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Uno stato. Due stati<br />
Ilan Pappé, Uri Avnery<br />
Dibattito tra Uri Avnery (ex deputato alla Knesset e attivista politico di Gush<br />
Shalom) e Ilan Pappé (docente di storia contemporanea presso le Università di<br />
Exeter e di Haifa).<br />
Ilan Pappé<br />
Il sionismo, per come lo conosciamo, è nato sulla base di una serie di impulsi,<br />
di urgenze. Impulsi giusti, “naturali”, che possono essere compresi sullo sfondo<br />
dello specifico periodo in cui quel movimento si sviluppò: la realtà dell’Europa<br />
centrale e orientale alla fine del XIX secolo. Il primo impulso era dettato<br />
dal desiderio di opporsi alle diverse ondate di persecuzioni e campagne antisemite,<br />
e forse anche da una premonizione del peggio che doveva ancora accadere.<br />
Da qui originò la ricerca di un’area protetta, un safe haven, in cui gli ebrei<br />
europei potessero vivere senza più temere per la propria vita, i propri beni<br />
e la propria dignità. Il secondo impulso fu fortemente influenzato dalla<br />
“primavera dei popoli”, l’insorgere dei movimenti nazionalisti di metà Ottocento.<br />
I leader del movimento sionista credevano nella possibilità di ridefinire<br />
l’ebraismo in termini di appartenenza nazionale anziché esclusivamente religiosa.<br />
Si trattava, anche in questo caso, di un’idea molto diffusa in quel periodo,<br />
e più di un gruppo etnico si ridefinì per questo come comunità nazionale.<br />
Quando – per ragioni e condizioni che sarebbe troppo lungo ricapitolare – si<br />
decise di dare vita e sviluppare entrambi questi impulsi su un territorio, quello<br />
palestinese, abitato da quasi un milione di persone, quel desiderio originario<br />
si trasformò in un progetto coloniale. In altre parole, nel momento stesso in<br />
cui si decise che il solo territorio in cui gli ebrei avrebbero potuto garantirsi<br />
un safe haven e in cui potesse sorgere una nazione ebraica sarebbe stata la Palestina,<br />
quel movimento umanistico e nazionale assunse le sembianze di un<br />
progetto eminentemente coloniale. E il carattere specificamente nazionale divenne<br />
ancor più marcato dopo che il paese venne conquistato dagli inglesi durante<br />
la Prima guerra mondiale.<br />
Come progetto coloniale, bisogna ammetterlo, il sionismo non fu una vicenda<br />
di grande successo. Quando il mandato britannico arrivò al capolinea<br />
solo il 6 per cento del territorio palestinese era in mano ebraica. Il sionismo, inoltre,<br />
riuscì a portare nella regione un numero tutto sommato esiguo di immigrati<br />
di origine ebraica, che nel 1948 rappresentavano meno di un terzo<br />
dell’intera popolazione della Palestina. Per questo il progetto coloniale, l’insediamento<br />
di coloni e l’espulsione della popolazione nativa, non ebbe grande<br />
successo. Ma il cuore del problema, l’origine della tragedia palestinese, è che i<br />
leader del movimento sionista non intesero solo dare vita a un progetto coloniale<br />
ma vollero anche creare uno stato democratico. L’idea di uno stato de-<br />
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