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ma al nuovo regime economico dell’area. Israele adottò un suo protocollo<br />

commerciale per quanto riguardava i nuovi confini esterni e creò un sistema<br />

doganale. 6 Il regime commerciale – quasi un’unione doganale – fu stabilito<br />

per l’area complessiva costituita da Israele e dai Territori occupati. In seguito<br />

si avrà modo di soffermarsi più dettagliatamente sulla questione, per il momento<br />

è importante notare che in questo caso, contrariamente a quanto avviene<br />

normalmente per accordi del genere, una parte – Israele – stabilì i termini<br />

dell’unione doganale sulla base delle proprie necessità, senza alcuna<br />

consultazione né tanto meno alcun negoziato con l’altra parte. Non vi fu accordo<br />

neppure sulla spartizione degli introiti derivanti dalle tasse sull’importazione.<br />

Si trattava dunque di un accordo commerciale definito unilateralmente,<br />

che rifletteva la natura dell’occupazione.<br />

Il leader ufficioso del partito dell’integrazione nel governo israeliano, il ministro<br />

della Difesa Moshe Dayan, non voleva ritirarsi o disimpegnarsi dai territori<br />

recentemente acquisiti. Si attendeva che l’integrazione economica, innalzando<br />

i livelli di vita nei Territori occupati, avrebbe fatto diminuire l’opposizione<br />

alla presenza israeliana, rendendone più semplice la gestione. Altri punti<br />

di vista davano voce a interessi diversi: le preoccupazioni che la concorrenza<br />

delle industrie palestinesi potesse rappresentare una minaccia posero un limite<br />

al processo d’integrazione. All’inizio, la circolazione dei beni sia agricoli sia<br />

industriali fu controllata. Nel corso del tempo, il governo israeliano adottò altri<br />

metodi per conservare i vantaggi di cui godevano i produttori israeliani. Invece<br />

di limitare la circolazione delle merci, il governo pose limiti alle attività<br />

basate nei Territori occupati che avrebbero potuto entrare in competizione<br />

con le produzioni israeliane. 7<br />

Il settore pubblico dell’economia palestinese, che si occupa della tassazione,<br />

fornendo poi servizi, investimenti in infrastrutture ecc., è rimasto sotto controllo<br />

israeliano dal 1967 sino al processo di Oslo nel 1993. Una politica macroeconomica<br />

volta a rispondere alle necessità dell’economia palestinese non fu mai adottata.<br />

Inoltre, dato che una valuta locale non esisteva, non ebbe modo di svilupparsi<br />

neppure una politica monetaria. Il sistema bancario locale fu chiuso<br />

d’autorità nel 1967 e non riaprì prima degli anni ottanta, e anche allora in maniera<br />

limitata. Durante i primi decenni dell’occupazione solo poche banche israeliane<br />

operarono, e peraltro in maniera intermittente, nei Territori occupati.<br />

Dato che di istituzioni finanziarie praticamente non ne esistevano, le transazioni<br />

finanziarie erano disponibili solo grazie a una rete relativamente ben sviluppata<br />

di cambiavaluta che operavano con il sistema bancario giordano.<br />

Le regioni palestinesi della Cisgiordania (inclusa Gerusalemme Est) e della<br />

Striscia di Gaza erano quindi – e rimangono ancora oggi – molto diverse e<br />

molto meno sviluppate di Israele. In termini di Pil, la posizione relativa dell’e-<br />

6 Il protocollo commerciale riguardava i diritti doganali, ma anche gli standard, le normative sanitarie<br />

ecc. Naturalmente il posizionamento effettivo del confine esterno con l’Egitto cambiò nel corso del tempo.<br />

7 S. Gazit, The Carrot and the Stick. Israel’s Policy in the Administered Territories, cit.; Ezra Sadan, Mediniyut<br />

Lepituach Kalkali Behevel Aza [Politica per lo sviluppo dell’area di Gaza], 1991; World Bank, Developing<br />

the Occupied Territories. An Investment in Peace, The World Bank, Washington 1993; A. Arnon, I.<br />

Luski, A. Spivak, J. Weinblatt, The Palestinian Economy. Between Imposed Integration and Voluntary Separation,<br />

cit.<br />

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