INTERNI LA TORTURA PREVENTIVAUno scheletrosorridente muorea San VittoreSilvia sta in carcere, in custodia cautelare,malata di cancro, incapace di esprimersi.Ha già perso diciotto chili. Chissà per quantoresterà in vita. Di sicuro non può rimanere incella. Com’è possibile una simile disumanità?di Renato FarinaKalina! Vieni Kalina ticercano!». L’agente di polizia«Kalina!penitenziaria chiama ad altavoce, nella zona dove le detenute prendonol’aria a San Vittore. Nel cortiletto dipintodi verde per fingere il prato, forse, SilviaKalina si alza da sotto il muro di cemento.Se ne stava accovacciata in mezzo allealtre, con una cartelletta blu in mano, edè uno scheletro avvolta in qualcosa di grigio.Quanti anni avrà? Settanta, ottanta?Si avvicina e saputo che un deputato italianoè lì per lei, ha un bel sorriso, e da sottoi capelli bianchi spuntano due pezzi dismeraldo che sono gli occhi.In una intervista trasmessa da RadioRadicale, Marinella Colombo parlava diquesta signora incarcerata (a propositodella Colombo e delle sue terribili vicende,conviene leggere il numero 45 di Tempi),e concludeva così: «Spero che qualcunointervenga». Il giornalista LanfrancoPalazzolo rilanciava: «Spero che qualcunoci ascolti». Eccomi, ore 13 circa di venerdì9 novembre. La denuncia era chiara. Giacenel carcere milanese, in custodia cautelare,una signora malata di cancro, incapacedi esprimersi, non ascoltata da nessuno.Com’è possibile una simile disumanità?C’entra qualcosa con la legge, con iSilvia parla tedesco, e io no. Nessuno tra lebravissime agenti di polizia penitenziaria loparla. Le uniche con cui dica due parole sonole compagne Danuta, una polacca, e Veronicadiritti umani sulla cui base l’Europa si èmessa tutta sotto la bandiera azzurra condodici stelle?Premetto: la vicenda giuridica è confusa.Kalina è accusata di aver rapito la suastessa figlia di 17 anni, è ritenuta parte diuna specie di organizzazione che provvedea strappare alla patria tedesca (leggeteil box), per conto di padri e madri che germanicinon sono, i figli che a ogni costolo Stato della Merkel impone restino sottola bandiera di Berlino. In carcere il deputatonon può parlare di questioni processualicon i reclusi, tanto piùquando sono in attesa digiudizio. Ma la salute, lo statodella detenzione quellosì che si può e si deve esplorare.E ad occhio nudo que-18 | 21 novembre 2012 | |
GENITORI IN LOTTA CON L’ENTE TEDESCOLo Jugendamt gli ha tolto i figli ma perla giustizia italiana i rapitori sono loroFoto: MarkaCeed (Conseil européen des enfants du divorce) si definisceun’associazione di genitori e nonni «vittime di rapimenti internazionali dibambini», più in particolare della giustizia familiare tedesca. In Italia si èiniziato a parlarne nel luglio scorso, quando le indagini sul caso di MarinellaColombo – Tempi ne ha parlato nel numero 45 – hanno portato su richiestadella procura di Milano all’arresto di alcuni membri dell’associazione. IlCeed è stato fondato dal francese Olivier Karrer, uno degli arrestati, a cui loJugendamt ha tolto il figlio di 4 anni. In questi anni ha denunciato gli abusidelle convenzioni europee operati dallo Jugendamt, l’ente statale tedescoche interviene nelle cause di divorzio tra genitori con figli minori, soprattuttose a separarsi sono coppie binazionali. Il Ceed, con petizioni e interrogazionipresentate al Parlamento europeo, accusa lo Jugendamt di anteporre leorigini tedesche del bimbo al suo vero bene, facendo in modo che nessun minorelasci la Germania, che l’affido esclusivo non venga concesso al genitorestraniero e ostacolando i suoi rapporti con il figlio.Le indagini milanesi, coordinate dal procuratore aggiunto Pietro Forno, sonoiniziate nel marzo 2011 quando la Colombo è stata arrestata con l’accusadi sottrazione di minori. Secondo l’accusa stava per scappare con i suoi figli,Leonardo e Nicolò, in Libano. La procura si è basata su intercettazioni le cuitraduzioni sono state contestate dagli avvocati della difesa. Quanto a Karrer,è accusato di aver ricevuto denaro dalla Colombo per organizzare la fuga. Laprova? La testimonianza di una cittadina tedesca, Nicole Kaendler, che affermasotto giuramento di non conoscere Marinella ma di aver avuto da leiun messaggio nel quale le dice che