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fornito agli Stati uniti importanti contributi di intelligence sulle reti di al Qaeda,<br />

ma aveva anche avvertito Washington di un progettato attacco terroristico<br />

nella zona del Golfo e fornito accesso alla Cia ai verbali degli interrogatori di<br />

Mohammed Zammar, il presunto reclutatore degli attentatori dell’11 settembre.<br />

Colpire il regime di Assad avrebbe significato privarsi di queste preziose<br />

possibilità di collaborazione e rendere ancora più complessa la guerra al terrorismo.<br />

In secondo luogo, poi, si deve rilevare come prima della guerra in Iraq<br />

la Siria non era in cattivi rapporti con Washington (tanto che aveva votato<br />

a favore della risoluzione Onu 1441) e inoltre non rappresentava una minaccia<br />

per gli Stati uniti. Entrare in conflitto diretto con la Siria avrebbe significato<br />

per gli Stati uniti presentarsi come una sorta di bullo caratterizzato da un<br />

incontenibile desiderio di abbattere gli stati arabi. Infine, minacciare la Siria<br />

significava fornire all’apparato di Assad crescenti motivazioni per incentivare<br />

il disordine in Iraq. Tuttavia il Congresso, su sollecitazione dei funzionari israeliani<br />

e di gruppi quali L’Aipac, insisteva per un giro di vite nei confronti<br />

di Damasco. Senza la mobilitazione della lobby, il Syria Accountable Act non<br />

sarebbe stato approvato e la politica statunitense nei confronti del regime siriano<br />

sarebbe stata molto diversa e più aderente ai dettami dell’interesse nazionale.<br />

Israele tende a rappresentare ogni minaccia in termini apocalittici. Senza<br />

dubbio, tuttavia, l’Iran può essere visto come il suo più pericoloso nemico in<br />

quanto si tratta della potenza regionale che più facilmente può giungere a possedere<br />

l’armamento nucleare. In pratica, tutti gli israeliani considerano la presenza<br />

in Medio Oriente di uno stato islamico dotato dello strumento nucleare<br />

come una minaccia diretta alla loro esistenza. Come affermò un mese prima<br />

dell’inizio della guerra in Iraq il ministro della difesa Binyamin Ben Eliezer,<br />

“L’Iraq è un problema. Ma, se me lo chiedete, vi risponderò che il pericolo<br />

maggiore è l’Iran”. Sharon iniziò a esercitare pressioni sugli Stati uniti affinché<br />

intervenissero in Iran nel novembre 2002, con un’intervista a “Times”.<br />

Descrivendo lo stato persiano come “il centro del terrore mondiale” e un acquirente<br />

di armi nucleari, il primo ministro israeliano invitava l’amministrazione<br />

Bush a puntare le armi contro l’Iran “il giorno dopo” la conquista dell’Iraq.<br />

Abbattere Saddam Hussein, a suo parere, “non bastava”. Con le sue<br />

parole: gli Stati uniti “devono andare avanti, per mettere fine alle gravi minacce<br />

provenienti da Siria e Iran”.<br />

Anche i neoconservatori non tardarono a porre la questione del cambiamento<br />

di regime anche a Teheran. Il 6 maggio l’American Enterprise Institute,<br />

in partnership con la Foundation for the Defense of the Democracies e l’Hudson<br />

Institute, organizzò una conferenza sull’Iran. Tutti i relatori erano accesi<br />

sostenitori di Israele. Molti di essi invocarono un intervento militare statunitense<br />

per portare la democrazia in Iran. Come al solito, poi, una valanga di articoli<br />

scritti da neoconservatori si diffuse sulle prospettive di un cambiamento<br />

di regime nella repubblica islamica. [...] La lobby spinse il Congresso ad approvare<br />

l’Iran Freedom Support Act, che inaspriva le sanzioni già esistenti. Le<br />

autorità israeliane avvertirono che nel caso l’Iran fosse avanzato in maniera significativa<br />

nel suo progetto nucleare, Israele sarebbe stato costretto a un’azione<br />

preventiva. Una dichiarazione, questa, che aveva soprattutto lo scopo di ri-<br />

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