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oli e inefficaci, contribuendo in tal modo ad aumentare l’influenza della<br />

lobby filoisraeliana.<br />

La lobby persegue due strategie principali. La prima consiste nell’esercitare<br />

una particolare influenza a Washington, facendo pressioni sia sulle due camere<br />

del legislativo sia sull’esecutivo. A ogni singolo eletto o decisore politico,<br />

quali che siano i suoi orientamenti, si cerca di rendere il posizionamento a favore<br />

di Israele la scelta più “facile”. La seconda strategia si manifesta invece<br />

attraverso il tentativo di rendere positiva presso l’opinione pubblica l’immagine<br />

di Israele, ribadendo i miti riguardanti la sua fondazione e propagandandone<br />

un’immagine positiva. L’obiettivo è quello di evitare che le opinioni critiche<br />

raggiungano un’ampia audience nell’arena politica. L’egemonia del dibattito<br />

sulle questione mediorientali è di fondamentale importanza per mantenere<br />

saldo l’orientamento prosraeliano degli Stati uniti. Un aperto dibattito<br />

sulla questione, infatti, potrebbe spingere molti americani a chiedere un cambiamento<br />

di politica del loro paese.<br />

Uno dei principali pilastri dell’efficacia della lobby è rappresentato dalla<br />

sua influenza sul Congresso, dove Israele è pressoché immune da ogni critica.<br />

Si tratta di un risultato davvero notevole, in quanto ben raramente il Congresso<br />

mostra una simile compattezza. Quando è coinvolto Israele, tuttavia, le potenziali<br />

critiche tacciono. La ragione di ciò risiede nel fatto che diversi eminenti<br />

suoi membri sono sionisti cristiani, come Dick Armey che, nel settembre<br />

2002, ha dichiarato: “La mia priorità in politica estera è la salvaguardia di Israele”.<br />

Si potrebbe pensare che la priorità di un senatore in politica estera sia<br />

la salvaguardia degli interessi statunitensi. Ci sono poi senatori e membri del<br />

congresso ebrei che si impegnano esplicitamente affinché la politica estera statunitense<br />

supporti gli interessi israeliani.<br />

Un’altra fonte di potere della lobby è costituita dall’influenza esercitata<br />

dai funzionari del congresso schierati a favore di Israele. Come una volta ammise<br />

Morris Amitay, in passato alla guida dell’Aipac, “ci sono un sacco di ragazzi<br />

al lavoro qui dentro che, essendo ebrei, cercano di vedere le cose in una<br />

prospettiva ebraica. Si tratta di ragazzi collocati nella posizione per influire in<br />

maniera decisiva nelle scelte di un senatore. Si possono conseguire grandi risultati<br />

operando a livello di staff”. L’Aipac rappresenta il fulcro dell’influenza<br />

esercitata dalla lobby sul Congresso. La sua efficacia è dovuta alla capacità<br />

di premiare gli eletti che prendono posizione a favore di Israele e di sanzionare<br />

coloro che si muovono in senso opposto. Il denaro è un elemento cruciale<br />

nelle campagne elettorali statunitensi e l’Aipac è in grado di garantire agli<br />

“amici” cospicui finanziamenti. Chiunque venga visto come personaggio<br />

ostile a Israele può poi stare certo che L’Aipac si impegnerà per pilotare le<br />

donazioni verso il suo avversario. L’Aipac organizza anche campagne di mailing<br />

ed esercita pressioni sulla stampa affinché prenda posizione a favore dei<br />

candidati proisraeliani.[...] L’influenza dell’Aipac su Capitol Hill passa anche<br />

per altri canali. Stando a quanto dichiarato da Douglass Bloomfield, un ex<br />

funzionario dell’organizzazione, “è prassi diffusa per gli eletti al Congresso o<br />

i membri dei loro staff rivolgersi direttamente all’Aipac, prima ancora che alla<br />

Library of the Congress, quando hanno bisogno di qualche informazione”.<br />

Sempre Bloomfield nota come spesso sia la stessa Aipac che prende l’iniziati-<br />

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