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Ben Gurion, Pinhas Lavon, facente funzioni di ministro della Difesa, il capo<br />

di Stato maggiore Mordehai Makieff e il generale Moshe Dayan avevano deciso<br />

che si dovesse compiere una severa rappresaglia: l’obiettivo prescelto fu<br />

Qibya. Le gerarchie militari si misero subito all’opera: fu stabilito il piano<br />

d’attacco e quali truppe dovessero prendervi parte: tra esse l’890° Battaglione<br />

paracadutisti, un’unità di mortai e il famoso Commando 101 guidato da Ariel<br />

Sharon. L’attacco fu effettuato nella notte tra il 14 e il 15 ottobre: come diversione<br />

furono lanciati alcuni proiettili contro i villaggi di Budrus, Ni’lin e Shuqba<br />

mentre a Qibya i soldati israeliani, passando di casa in casa, ne fecero saltare<br />

quarantacinque, uccidendo circa sessanta abitanti, tra i quali molte donne<br />

e bambini. Il mondo intero fu agghiacciato per la crudeltà della ritorsione dello<br />

stato d’Israele. Il 25 novembre il Consiglio di sicurezza dell’Onu censurerà<br />

all’unanimità l’attacco a Qibya. Comunque si possono subito cominciare a registrare<br />

le falsificazioni del governo israeliano: Ben Gurion, al Consiglio dei<br />

ministri del 18 ottobre, dichiarò che non aveva avuto parte nella decisione<br />

(ma che se avesse partecipato avrebbe sostenuto la scelta di lanciare il raid) e<br />

lasciò in qualche modo capire che l’azione era stata compiuta dall’unità 101,<br />

formazione dell’esercito da considerarsi non regolare. Ricordiamo che Ben<br />

Gurion era stato tra i primi, e forse il primo, a promuovere quella scelta, non<br />

si era trattato di una reazione spontanea di anonimi coloni inferociti, come si<br />

tentava di farla passare, ma di un’accurata pianificazione da parte delle forze<br />

armate. Ancora il 19, in un discorso alla radio, Ben Gurion ribadiva tali concetti:<br />

nessuna unità militare era assente dalla base quella notte, l’azione era<br />

stata condotta da alcuni coloni residenti presso il confine, in parte – e qui si<br />

constata quanto forte sia la mistificazione – sopravvissuti all’Olocausto, altri<br />

provenienti da paesi arabi con tradizioni di vendetta.<br />

Non seguiremo l’esame del peso negativo che l’episodio di Qibya ebbe a<br />

livello politico nell’inasprire i contatti con gli arabi, né verificheremo come la<br />

quasi totalità della stampa israeliana condivise con poche eccezioni tali interpretazioni,<br />

pur essendo a tutti noto il coinvolgimento delle formazioni regolari<br />

israeliane e come sulle scelte informative pesassero gli interventi censori. Ci<br />

limiteremo a rilevare altre deformazioni retoriche fuorvianti utilizzate per<br />

rendere accettabile la rappresaglia: al consiglio dei ministri, Golda Meir, per<br />

esempio, aveva cominciato a prendersela con l’“ipocrisia” delle grandi potenze.<br />

In parlamento ci si lamentava: “perché il mondo condanna gli ebrei per<br />

l’uccisione di arabi, mentre difendono la pace, quando gli arabi assassinano<br />

gli ebrei?”. Un quotidiano sionista-socialista, “Al HaMishmar” del 20 ottobre,<br />

sottolineava: “Noi, le vittime, adesso sembriamo gli accusati”. Un altro<br />

quotidiano, “Davar”, tirava in ballo, per giustificare Qibya, il fatto che gli stati<br />

arabi “servono da rifugio ai criminali nazisti”. Analogamente “HaBoker”<br />

collegava gli arabi ai nazisti e accusava il mondo di indifferenza per lo spargimento<br />

di sangue ebraico. Infine il portavoce degli ultraortodossi, l’“HaZofe”,<br />

concludeva che i fuorilegge arabi non comprendono altro linguaggio che<br />

quello della forza.<br />

In riferimento agli incidenti confinari di minore o maggiore entità, vale forse<br />

la pena accennare a taluni risvolti del saggio di Uri Bar-Joseph, dell’Università<br />

di Haifa, sulla crisi egizio-israeliana (che coinvolse pure Damasco) verifi-<br />

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