”. 8 Quel sistema, che pure comprendeva una certa logica ed era il risultato di un accordo

tra sindacati e imprenditori firmato nel 1961, aveva ormai fatto il suo tempo

e rischiava di perpetuare sperequazioni e ingiustizie. 9 Con questa motivazione fu

denunciato dai sindacati nell’aprile 1968. Gli scioperi contro le gabbie salariali si

svilupparono nell’autunno e si articolarono fra le diverse province registrando una

notevole adesione tra i lavoratori. La resistenza delle aziende private associate alla

Confindustria fu molto tenace e il presidente, l’armatore Angelo Costa, genovese,

poco incline a qualsiasi concessione, preoccupato per la tenuta delle aziende minori

del mezzogiorno, si pronunciò più volte contro il principio della perequazione. Furono

l’Intersind e l’ASAP, per conto delle aziende pubbliche, a rompere il fronte

degli imprenditori. Firmarono l’accordo il 21 dicembre 1968 accettando il principio

del livellamento, ottenendo, però, di eliminare con gradualità le zone salariali in

due anni e mezzo, entro il giugno 1971. Un risultato che ebbe l’effetto di incentivare

e accrescere la mobilitazione del sindacato e l’articolazione territoriale degli scioperi

nei confronti dell’industria privata. Di particolare rilievo il risultato conseguito dai

lavoratori delle fabbriche argentiere di Alessandria che, dopo due mesi di lotta compatta,

riuscirono, l’antivigilia di Natale del 1968, a raggiungere in Prefettura un accordo

che anticipava quello nazionale. Lo racconta Aldo Zuccotti della Ricci che,

insieme a Ettore Sacco, ai rappresentanti sindacali delle fabbriche Cesa, Goretta,

Guerci e alla Confindustria, firmò l’intesa. “Ad un certo punto, durante la trattativa,

il Prefetto ha detto: ‘diamo la zona zero a questi operai che se la meritano’ e gli industriali

hanno dovuto cedere”. 10

Anche a livello nazionale l’intesa non tarderà. Dopo la positiva riuscita dello

sciopero del 10 gennaio, CGIL, CISL e UIL della provincia di Alessandria proclamarono

per mercoledì 29 gennaio 1969 uno sciopero di ventiquattro ore di tutto il

settore industriale privato e di quello edile. Nella provincia ad essere interessati all’abolizione

delle Zone salariali erano sessantamila lavoratori. Nei diversi comparti

la differenza oraria dei minimi contrattuali tra la “Zona” di Torino e quella di Alessandria

era notevole e non più giustificabile: per i metalmeccanici di prima categoria

era inferiore di 23,95 lire; per i chimici di 25,25; per le confezioni di 20,60; per i

tessili di 17,80 e per i calzaturieri di 24,50. 11

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