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GLI ULTIMISARANNO I PRIMIUNA MATTINA A TERMOLIIl fascino di un’ora rubatadi Marina CorradiTermoli, 10 novembre. Le sette e mezza del mattino. Non ero mai stata qui, sullacosta del Molise. L’appuntamento al convegno è alle nove. Ho un’ora per girareil centro storico. Un caffè, e mi metto in cammino. Io la chiamo l’“orarubata”: in un viaggio di lavoro, un’ora libera, spesso all’alba, semplicemente perguardarmi attorno.In una piazza ancora silenziosa e vuota la facciata candida del Duomo duecentescomi si para davanti, inaspettata. Quanto splendida, e cesellata di figuredi vescovi e santi; e draghi, in alto, protesi in fuori, ad allontanare i demoni. Quidentro, scopro, c’è la tomba di Timoteo: il discepolo cui Paolo di Tarso scrivevachiamandolo «vero figlio mio nella fede». La mole armoniosa del Duomo di Termoliassume allora il senso di custodia di una preziosa memoria; come uno scrignoche racchiuda oro.Attorno, il borgo antico dorme ancora. Vicoli stretti tra piccole case bianche;qui e là festosa erompe la macchia radiosa diuna bouganvillea ancora in fiore. A una finestraun filo regge vestiti di bambino, ad asciugare.Nel silenzio scopri che ogni vicolo ha, alfondo, la linea blu del mare.Davanti, a destra, a sinistra, sempre il mare.Possibile? È che Termoli è arrampicata suun promontorio che si sporge come un belvederesull’Adriatico. Cinta da una murata, sormontata da una fortezza e da un faro,in questa mattina serena sembra una donna affacciata alla finestra, quieta, su questocalmissimo, enigmatico mare. Già l’avevo intravisto ieri sera, arrivando, dall’altodel bastione contiguo alla spiaggia. La battigia deserta e, alla luce gialla dei lampionidel lungomare, la distesa dell’acqua, nera e lucente; e la lieve increspatura dionde appena impercettibili, che si allargavano a lambire la sabbia, la sfioravano esi ritraevano, lente. (Sembrava, nella oscurità della notte, vivo, il mare; un animaleimmenso che quando è calmo si avvicina, mansueto, alla costa, e l’accarezza, senzavolerle far male).Ma stamattina in questo fresco sole d’autunno tutto sembra nuovo, nato appenaieri: la scia sull’acqua di un peschereccio, e le campane di una chiesa, lontane.Si protende sul mare come un esile molo il pontile di un trabbucco, quelle vecchiecapanne di pescatori delle coste abruzzesi e molisane, issate come palafitte in mezzoall’acqua: da cui si calano, appese a dei ganci arrugginiti, grosse reti. E tu dall’altodella città antica ti sporgi a contemplare questa piccola casa sospesa sull’infinito,sognando come deve essere, d’estate, dormire lì, profondamente dentro il mare.Immagini come deve battere il vento, su questa rocca, quando è burrasca; comedeve penetrare per i vicoli, e gonfiarsi, e ululare. Oggi però, al sole che si va scaldando,sui balconi sbocciano le ultime rose, pallide.Le otto e mezza. Ancora quasi solo il rumore dei miei passi per le strade. L’orarubata è finita, più bella perché clandestina. Assaporata furtivamente, comequando in una strada di campagna allunghi una mano a cogliere un fico da unapianta che sporge da un muro di cinta, e lo scopri dolcissimo. Poi, l’ora è finita,ed è tempo di andare.Attorno, il borgo antico dormeancora. A una finestra un filo reggevestiti di bambino, ad asciugare.Nel silenzio scopri che ogni vicoloha, al fondo, la linea blu del mareDIARIO66 | 21 novembre 2012 | |

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