lu. Non chiamatemi assessore»; menocomposto e riservato nella pagina a fiancoil faccione di Beppe Grillo: «Non faremole primarie»; sotto di lui a chiuderela sarabanda Matteo Renzi: «Se perdo nonsarò ministro».Un sovraffolamento di non così fittome lo ricordo solo nell’esordio del cantoXIII dell’Inferno di Dante, quello cheparla del suicida Pier delle Vigne. Dantecomincia, appunto, quel canto seminandodei non a piene mani: descrive il paediAnnalisa TeggiQualche giorno fa il quotidiano laRepubblica fotografava la sintesidella cronaca politica italiana indue pagine dai titoli meravigliosamenteaccordati su una medesima nota, indicedel fatto che la cronaca è davvero ciò cheaccade, e che i fatti letteralmente parlano,al di là dei commenti sulle notizie.Ecco cosa campeggiava in neretto:come esordio una dichiarazione del premierMario Monti in merito alle questionisulla legge elettorale: «Non costringetemia intervenire»; più sotto i nota benedi Franco Battiato, in merito alla sua caricadi assessore alla cultura della regioneSicilia: «Non avrò né stipendio, né autoSe l’io gioca in difesa muore. Retrocediamo, cirincantucciamo in una gabbia fatta di piccoliparticolarismi, credendo così di tutelarela nostra persona, ma ottenendo l’oppostosaggio al contrario, dicendo cosa non c’è.E così facendo il poeta ti mette già dentrola testa del suicida, scopre il suo nervodolente e straziato, come a dire: tuttol’orizzonte attorno a me è diventato cosìopprimente e falso, invivibile, che l’unicapossibilità rimasta per me era direnon a me stesso. E non appena Pier delleVigne prende parola e parla di sé in primapersona si sente che è ancora intrappolatonello stretto recinto di quei pensieriche lo hanno spinto a negare lavita: ribadisce la sua grandee instancabile dedizioneal lavoro, ricorda l’invidiadegli altri che s’infiammòper distruggere ilsuo ben fare, portandolo8 | 21 novembre 2012 | |
ROMPETE QUEL RECINTO PRIMALINEAGirando in biciclettaper la gran valle dellapiccola gente, la Bassa,Giovannino Guareschivedeva grandi cose,dietro la cronacaminuta del suo Mondopiccolo (a sinistra,la piazza di Brescello)Foto: AP/LaPressea uno sdegno tale da diventare ingiustocontro se stesso.Quando l’io gioca in difesa muore. Piùingigantisce le rivendicazioni puntigliose(e magari giuste) sui fatti che lo riguardanopiù rimpicciolisce sé fino a sparire.Non c’è dubbio che questa tattica difensivasia scelta come via più auspicabile intempi di crisi come il nostro, perché hala falsa apparenza di mostrarsi come piùpragmatica di altre visioni più coraggiose.E infatti noi siamo in recessione. Non tantoe non solo nel senso economico, ma nelsenso più propriamente umano. Retrocediamo,andiamo all’indietro a rincantucciarciin una piccola gabbia fatta di piccoliparticolarismi personali, credendo cosìdi tutelare e rafforzare la nostra persona,ma ottenendo l’esatto opposto. Quella chenoi crediamo sia una lente d’ingrandimento,uno spazio di accresciuta autorevolezza,diventa invece una palizzata checi chiude in un angusto recinto.Il mio dolore, la mia prigioneMi è capitato di recente di trovarmi nellasala d’attesa di un ambulatorio medico,in compagnia di silenziosi sconosciutiche come me aspettavano di essere visitati;si trattava di un ambulatorio ortopedicoe, dunque, per il tipo di patologieconnesse (braccia e gambe ingessate, collarial collo) era evidente anche esteriormenteil fatto che qualcosa di dolente ciaccomunasse. Appeso alla parete di frontea me c’era uno di quegli aforismi che –intuisco – dovrebbero servire ad addolcirel’atmosfera sempre implicitamente tristedell’ambulatorio, con eleganti lettereda libro di fiabe recitava così: «Non giudicarele mie azioni e le mie scelte, perchésolo io ho attraversato il dolore che haportato ad esse».Ecco che quando l’io si aggrappa avenerare la presupposta roccaforte deipropri particolarismi, in realtà si isola esi spegne. Perché quelle parole millantavanoeroismo, ma dichiaravano solitudine.E, cosa ancora più grave, istigavanoil pensiero di una solitudine che rimpicciolisceil vero e semplice orizzonte dellecose. La verità è che il mio dolore (o qualsiasialtro fatto) non mi parla solo del miodolore. Ma se io innalzo il mio dolore particolarea unica e grande autorità capacedi definire lo spessore della mia personami ritrovo in prigione, perché potròritagliarmi il mio spazio solo a forza dinon, cioè arroccandomi alla mia diversitàrispetto a qualsiasi tema di confrontocomune.Il signor Chesterton, che amava i paradossi,diceva che dalla valle un uomovede grandi cose, mentre da un piccovede solo cose piccole. È una disquisizioneottica di non poco conto. Solo in unoChesterton diceva che dalla valle un uomovede grandi cose, mentre da un picco vedesolo cose piccole. Solo in uno spazio di comunecondivisione si danno alla vista cose grandispazio di comune condivisione si dannoalla vista cose grandi, anche riguardoa noi stessi. E, invece, ingigantendo lanostra piccolezza tutto attorno diventapiù piccolo. Il mondo della politica sembrariflettere in pieno la trappola di questavisione distorta: non c’è più alcunavalle, ma solo picchi. Più i politici ci parlanoin termini concreti e specifici, piùsiamo indotti a valutarli credibili. Nienteparoloni ambiziosi, ma programmistrategicamente mirati a innalzare picchipartendo da piccoli bisogni per stanare,isolare e identificare gli infiniti sottogruppidi quella gran massa di gente cheabita la valle dei moderati.La discesa di Obama tra il popoloAlcuni esperti che si occupano di semanticapolitica hanno snocciolato statistichedettagliatissime sulle parole usate durantei tre dibattiti televisivi tra il neo rielettopresidente Barack Obama e il suo direttoavversario Mitt Romney. E la statistica,con il suo algido e analitico distacco, si èsorprendentemente resa conto di ciò chemolti altri (opinionisti, professori e gentecomune) non hanno visto a colpo d’occhio,cioè che i due diretti avversari eranod’accordo su molto. Sui verbi ad esempio,quelli più usati da entrambi sono stati glistessi: do, have, get, say. Fare, avere, ottenere,dire. Ma anche su quelli meno usatierano d’accordo: believe (che è credere,nel senso affermativo di credere in qualcosa)è sperduto in un piccolo cantuccio.Guarda caso, poi, l’avverbio più usato èstato anch’esso il medesimo per entrambi:not. E il problema della negazione nonè solo che è negativa, ma soprattutto chesepara, distingue e isola.Però quando è stato il momento dirivolgersi alla nazione non più con l’occhioda cacciatore di uomini della classemedia, bensì come presidente di tutti,Obama ha lasciato i picchi di gradimentodi parole come affari, piccola impresa,tasse ed è sceso a valle. È ritornato nellagrande spianata di un terrenoche doveva indicarecome comune all’intero evariegato popolo americanoe lo ha fatto, stando inmezzo a loro a mostrare| | 21 novembre 2012 | 9