avrebbe pagato Karrer. La donna non hamai mostrato questo messaggio, ma poco importa: Karrer e altre 3 personesono in carcere. Stando all’ordinanza firmata dal gip Luigi Varanelli, il Ceedsarebbe un’associazione per delinquere «dotata di mezzi, denaro, appoggi logisticiin diversi paesi europei ed extraeuropei, finalizzata a sottrarre, dietrocompenso, una serie indeterminata di minori oggetto di contesa tra genitoritedeschi e genitori di diversa nazionalità». Il processo non è ancora iniziatoma ovviamente la stampa ha già emesso il suo verdetto: tutti criminali, nonv’è altra soluzione che il carcere. Tra gli arrestati c’è anche Silvia Kalina,cittadina tedesca di origine russa, madre single di una ragazzina finita a suavolta nelle mani dello Jugendamt. Estradata in Italia, oggi si trova a SanVittore, in attesa del processo. Mentre un cancro la sta uccidendo.Daniele Guarnerista donna non può stare lì. Le mettano unbraccialetto elettronico, la chiudano in unospedale: ma così è la morte vivente e temopresto non più vivente.Chiedo a Silvia come sta. Parla il tedesco,e io no. Non lo parla nessuno tra lebravissime agenti della polizia penitenziaria.Mastica un poco di inglese, e le unichecompagne con cui dica due parole sonouna polacca che qualcosa di inglese sa, e sichiama Danuta, ma di italiano nulla (parlauno spagnolo scalcinato); e poi c’è Veronica,che qualche frasetta britannica sa tirarlafuori. Mi dicono che Silvia non ha 80anni ma 55, e da 3 è ammalata di cancro.Le è stato asportato un seno, e le metastasi– a quanto dice la Kalina – si sono diffuse,ha subìto diverse operazioni («Sì sì, hale cicatrici», dicono) e lei mostra il fegato,e mima anche ferite al cuore, ma non sicapisce se sono lacerazioni morali o a qualchemuscolo, ma forse tutt’e due. «Ho persodiciotto chili da quando sono stata estradatain Italia», penso di capire. Mi segna suun foglio le date: 14 maggio 2012, arrestatain Germania su ordine dei giudici italianicon mandato di cattura europeo. Il 20luglio viene trasferita a Roma, il 31 luglioa Milano. Avrà il processo a dicembre. Diceche doveva essere sottoposta a esami, manon ha accettato di farsi passare sotto i raggidell’ospedale, sostenendo che la macchi-Le è stato asportato un seno. Mi mostrail fegato, e mima anche ferite al cuore,ma non si capisce se sono lacerazioni moralio a qualche muscolo, ma forse tutt’e dueSopra, le pagine del servizio che sul numeroscorso di Tempi parla dello Jugendamtna era vecchia di quarant’anni, e l’avrebbeesposta troppo a lungo a raggi nocivi.Mi dice: «Sono stata visitata. La visita èdurata trenta secondi». Ed è stata rimandataqui. Qualcuno la viene a trovare in prigione?«Nessuno. Verrebbe mia figlia, maha diciassette anni e dalla Germania nonla lasciano uscire». È la figlia che avrebberapito a se stessa…Non afferro molte cose, e non sono certomedico. Lei mi sorride: è abituata a nonessere capita da nessuno. Mi mostra la cartellettablu, la apre. Ci sono esercizi elementaridi lingua italiana, sta cercandodi imparare. Io le tiro fuori un libretto perlei, è la versione tedesca di Chi prega si salva(edizioni 30 Giorni) con preghiere nellasua lingua e in latino, e la prefazione diJoseph Ratzinger. Allora mi bacia propriosulla guancia, tra il riso contagioso delledetenute, specialmente di una ragazza cheuscirà l’indomani.Ma poi un’altra signora rompe il climadi festa e piange. Mi domanda di fare qualcosa.È russa di San Pietroburgo, si chiamaOxana. Dovrebbe uscire presto dal carcere,e ha un bambino di tre anni in una comunità.Lo ha avuto da un macellaio marchigiano,e dunque il piccolo è italiano.Lei vorrebbe portarlo a casa in Russia, daigenitori, hanno una casa dignitosa: impossibile.Il padre non vuole né madre néfiglio tra i piedi, ma nemmeno autorizzala loro partenza. Dice Oxana: «Mio Dio cheerrore ho fatto». Non per quel che l’ha portatain cella, che io non so, ma per essersimessa con quel macellaio, il quale in dueanni le ha spedito 500 euro per il bambinoe basta così: «Non ci ama», dice. Scrive ilnumero di telefono dell’uomo perché io loconvinca a dire di sì.Altre donne allora siavvicinano, e raccontano lestesse storie, ma le lacrimesono tutte diverse. E le agentidi polizia si commuovono.| | 21 novembre 2012 | 19