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cultura riti mondanini d’area (dall’Unità al Manifesto) hannosempre vissuto in uno spazio accessorioma mai alternativo a Repubblica, l’irruzionedel Fatto quotidiano ha incredibilmentedato battaglia al giornale fondatoda Scalfari sul suo stesso terreno, quellodell’individuazione e investitura deimigliori da parte di altri migliori. Con ladifferenza non trascurabile che il Fatto“randella”, sicché (questa è almeno l’accusascalfariana) distrugge a suon di manettelasciando dietro di sé solo macerie. Esu quelle macerie non può che svettare ildemagogo (sempre scalfarianamente parlando)del vaffanculo, ovvero Beppe Grillo.È lì, sulla concitata conta di cosa sommergeree cosa salvare, che si consuma larottura tra il Grande Vecchio e coloro cheegli mai riconoscerà come i discepoli chehanno imparato, irrobustito e portato alleestreme conseguenze la lezione del giornalepartito.In gennaio il Fondatore se la prendevacon «editorialisti qualunquisti e demagoghi»,senza neppure darsi la pena dinascondere che si riferiva a Travaglio,Padellaro e compagnia.Non più tardi di quest’estatelo scontro si infiammavacon la comunità del Fattoche discuteva di listedei sindaci e della società40 | 21 novembre 2012 | |Paolo Flores D’Arcais, direttoredi Micromega, è stato criticato daScalfari (gli ha dato del «disturbato»)per aver detto che alle primarievoterà Renzi per distruggere il Pde far trionfare Beppe Grillocivile per rispondere alla crisi dei partititradizionali e Scalfari, che di liste analogheparlava già negli anni Novanta, impegnatoad accarezzare il sogno di una listaRepubblica (magari capeggiata da RobertoSaviano). Ma la madre delle contese,tale perché coinvolge il totem della legalitàe spalanca il campo dell’interpretazioneladdove c’era un solo dogma, è quellascaturita dal caso delle intercettazioniche coinvolgono il presidente dellaRepubblica Giorgio Napolitano. Nell’ambitodell’inchiesta sulla presunta trattativatra Stato e mafia, infatti, la procura diPalermo ha captato alcune conversazioni,datate fine 2011, intercorse tra il capodello Stato e l’ex vicepresidente del CsmNicola Mancino (era quest’ultimo ad esseresotto controllo in relazione agli annidelle stragi di mafia del 1992-’93). Quandocominciano a girare le prime indiscrezioni,l’estate scorsa, sui contenuti di queicolloqui, il clima si fa rovente e il capodello Stato arriva a sollevare il conflittodi attribuzione davanti alla Consulta (chesi pronuncerà il 4 dicembre prossimo)Il caso dello scontro tra Napolitano e pmdi Palermo ha fatto emergere il cortocircuitotra legalità e giustizia destinato a segnarele sorti della sinistra italiana (e non solo)contro la procura di Palermo, ritenendolese le proprie prerogative costituzionali.Napolitano rivendica, in quanto capo delloStato, il diritto e il dovere di parlare dicerte cose al telefono con il capo del Senatoe chiede che le registrazionivengano distrutte.E qui le strade dei duegiornali si dividono semprepiù. Il Fatto, che con laprocura di Palermo ha (perusare un eufemismo) buonirapporti, si scaglia controi misteri del Quirinaleevocando toni da scontrofinale tra l’oscuro poteredi palazzo e i magistratisenza macchia e senza paurache hanno nel neoguatemaltecoAntonio Ingroiail proprio simbolo. Inaspettatamenteil Colle trovaproprio in Eugenio Scalfariuno dei suoi difensoripiù valorosi. Chi ha un po’di memoria storica ricorderàche si tratta dello stessoScalfari che, ambiziosoed eccezionale direttoredell’Espresso, vedeva consacrarela sua carriera perun altro caso che coinvolgeva un capodello Stato. Tutt’altre vicende, ovvio. È ilcosiddetto Piano Solo, la storia di un tentativodi golpe militare messo a puntonell’estate del 1964. Ad architettare il piano,poi rientrato, sarebbe stato il comandantegenerale dei carabinieri GiovanniDe Lorenzo su istigazione del presidentedella Repubblica, il democristiano AntonioSegni. La copertina “Complotto al Quirinale”del 14 maggio 1967 che lanciaval’inchiesta firmata da Lino Jannuzzi portòallora l’Espresso, e il suo direttore, sullabocca di tutti. A parte le spiritosaggini diun destino che ti vede sedicente giustizieredi sordidi complotti da giovane e ti ritrovaanziano sponsor della ragion di Stato, ilcaso è significativo perché squarcia l’ultimovelo, quello del cortocircuito tra legalitàe giustizia destinato a segnare le sortidella sinistra italiana. Niente fa più rizzarei capelli a Scalfari di un magistrato, magariproprio Ingroia (il Guatemala non è poicosì lontano e lui stesso prima di partireha detto che fare politica è un diritto ditutti), in grado di saldare “partito dei sindaci”,grillini e quel che resta dei dipietristi.Il Grande Vecchio non vuole nemmenopensare a un’ipotesi del genere. Anche perchégli elettori di un partito così preferirebberoi tintinnii del Fatto alle messe cantatedi Repubblica. [lb]Foto: AP/LaPresse

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