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sta in base a un principio di giustizia, di riconciliazione e di coesistenza pacifica.<br />

Si offra loro perlomeno un ulteriore modello, accanto a quello che ha fallito.<br />

A Bil’in abbiamo combattuto fianco a fianco contro l’occupazione, davvero<br />

non possiamo vivere insieme agli abitanti di Bil’in dentro uno stesso stato?<br />

Con quale realtà preferiamo convivere, Bil’in o Matiyahu Mizrahol [la colonia<br />

che si è insediata sul territorio di Bil’in]?<br />

Per concludere, affinché questo dialogo possa nascere e germogliare occorre<br />

riconoscere un’ultima cosa: che l’occupazione che procede quotidianamente<br />

non la possiamo fermare solo a partire da qui. La politica di occupazione fa<br />

parte della stessa infrastruttura ideologica su cui si è costruita la pulizia etnica<br />

del 1948, la stessa logica che ha portato al massacro degli arabi di Kufr Qassem<br />

nel 1956, la stessa politica per cui sono state confiscate le terre della Galilea<br />

e della Cisgiordania e per cui sono state ordinate detenzioni ed esecuzioni<br />

arbitrarie e senza alcun processo. Il volto criminale e assassino di questa ideologia<br />

si manifesta oggi nella Grande Gerusalemme e in Cisgiordania. Per arrestare<br />

l’espansione di questi crimini di guerra e di questo comportamento criminale<br />

occorre ammettere che serve una pressione esterna nei confronti dello<br />

stato di Israele. Siano quindi grati alle associazioni di giornalisti, scienziati e<br />

accademici che invitano a boicottare Israele fino a quando questa politica criminale<br />

non cesserà. Sfruttiamo l’appoggio della società civile per fare di Israele<br />

uno stato “paria” fintantoché questa politica persisterà. Solo a queste condizioni,<br />

noi che siamo qui, che apparteniamo e desideriamo appartenere a<br />

questo paese, potremo portare avanti un dialogo costruttivo e fertile, con l’intenzione<br />

di creare una struttura politica che ci assolva dal bisogno di vivere<br />

nel conflitto e ci permetta di costruire un futuro migliore.<br />

Uri Avnery<br />

Ilan Pappé e io siamo compagni nella lotta contro l’occupazione. Ammiro il<br />

suo coraggio. Lottiamo dalla stessa parte, ma ci divide un aspro dibattito sui<br />

modi per vincere. Su che cosa si incentra questo dibattito? Non sul passato.<br />

Sottoscrivo pienamente quanto detto da Ilan. Non possono esserci esitazioni<br />

nell’ammettere che il sionismo, facendosi carico di una necessità e un intero<br />

progetto storico, sia stato anche causa di una profonda ingiustizia verso il popolo<br />

palestinese. Non ci possono essere dubbi sulla pulizia etnica del 1948,<br />

per quanto, detto per inciso, la pulizia etnica fu su entrambi i fronti, se è vero<br />

che nessun ebreo è potuto restare in qualsiasi territorio conquistato dal fronte<br />

arabo. L’occupazione è una prassi odiosa a cui si deve porre fine. Su questo<br />

non ci sono dubbi. Come non ci dovrebbero essere dubbi sul futuro remoto,<br />

su ciò che desidereremmo vedere accadere tra un secolo. Qui però dobbiamo<br />

confrontarci sul futuro immediato, su una soluzione a questo tragico conflitto<br />

che abbia una portata di venti, trenta, al massimo cinquant’anni. Perché questo<br />

non è un dibattito teorico, in cui si può dire “vivi e lascia vivere, ognuno<br />

con le proprie idee, e lascia che il movimento per la pace viva in pace”. Non<br />

possono esserci compromessi fra queste alternative, perché ognuna implica<br />

strategie e tattiche profondamente diverse e divergenti. E credo sia utile parlare<br />

non di dopodomani, e neppure di domani, ma di oggi, del qui e ora. Si tratta<br />

di una differenza importante, decisiva. Per esempio: occorre concentrare i<br />

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