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visionista, attraverso una convergenza sull’idea di una partizione territoriale<br />

accompagnata dalla nascita di un’autonomia palestinese. Ancora, in questo<br />

senso, il governo di Ariel Sharon – il mapainik che aveva fondato il Likud, vittorioso<br />

alle elezioni con Kadima, formata da transfughi del Labour e del<br />

Likud – rappresenta il coronamento anche simbolico di questo percorso. 40<br />

Qual è l’esito di questo pattern storico, politico e istituzionale? Il trend di<br />

integrazione tra le aree della Palestina storica sembra essere fuori discussione,<br />

così come il controllo da parte del governo israeliano sul territorio nel suo<br />

complesso. Nello stesso tempo, le contraddizioni in termini territoriali e demografici<br />

– derivate dal processo di integrazione – si sono fatte via via più forti; la<br />

convergenza, da parte del quadro politico israeliano, su un progetto di separazione<br />

“definitiva” tra arabi ed ebrei e sull’idea di autonomia araba, è un effetto<br />

di questa situazione. Separazione territoriale e autonomia politico-amministrativa<br />

araba, tuttavia, sono concetti che stanno perdendo di senso, diventando<br />

opzioni sempre più teoriche. La definizione di un qualsiasi confine – persino<br />

quello tracciato unilateralmente dai muri di separazione attorno a Gaza e in<br />

Cisgiordania – rischia di essere ininfluente in questo senso. Lo stesso si dica<br />

dell’idea di uno stato indipendente palestinese. Se la separazione è impossibile,<br />

è chiaro come la Palestina stia diventando un’unica polity conflittuale, in cui la<br />

distribuzione dei diritti è asimmetrica in quanto operata attraverso un criterio<br />

etnico. Il trend di integrazione sta quindi forzando i limiti costituzionali dello<br />

stato ebraico, rendendo le variabili territoriali e demografiche molto meno maneggevoli<br />

per la classe dirigente sionista. Da questo punto di vista, si manifestano<br />

così crescenti affinità con altre esperienze, in cui il tentativo è stato quello<br />

di compensare la (crescente) integrazione con una serie di misure volte a separare<br />

– fisicamente, legalmente, amministrativamente – le comunità.<br />

L’analisi del contraddittorio processo di integrazione-separazione rappresenta<br />

per esempio il “ponte” più significativo tra il caso della Palestina e quello<br />

del Sudafrica dei bantustan. In entrambi i casi, la quadratura del cerchio in<br />

termini di stabilità e “democraticità” del regime dipende dalla formale separazione<br />

fra entità etnicamente (più) omogenee. La chiave di questa idea è la<br />

creazione di un governo autonomo – o più d’uno – rappresentativo della comunità<br />

subordinata ma dipendente dalle strutture controllate dalla comunità<br />

dominante. La formale indipendenza di questa entità autonoma risolve il problema<br />

determinato dalla presenza dei settori meno assimilabili e più demograficamente<br />

consistenti della comunità subordinata; nello stesso tempo la dipendenza<br />

e la debolezza dell’autogoverno prevengono la possibilità di una contestazione<br />

radicale del sistema. Dopo l’“espulsione” dell’entità autonoma, nell’area<br />

rimanente si presenta un quadro “semplificato” delle contraddizioni<br />

preesistenti: i rapporti comunitari, in un contesto demografico più favorevole,<br />

possono essere mantenuti simili a quelli che caratterizzano versioni più aperte<br />

del regime a prevalenza etnica, come per esempio l’Israele pre 1967.<br />

40 Un’altra tappa significativa è il documento sul national consensus israeliano che porta la firma della<br />

“colomba” Yossi Beilin e del “falco” Michael Eitan: Labor and Likud Members, National Agreement Regarding<br />

the Negotiations on Permanent Settlement with the Palestinians, in “Journal of Palestine Studies”<br />

25, 4, estate 1996, p. 127.<br />

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